Pentema è il nome di un piccolo borgo dell’entroterra ligure, così piccola da perdersi sulle cartine e svanire facilmente nel caos dei navigatori digitali. Eppure, imboccata la strada che da Torriglia arriva fino all’antico borgo, si percepisce subito un’atmosfera di magia, collocata fuori dal tempo.
Qui, da oltre 20 anni, un gran numero di volontari collabora all’allestimento di un presepe storico, un vero museo a cielo aperto, con statue a grandezza naturale e abiti originali, che riproducono la realtà rurale di fine ‘800. Dalla scuola all’osteria, dalle case in pietra con i panni stesi allo studio del medico o al panettiere fino a giungere nella capanna in cui Maria diede alla luce Gesù.
In un gomitolo di vicoli, arti e mestieri Pentema racconta il proprio passato attraverso scene di vita quotidiana, che svelano attimi di divertimento, lavoro e intimità familiare.
La tradizionale scena della natività si accosta dunque a un’accurata ricostruzione di ambienti e mestieri contadini, che i visitatori possono ammirare muovendosi liberamente tra gli archi, le case e le aie dell’antico paese.
Pentema, la notte del presepe
Fotografia di Renzo Oroboncoidi
L'arredo della casa veniva costruito quasi esclusivamente in paese utilizzando legno di castagno.
Si costruivano banchè, cascette, banche, meise, vascellee, letti e quant'altro occorresse.
La provvista della legna era una attività molto importante: serviva per riscaldare la casa e per la cottura dei cibi. La legna era tagliata a mano, trasportata a spalle o a dorso di mulo e teneva occupati tutto l'inverno.
Ogni casa aveva un piccolo orto per coltivare le verdure per l'uso quotidiano.
Insalata e fagiolini, zucche e zucchine, aglio e cipolle, cavoli e carote, prezzemolo e l'immancabile basilico erano sempre presenti.
Il bucato veniva messo in ammollo nella liscivia dopodichè ci voleva "olio di gomito ai trogoli per risciacquare. Per dare splendore ai panni si usava il "turchinetto" ma se il lavaggio non era stato perfetto il colore, ahimè, era del pigòggiu.
Uno dei pochi e semplici divertimenti dei piccoli.
Il "medicone di Pentema" aveva trascorso una vita avventurosa in Inghilterra e America del Sud.
Era tornato in paese con un bagaglio di cognizioni empiriche che, accompagnate da predisposizione naturale e da doti carismatiche, gli permisero di operare guarigioni fornendo intrugli, erbe e formule magiche.
La castagna era uno degli alimenti più importanti per la gente dei monti e veniva consumata in tutte le stagioni. Doveva quindi essere ben conservata.
Dopo la raccolta le castagne venivano stese nel seccareccio sotto il tetto e un fuoco continuo, acceso nel locale sottostante, le faceva lentamente seccare.
Per sbucciarle, le castagne venivano poste in sacchi di tela battuti contro un ceppo e per separare le bucce frantumate dal frutto venivano infine vallate col ventilabro.
Scorcio del presepe
Con il Regno d'Italia fu istituita la scuola pubblica e da allora fino al 1966 l'insegnamento fu tenuto da maestre che venivano a risiedere in paese.
Il locale è una ricostruzione mentre i banchi e alcuni arredi sono gli originali dell'ultima scuola.
Scorcio del presepe
L'osteria era il locale di ritrovo degli uomini che alla sera si riunivano per bere o per giocare a scopone o, specialmente nei giorni di festa, quando il vino era più abbondante, per cantare e giocare alla "mùra" (morra).
Fino all'inizio del secolo la popolazione era numerosa e le osterie in paese erano cinque.
Alcune avevano la locanda per i mulattieri in transito.
Nel paese c'erano diverse botteghe: tre fino a dopoguerra, poi due e una sola fino al 1986.
Si vendeva un pò di tutto: zucchero e pasta, olio e sapone, sigari e tabacco, pettini e casseruole di terracotta, fili e bottoni e, per la gioia del palato, anche i famosi canestrelli di Torriglia.
La coltivazione del granturco era molto importante perchè la polenta era un alimento quasi quotidiano.
A settembre, dopo il raccolto e dopo essere state arsuie al sole, le pannocchie venivano aperte e sgranate.
Lo si faceva di sera durante la veglia così il lavoro diventava un allegro momento di ritrovo tra le famiglie per chiacchierare e raccontare fatti, avvenimenti e favole del passato. Alcuni contadini della valle, suonando i loro strumenti, trasformavano le veglie in occasioni di festa.
Il carbone di legna, oltre alla legna stessa, ha rappresentato in passato un combustibile molto importante sia nei paesi sia nelle città e una fonte di reddito per chi lo produceva.
Il carbone veniva ottenuto formando una catasta di legna a forma di cupola, con i pezzi opportunamente disposti e ricoperti di terra: la carbonaia. Dopo l'accensione, al suo interno avveniva una lentissima combustione senza fiamma. In circa dieci giorni il legname, per lo più rovere, frassino e carpino, era diventato carbone. La carbonaia veniva fatta nei boschi, in piazzuole opportunamente preparate.
La stalla
La stalla
Nonostante l'altitudine l'uva matura nei luoghi più soleggiati al di sotto del paese.
Si coltivava il nebbiolo che dava un vinello leggero e gradevole, anche se un pò aspro.
Tutte le attrezzature della cantina erano costruite sul posto.
Qui sono ancora visibili botti, un tappabottiglie e una vite in legno per il torchio eseguita da un eclettico personaggio del posto detto "il Burrasca".
Sotto lo stesso tetto vivevano più generazioni e tutti collaboravano per il buon andamento della famiglia.
Durante l'inverno le donne avevano il tempo per cucire e filare, gli uomini si dedicavano ai più svariati lavori artigianali per arrotondare le entrate della famiglia.
Nella cucina il fuoco era acceso per quasi tutto il giorno per la polenta o per la minestra di castagne o di cavoli, per fare il formaggio o per cuocere la "zutta", beverone per le mucche.
Nello stesso tempo il calore faceva seccare le castagne messe sopra il soffitto fatto a graticcio (seccaisu).
Alcune case erano dotate di forno a legna, una grande risorsa per la famiglia.
Vi si cuocevano il pane, i polpettoni, le torte salate, il castagnaccio e per le feste la focaccia dolce e i canestrelletti con la ricetta di Torriglia.
Le donne, dopo il lavoro nei campi e nelle aie, svolgevano a casa i lavori domestici.
Quasi tutti i giorni c'erano da impastare lasagne o taglierini (taien) che si condivano di solito col pesto aggiungendo fette di patate. Anche gli indumenti erano cuciti in casa.
Si confezionavano maglie, scialletti e calze invernali che risultavano in genere molto ruvidi,utilizzando la lana delle proprie pecore che le donne filavano alla rocca.
Dopo la trebbiatura (battitura) del grano i chicchi dovevano essere separati dalla pula.
Per questa operazione lo strumento più antico era il ventilabro o vallo che veniva mosso con il rapido movimento delle due braccia per spargere la pula al vento.
Il metodo era lento e molto faticoso. Il "ventolino" costruito in legno e semplici parti meccaniche, era uno strumento più progredito che separava la pula in modo molto rapido e meno faticoso.
Era sufficiente girare la maniglia e una ventola interna creava il soffio necessario per separarela pula leggera dai chicchi più pesanti.
Esempio delle più antiche case di epoca medioevale del paese.
Erano costituite da una stalla sottostante, da un ingresso dove si tenevano i secchi dell'acqua, le pentole e il vasellame, da una cucina per la cottura dei cibi e per la mensa e da un'unica
camera da letto sul lato opposto.
Per arrotondare le entrate chi era capace si dedicava, oltre che alla campagna e al bestiame, anche ad altri piccoli mestieri. Il barbiere lavorava soprattutto alla vigilia delle feste e, in estate, si sistemava all'aperto sotto questo portico.
Anche quella del ciabattino era una attività in più. Le scarpe erano quasi tutte chiodate, i cosiddetti brucchin, che con i loro chiodi avevano il vantaggio di agguantare meglio il terreno.
Il pane veniva fatto in casa con la farina di produzione propria, ma all'inizio del secolo una delle botteghe aprì anche un forno per il pane.
Alla vigilia delle feste le donne portavano al fornaio torte e canestrelli per la cottura.
Nelle strade si spandeva un dolce profumo.
Gli attrezzi per il taglio del grano e dell'erba erano preziosi per l'attività agricola e la cura del loro filo
era molto importante. La messùia e la scuriatta (falcetto e falce) venivano affilate battendole con
la martellin-na. Durante l'uso il filo degli attrezzi veniva ripreso con la "codda" (cote) portata alla cintola
dentro al corno con l'acqua.
Nel paese c'era anche il materassaio, detto "battilana" perchè anticamente usava due bastoni legati assieme per battere la lana e renderla soffice.
Più tardi si usò la "scarlassa" che rendeva il lavoro meno faticoso.
Il taglio della legna
Il fabbro soddisfaceva le piccole necessità del paese costruendo inferriate, cardini, serrature e altri piccoli manufatti.
Il magnano era, in questi posti, un artigiano ambulante. Arrivava con i suoi ferri per aggiustare e stagnare pentole. Accendeva il fuoco, che ravvivava con il soffietto, faceva "passare l'acido" nella pentola di rame, fondeva lo stagno e lo spandeva sulla superficie interna.
La pentola acquistava un aspetto caratteristico luccicante come l'argento all'interno e nero fumotutt'attorno. Le donne gli portavano anche le pentole bucate: il magnano metteva una pezza
davanti e una dietro fissate coi ribadini e la pentola tornava di nuovo buona.
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