Il 9 luglio 2020 si è spento a Genova Dario Rebolini, uno degli ultimi partigiani della divisione garibaldina “Cichero”.
Dario era nato a Zerba (comune della val Boreca) il 20 aprile 1924, presso una famiglia ancorata ai più solidi principi morali, tra i quali primeggiavano l’onestà ed il rispetto per il prossimo. La bellezza selvaggia delle lussureggianti valli Boreca e Trebbia instillarono nel giovane Dario l’amore per la vita e la natura.
Egli trascorse la sua infanzia tra l’attenta educazione impartitagli dai genitori e l’opera educatrice ricevuta dalla maestra elementare della scuola di Ottone. Verso la fine degli anni ’30, nubi minacciose andavano addensandosi sull’Europa e le avvisaglie dell’imminente conflagrazione mondiale raggiunsero anche il tranquillo e ridente comune di Zerba. Nella primavera del 1943, Dario ricevette la cartolina precetto e venne arruolato nel Regio esercito.
A causa di un errore burocratico fu registrato con il nome Giuseppe, anziché Dario. Dopo l’addestramento preliminare venne destinato al fronte Jugoslavo dove visse mesi drammatici, caratterizzati da scontri armati e imboscate subite nel contesto dell’insidiosa e asimmetrica guerra contro l’esercito di liberazione del maresciallo Tito. In seguito alle vicende armistiziali dell’8 settembre 1943, come migliaia di soldati Italiani impiegati all’estero, Dario si ritrovò braccato dai soldati tedeschi che catturavano e deportavano in Germania i militari italiani. In modo avventuroso e solo dopo alcune settimane, riuscì a raggiungere la sua famiglia a Zerba.
Nel frattempo l’esercito germanico aveva occupato l’Italia centro-settentrionale, impegnandosi in cruente battaglie contro le armate anglo-americane che, al prezzo di pesanti perdite, risalivano faticosamente la penisola. Gli Italiani precipitarono nella nefasta e dolorosa spirale della guerra civile, dividendosi in chi scelse di schierarsi con la Repubblica sociale (il neo-costituito governo fascista creato da Mussolini) e chi decise di salire in montagna per organizzare la resistenza contro i fascisti e i tedeschi invasori. In quel periodo caotico Dario trovò asilo presso la famiglia che lo protesse dalle frequenti visite dei militi della Guardia Nazionale Repubblicana, che ricercavano in tutta la vallata gli uomini in età di leva. Nei mesi a seguire iniziarono a formarsi, anche nelle valli Trebbia e Boreca, i primi nuclei del movimento resistenziale e Dario decise convintamente di aderirvi, unendosi ad un gruppo di partigiani da poco concentratosi tra Zerba e Vesimo. Nella tarda primavera del 1944 per Dario Rebolini avvenne la svolta: l’incontro con Aldo Gastaldi, il partigiano cattolico “Bisagno” che più tardi assumerà la direzione della divisione “Cichero”.
Un giorno, mentre si trovava a Zerba, presso la trattoria Stevollo, Dario fu interpellato da un valligiano che gli chiese se era disposto ad accompagnare un partigiano presso la frazione di Bogli. Quel giovane, che era giunto a Zerba a bordo di una motocicletta, era “Bisagno”, il primo partigiano d’Italia che gli abitanti dell’entroterra ligure conoscevano già per il coraggio ed il profondo senso di giustizia. Nel lungo e faticoso tragitto verso Bogli i due fecero conoscenza e Dario rimase affascinato dal carisma e dalla statura morale del futuro comandante della “Cichero”.
Nell’alta val Trebbia e zone contigue era già noto che Aldo Gastaldi aveva costituito la sua formazione infondendo nei suoi uomini un codice comportamentale, nel quale erano fissate delle regole etiche ben precise, come ad esempio: il rispetto per la popolazione; il divieto assoluto di importunare le donne; le libere votazioni attraverso le quali i partigiani potevano scegliere liberamente il proprio comandante; il divieto di fare politica nella formazione; l’obbligo di pagare gli approvvigionamenti alimentari richiesti ai contadini, ecc. Queste regole vennero in seguito denominate “codice Cichero” . Giunti a Bogli, “Bisagno” si intrattenne con un gruppo di ex prigionieri russi, evasi da un campo di prigionia del piacentino e candidati ad entrare nelle file della resistenza. Sulla strada del ritorno, Bisagno chiese al giovane Dario se desiderava unirsi ai suoi partigiani e questi aderì prontamente. Giunti a Zerba, Bisagno fornì a Dario le indicazioni per raggiungere uno de suoi distaccamenti, dicendogli di scendere in val Trebbia e di presentarsi, a nome suo, a Stefano Malatesta (nome di battaglia “Croce”) e aggiunse che con quei ragazzi si sarebbe trovato bene.
Dario seguì le indicazioni ed entrò a far parte di quella che sarebbe diventata la brigata “Jori”. Egli divenne un punto di riferimento per il comandante “Croce” e per tutti i suoi compagni, con i quali condivise gioie, soddisfazioni ma anche tanti sacrifici, patimenti, pericoli, paure e dolorosi lutti. Nel 2013, Dario Rebolini pensò di scrivere un libro attraverso il quale tramandare alle giovani generazioni il racconto della vita vissuta da quei ragazzi che scelsero di battersi in nome della libertà e della giustizia sociale. All’alba degli 89 anni, Dario si cimentò con il computer e, in piena autonomia, scrisse tutti i suoi ricordi della lotta partigiana.
Pochi mesi dopo, grazie al suo impegno prese vita il libro, intitolato: “BISAGNO E I SUOI PARTIGIANI”. In questo volume, Dario ci ha consegnato una testimonianza pura, sincera, priva di retorica e avulsa da condizionamenti ideologici. Egli ha rievocato i rastrellamenti nazi-fascisti dell’agosto 1944 e del dicembre 1945, il tragico bombardamento della frazione di Vesimo operato da “Pippo”, il cacciabombardiere notturno anglo-americano che operò nei cieli dell’Italia settentrionale dal 1944 al ‘45. Oltre ad episodi drammatici come gli scontri armati sostenuti contro i tedeschi e i fascisti repubblicani, sono riportati fatti ed eventi di tutti i giorni che caratterizzarono la vita, le ansie, i progetti e le speranze di quei ragazzi che come Dario si batterono per il bene comune.
Alessandro Brignole
(Articolo tratto dal N° 10 del 18/03/2021 del settimanale “La Trebbia”)
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