Orgogliosi di focalizzare vieppiù l’attenzione sulla città, i bobbiesi si sono inventati un trittico di grandi personalità che, in epoche diverse, avrebbero visitato la nostra città (alludo a Dante, a Leonardo e ad Hemingway) e ne avrebbero lasciato testimonianza nelle loro opere (il primo ed il terzo nei loro scritti, il secondo nel suo dipinto più famoso).
Pura fantasia o inoppugnabile realtà?
Rimandando ad altre occasioni le opportune riflessioni sul pittore e sullo scrittore nordamericano, mi limito qui a parlare di Dante.
Le domande da farsi sono due: passò, nel suo peregrinare da esule, a Bobbio? E poi: ne parlò nella Commedia?
Quanto alla prima, mio nonno Erminio che, oltre che fare l’avvocato, si divertiva a verseggiare, in un’ode dedicata a Dante, così si espresse: “Nei tristi giorni qui, forse, venisti/ o poeta, a l’ostel Malaspina, / e questo monte, tacito, salisti/ e mirasti la placida collina” (“Voci bobbiesi”, Torino 1912). Usò l’avverbio “forse” mentre avrebbe dovuto, dal suo punto di vista, scrivere “certo”; infatti in una nota a piè pagina si affrettò a precisare che l’arrivo del fiorentino a Bobbio era confermato da Ludovico Antonio Muratori, Niccolò Tommaseo e Vincenzo Monti. Purtroppo non sono stato in grado di verificare l’assunto: ho già passato molto del mio tempo libero a rileggere tutte le opere di Hemingway per cercare (senza successo) se fosse lui -come si conclama- il padre dello slogan turistico “La Valtrebbia è la più bella valle del mondo”. D’altra parte lo storico Alessandro Barbero, nel suo libro su Dante pubblicato nella ricorrenza del settimo centenario della sua morte (ed. Laterza, 2021),ricostruendo analiticamente i movimenti del poeta non ha accennato ad un suo passaggio per Bobbio.
Rispondere alla seconda domanda sembrerebbe più facile perché è incontestabile che Dante non ha mai menzionato Bobbio. Però si è osservato che avrebbe citato il suo più illustre rappresentante, con il conseguente assioma che chi parla di San Colombano parla della nostra città.
Ma Dante ha parlato veramente di San Colombano?
Oltre settanta anni fa ripresero con più attenzione gli studi colombaniani (è del 1951 la costituzione dell’associazione “Gli amici di San Colombano”); in quel tempo io, studente liceale obbligato dai pro- grammi ministeriali a leggere tutta la Divina Commedia, mi misi a verificare se, fra le innumerevoli persone collocate nei tre cantici, si facesse menzione anche del nostro santo. Non se ne fa parola ma quando, nel canto XXXII del Paradiso al verso 50, mi imbattei nell’endecasillabo “Francesco, Benedetto e Augustino” da tutti i commentatori riferito a San Francesco, a San Benedetto e a Sant’Agostino, prospettai -in una garbata discussione con una mia parente- l’ipotesi che in realtà il verso originario fosse “Francesco, Colombano e Augustino” e che solo anni dopo, con l’entrata dell’ordine monastico bobbiese sotto l’egida benedettina, si fosse operata una sostituzione del secondo santo.
Falsa idea, anche se resta inspiegabile il silenzio verso chi aveva avuto una notevole influenza nelle relazioni europee tanto da essere proposto ai tempi nostri come patrono dell’Europa (il 31 ottobre 1989 papa Giovanni Paolo II scelse invece i fratelli Cirillo e Metodio).
Dobbiamo allora concludere che Dante si disinteressò di San Colombano?
Nel corso di una conferenza tenuta il 17 marzo 2018 nel palazzo vescovile di Bobbio, dal titolo suggestivo “San Colombano e Dante, un giallo letterario”, lo studioso Marcello Vaglio ha sostenuto il contrario; il santo è stato citato, sia pure in modo molto criptico.
Ed eccone il ragionamento.
La premessa è che Francesco (trattato nel canto IX del Paradiso) e Colombano sono due figure, per caratteristiche e storia, assai simili, tanto da essere sovrapponibili.
I due, per intanto, erano propugnatori di un esasperato pauperismo, inteso come ideale di vita ispirato alla povertà evangelica (“la donna più cara” secondo il poeta, verso 113).
Inoltre, riferendosi alla nascita di Francesco, Dante dice che “nacque al mondo un sole” (verso 50) e queste parole si riscontrano anche nella storia di Colombano, dove si legge: “sua madre, che già lo portava in grembo, all’improvviso nel profondo della notte vide un sole scintillante e risplendente uscire dal suo seno e portare al mondo gran luce”.
Collegando quanto ellitticamente dice Dante all’ampia biografia su Francesco, non va dimenticato che il conte Orlando da Chiusi aveva donato a Francesco un ampio territorio presso il monte della Verna (“intra Tevere e Arno”, verso 106), quivi aveva trovato un oratorio che aveva riattato, si era ritirato in una caverna (“il crudo sasso”) per pregare. Proprio la stessa storia di Colombano che aveva ricevuto, secoli prima, le terre bobbiesi in dono dal re Agilulfo, aveva trovato sul posto una vecchia chiesa e si era ritirato a pregare in una spelonca.
In conclusione, secondo il professor Vaglio, nei versi dedicati a Francesco ci sono tre connotazioni (il sole, la donazione e la preghiera solitaria) che si adattano perfettamente alla storia di Colombano, per cui è da pensare che la sua persona sia stata fusa con quella di Francesco e, testualmente, “parlare dell’irlandese sarebbe stata un’inutile ripetizione”.
Dunque, dove si legge Francesco si deve leggere il binomio Francesco-Colombano!
Galoppante fantasia interpretativa? È sufficiente tutto ciò per affermare che Dante parlò di San Colombano e implicitamente di Bobbio?
Costanzo Malchiodi
(Articolo tratto dal N° 4 del 03/02/2022 del settimanale “La Trebbia”)
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