Quando Bogli d’inverno era sepolta dalla neve
Bogli (1067 m. di altitudine), contava oltre 600 abitanti ancora tra le due grandi guerre del secolo scorso. L’ultimo parroco residente, don Luigi Genesi (1931/1998), mi parlava delle immense nevicate dei suoi tempi (1954/60): “Scomparivano le strade, le case, le cose… sotto un’alta coltre di candida neve: da novembre a marzo. Il “provino” si aggiungeva puntuale e molto temuto, ad aggravare l’esistenza dei valligiani. Neve sottile e ghiacciata, spinta da tramontane fredde, potenti, pressanti, si insinuava con facilità nelle strette fessure: tra le lastre del tetto, tra gli infissi. Addirittura entrava in casa attraverso le toppe delle porte. Non aveva bisogno di chiavi, né di farsi aprire, per diventare ospite (molto), indesiderato! Si accumulava di qua, di là, senza riguardi, tra le case, davanti alle porte, quasi a voler separare gli abitanti tra loro, sequestrarli”.
Il parroco di Bogli era tenuto a celebrare la Messa domenicale e di qualche altra solennità dell’anno anche nella frazione di Artana (1120 metri di altitudine) Secondo un’antichissima tradizione, risalente alla Diocesi di Tortona medievale, il Sacerdote negli spostamenti dall’uno all’altro paese era accompagnato da rispettivi parrocchiani, in tutti i lunghi mesi invernali, specie durante nevicate in corso. Tempeste e nebbie impedivano, invece, qualsiasi movimento.
Uno scelto gruppo di giovani robusti e capaci precedeva. Battendo in modo energico le estremità sulla superficie nevosa, ricavava una specie di sentiero in grado di sostenere pesi e passi. La loro precisa conoscenza dei luoghi impediva effetti di pericolosità latenti e possibili disorientamenti, sempre in agguato. Ai confini del territorio di pertinenza frazionale erano in attesa altri per farsi carico del prosieguo. Di certo qualcuno ricorda quel parroco e quelle imprese.
La testimonianza è rivolta ai giovani: possano evincerne utili elementi per la comprensione della durezza della vita sui monti, degli enormi sacrifici dei loro antenati e regolarsi.
Attilio Carboni
(Articolo tratto dal N°7 del 25/02/2016 del settimanale “La Trebbia”)
Il suono del corno a Bogli in Val Boreca
A Bogli, nel tempo del Regno d’Italia e, prima ancora, in quello dei feudi, eventuali annunci dell’Autorità, aventi urgenza ed importanza, erano anticipati dal suono del corno. Se ne occupava il “caporale” in antico; quindi il “capo frazione”. La gente impegnata in lavori agricoli vicini e lontani, ogni cosa tralasciando a quel richiamo subito accorreva, come d’uso. Poco dopo il Messo poteva parlare a tutti in modo diretto. Oltre mezzo secolo fa, il racconto di cui sopra, mi faceva tornare alla memoria lo studio dell’epica, o me ne accresceva curiosità ed interesse: Orlando a Roncisvalle e il suo olifante. Un suono tanto potente da non trovare ostacoli tramonti e valli, arrivando all’estremo orizzonte, chiaro e forte. Anche Bogli e la Val Boreca hanno scritto, di certo, belle pagine epiche di storia e di vita.
Attilio Carboni
(Articolo tratto dal N°8 del 03/03/2016 del settimanale “La Trebbia”)
Fotografia di Francesco Favalesi)
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