Si ha notizia di un altro mulino a due ruote sul Pescia da un atto di vendita rogato nel 1491 in Palazzo Fieschi in via Lata a Genova (palazzo di rappresentanza della nobile famiglia).
Con tale documento Lodisio Malaspina di Antonio, marchese di Casanova cedeva a Giò Ludovico de Fisco, suo confinante e parente, un mulino in Val Trebbia contiguo al torrente Pescia.
A Casanova troviamo un mulino chiamato “Bottazzo” costruito nell’ultimo quarto dell’ottocento da Cirillo Casazza detto “Spianta” di Racosta. Il Bottazzo era un bacino costruito per alimentare il mulino di Castello in aiuto del rio alimentatore, Casazza, in estate povero d’acqua. Tanti mulini in zona (destra orografica del Trebbia),
A “Fenestra” piccolo gruppo di case situato sull’incrocio del Rio della Zoccola con quello del Crescione che danno origine al rivo della Maietina, esisteva un primitivo mulino a ruota orizzontale, noto come “Mulino Maxinin”, simile a quello in Valle di Ottone. Sullo stesso corso d’acqua, in Canfernasca, troviamo il mulino dei “Ferra” detto poi dei “Ferdinandi”, dal nome di uno dei Casazza, nonno di “Tognalin”, l’ultimo fabbro di Casanova. Oggi è adibito ad abitazione: questo mulino era diviso in due parti, una zona per la macinazione e l’altra per il fabbro. Più a sud sullo stesso fossato si incontrano alcuni ruderi nei pressi della casa dei “Ballun”.
Un tempo lì si trovava il “mulino dei Checchi”. Il mulino del “lago Oscuro o lago Nero” per la roccia che lo priva di luce, a nord del lago dei Buoi che lì andavano ad abbeverarsi, situato nella parte alta del Pescia, fu costruito nei primi del novecento, forse nel 1905, da Matteo Rauzzi, che aveva cinque figlie, con l’aiuto dell’unico figlio maschio Giovanni. Matteo muore a 36 anni e la vedova, pur con i figli ancora piccoli, cerca di continuare il lavoro, ma dopo qualche anno vende il mulino a Giovanni Casazza. Troviamo in loco dei ruderi e le due macine sono visibili in paese. Giovanni Battista Ferretti “Baciccia” ha l’idea di fornire corrente elettrica al paese sfruttando l’acqua di un affluente del Pescia (Cabone di sotto), incanalandone l’acqua nel bacino delle Valegge e costruendo una centralina idroelettrica presso il Lago dei Buoi. Davvero singolare il “mulino Piovicello – Puixellu”, di cui non si conosce la data di costruzione: situato sotto la roccia di Castello; funzionava solamente nella stagione in cui il Pescia, grazie alle abbondanti piogge era ricco d’acqua. Ne esistono solo rovine. A Fontanigorda, Comune confinante, troviamo sulla riva sinistra del Pescia, i ruderi del mulino “Zan-ma” (Gian Maria), che per primo sembra abbia erogato la corrente elettrica al proprio paese, servendosi di un bacino alimentato da una sorgente in località “Fontanizzi”. Ora la sorgente è incanalata alla conduttura che va alla centralina di Loco.
Procedendo il nostro cammino, lungo il Rio Cugno, che scorre parallelo alla strada Casanova – Fontanigorda, troviamo il “mulino dei Patata”^ora centralina privata della famiglia Berti. Dopo poco incontriamo il mulino “Campane”, così chiamato per l’altra attività di alcuni uomini di casa. Oggi esistono solo ruderi. Un po’ più avanti, ma sulla riva sinistra, incontriamo le rovine del “mulino di Duilio”. Questo molinaro era uno dei componenti della famiglia dei Ferra di Casanova. Duilio aveva diviso il mulino in due zone, in una parte macinava le castagne ed il grano, nell’altra lavorava come fabbro e riparatore di biciclette. La ruota di questo mulino oggi la vediamo nel mulino del Principe. Sempre sullo stesso corso d’acqua, un po’ più avanti ma sulla riva destra, troviamo il “mulino Berto”, ristrutturato oggi al meglio in pietra a vista, trasformato in abitazione. Le sue macine sono diventate due tavolini sistemati nel giardino.
Oltrepassato il centro abitato avvicinandoci al bivio per Casoni, nella zona detta “a stretta”, un tempo lavorava attivamente il mulino di “Vallescura”, oggi una bella costruzione privata con la ruota in perfette condizioni. Questo mulino era fornito di una canalizzazione, in parte ancora esistente ed attingeva acqua dal torrente Vieraia. Aveva una caratteristica: macinava mattoni per poter fare i colori. Il Vieraia, prima di gettarsi nel Rio Cugno, con una chiusa riversa parte delle sue acque nel Pescìa che vanno ad alimentare il bacino della centrale di Loco.
E’ testimonianza di molti che oltre il Bosco delle Fate di Fontanigorda, si trovi ancora la cava di pietra ove si preparavano le macine molitrici. Lungo la strada che da Fontanigorda porta a Loco, poco sopra la località Cotti di Loco, frazione di Rovegno (un tempo parte del feudo di Casanova), troviamo alcuni ruderi che la tradizione tramanda come “murin du Domenego”. Sempre sul Pescia, ma a valle, troviamo una costruzione il cui tetto rasenta la provinciale per Fontanigorda: si tratta di un mulino oggi abbandonato. Numerose sono le date incise sulla porta: la più antica risale al 1790. Si racconta che l’ultimo mugnaio abbia salvato dalle acque impetuose del torrente Maria Rapuzzi, figlia del mugnaio del lago Oscuro di Casanova. Attraverso un documento del 1668 scopriamo l’esistenza di un mulino operante in Rovegno, citato nella “permissione” del 20 dicembre di quell’anno, concessa dalla Principessa donna Violante Lomellina Doria (vedova di Giò Andrea I Doria, signore di queste terre) a Giovanni Viche per costruire una zecca. Testimonianza ne sono i ruderi sul fossato Rolò, il rio che scorre tra la “miniera” e la fontana degli “orti” e si getta nel Trebbia dalla riva destra. E’ ancora ricordato come “u murin du rucugnu” purtroppo sepolto da una frana.
Sempre in Rovegno, in località Valle e precisamente sotto la zona detta “a scabbietta”, vi era un mulino detto “de Miliari” che si serviva di una “ciusca”, cioè di canale in pietra con pareti lisce per dare velocità all’acqua presa a monte dal Trebbia e così far muovere la ruota. Esso aveva due aree di lavoro: una adibita alla macinazione e l’altra all’officina del fabbro. Ad Isola, frazione contigua, il mulino si trovava sulla riva destra del Trebbia come i due precedenti, vicino all’attuale ponte che porta in Spescia. Veniva alimentato come quello “de Milian”. Una sua macina è stata usata per una fontana nelle vicinanze, la ruota si trova a Spescia. Ultimo mugnaio è stato Riccu di Fontanarossa che contemporaneamente commerciava in vino e ha operato dal dopoguerra sino all’alluvione del 1953. Si racconta che in occasione di tale calamità Guaraglia Enrico detto Riccu e Isola Andrea detto Dino abbiano salvato Aristide Casazza detto Noni, che occupava la parte del mulino dedicata alla fucina, mentre cercava di attraversare il fiume per salvarsi dalla piena usando il sistema in uso. Questo sistema era costituito da due tavole che poggiavano su di un grosso masso al centro del letto del fiume, legate all’estremità ad un palo conficcato nel terreno e corredato in alto da uno “strafilo” d’acciaio che serviva per tenersi ed in caso di pericolo per appendersi alla carrucola. In un secondo tempo fu installato un carrello di legno, manovrato da una manovella che lo faceva scorrere su di un filo d’acciaio. Il passaggio era molto frequentato perché metteva in comunicazione la via comunale con Fontanarossa, Fascia, Carpeneto e Cassingheno. » Sulla via che dalla Colonia di Rovegno porta a Pietranera, dopo il ponte sulla destra troviamo i ruderi di un mulino che funzionava con l’acqua del fosso del “Rìccio”.
Sempre sullo stesso corso d’acqua, ma nei pressi del ponte che da Pietranera conduce a Rovegno, incontriamo le rovine di un mulino con la ruota orizzontale sul fosso, perché, essendo poca la pendenza, l’acqua potesse picchiare contro essa e imprimere la rotazione.
Secondo le informazioni avute da alcuni anziani della frazione, i mulini funzionanti in Pietranera erano sette. Ogni ceppo familiare aveva il proprio e tutti macinavano castagne, grano e più tardi granoturco. Purtroppo oggi di cinque non rimane traccia. Chi ha meno di ottant’anni afferma di averne sentito parlare senza però averli mai visti. Continuando il cammino, a Foppiano, sul “fossato Fario” incontriamo un mulino funzionante e da sempre proprietà condominiale, ristrutturato nel 1999 con la ruota in ferro e la vasca di carico.
A partire dall’età napoleonica vennero costruiti numerosi mulini di proprietà collettiva, come ancora risulta quello appena citato, che consentivano di annullare ogni balzello, facendo sentire la gente più libera.
Ogni frazionista (comproprietario) ne usufruiva per alcune giornate, secondo turni precisi, per macinare il proprio prodotto ed era tenuto a prestare periodi di lavoro gratuito per la manutenzione.
Lungo il rio di Ottone si contano tre mulini di questa epoca. Uno utilizzato fino agli anni cinquanta (a partire dal 1850) constava di una piccola ruota, ad asse orizzontale collegata alla macina sovrastante; tutte le parti erano saldate ad incastro. La ruota motrice era mossa da un getto d’acqua che cadeva dall’alto. Nei mulini il legno usato per le ruote e gli ingranaggi doveva avere caratteristiche particolari come la durezza e la tenacità; veniva usato di preferenza il legno del “asbornu” cioè il maggiociondolo, che in primavera offre bellissime infiorescenze a grappolo di colore giallo, simile all’acacia il cui legno è bianco esternamente e marrone all’interno. Altro legno usato era il faggio il quale non marcisce finche vi corre sopra l’acqua.
(Tratto dalla pubblicazione “Rovegno e dintorni – …Mulini…,Vita…,Economia…”
Comune di Rovegno – Assessorato alla Cultura
Comunità Montana delle Alte Valli Trebbia e Bisagno
Provincia di Genova)
(La fotografia del mulino di Casanova è di Andrea Bagnasco)
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