Ai giovani della sua Bobbio ripete spesso: «I vostri avi vi hanno lasciato queste ricchezze, inventatevi un lavoro per rimanere qui a goderle». Marco Labirio, l’imprenditore che con la sua famiglia guida la “Gamma Spa”, è nato «proprio sui terreni dei vecchi bagni delle terme di San Martino», nel gennaio del ’37. Figlio di contadini («erano mezzadri»), ha vissuto nella città trebbiense fino ai 18 anni, senza andare alle superiori, che a Bobbio ci sono sempre state. «A quei tempi i proprietari dei terreni non volevano perdere la manodopera. Della mia generazione nessuno, figlio di mezzadri, ha studiato. Così come i grandi possidenti agricoli hanno sempre fatto il possibile per non avere fabbriche nel Piacentino: altrimenti rimanevano senza lavoratori».
A 18 anni si trasferisce a Milano. «Non volevo fare l’agricoltore – racconta – non era quello il mio futuro. Così ho fatto il venditore di cosmetici per gli istituti di bellezza: anche allora le donne e gli uomini “ci tenevano” alla cura di sè. Era divertente come professione». Nel ’61 si presenta un’occasione per tornare a casa. «L’Elettrotecna di Bobbio cercava un tuttofare. Dovevo iniziare a pensare anche alla vecchiaia dei miei genitori e non volevo portarli in un condominio a Milano: significava ucciderli».
Così Labirio torna – «era il 19 aprile 1961» – per una ditta che si occupa di isolanti. Molti anni dopo, nell’82, nasce la “Gamma” per volere di diversi soci. «Se la prima faceva materiali isolanti, la seconda produceva corpi riscaldanti. Dividevo il mio impegno su entrambe». Dieci anni più tardi, nel ’92, rimane solo la famiglia Labirio a portare avanti la realtà e nel frattempo i figli Mauro e Laura «sono cresciuti e desiderosi di darmi una mano». «Piano piano l’azienda cresce e ha bisogno di più collaboratori. Entra anche mio genero, Paolo Bellagamba, e grazie soprattutto alle capacità dei miei figli (e all’impegno dei nostri collaboratori) e a tanta fortuna, diventiamo più forti».
Il risultato?
Gamma Spa, oggi, ha oltre 200 dipendenti. Che in una piccola realtà come questa significa 200 famiglie che vivono a Bobbio, nelle sue frazioni o nei paesi limitrofi. Duecento famiglie che stanno principalmente in Valtrebbia. «Sento una grossa responsabilità – confida Labirio, nel suo ufficio dove entra tutte le mattine alle 6 – perché se le cose vanno male, duecento famiglie devono andarsene».
L’attività della Gamma sarebbe stata ancora più redditizia se avesse portato l’azienda a Piacenza o in Lombardia?
«È una “prova del 9” – risponde – che non c’è. Abbiamo accettato il fatto di essere nati qui e che le cose sono andate bene. Non si può pensare di delocalizzare un’impresa come questa da un’altra parte, significherebbe tradire la valle. Non ci ho mai pensato: finché vivo, rimarrà qui. Anche i miei figli sono molto legati a questa valle, poi non so cosa porterà il futuro. Mi auguro ovviamente che l’impresa continui anche tra molti anni».
Qualcuno le hai mai detto che siete troppo lontani dal mondo produttivo e perdete “il treno” dello sviluppo?
«Veramente ci dicono che lavoriamo in un’isola felice, a due passi dal fiume, in mezzo al verde dove i dipendenti possono fare la pausa pranzo. A pochi passi c’è la spiaggia, si può fare il bagno. In città possono trascorrere le pause in questo modo? Non mi pare».
Durante la chiacchierata Labirio ripete più volte il concetto di “risorsa umana”. «Per me è la cosa più importante. Senza le “risorse umane”, non sarei qui. Ci vuole rispetto, umiltà e disciplina nel lavoro, e i dipendenti vanno messi a loro agio. Mi riferisco a parcheggi, ordine, salubrità. Se lei fosse venuto a mezzogiorno a intervistarmi avrebbe trovato molti lavoratori qua sul lungo fiume».
L’economia, però, sembra andare in un’altra direzione e fregarsene di queste cose. Centralizzare, accentrare, tagliare. E la crisi economica fa sì che se ci sia sempre qualcuno disposto a fare il tuo mestiere con meno soldi. «È una questione di visione e la mia – prosegue – per qualcuno, è forse un po’ retrò. Nel dopoguerra abbiamo spostato le risorse umane verso le città e le metropoli, e non è stato facile. In Valtrebbia c’erano molti abitanti e non credo che tutti quelli emigrati siano stati meglio».
«La verità è che in Valtrebbia, anche durante la guerra, nessuno è morto di fame. Tutti avevano il pane bianco. Se domani mattina si fermano di colpo i trasporti, la città cosa fa? Come mangia? Abbiamo sbagliato qualcosa, mi sa».
Il 2020 è stato un anno di grandi cambiamenti, da qui bisogna ripartire per una riflessione. «Questo virus – incalza Labirio – c’insegna che dovremo vivere in un altro modo. Tanti, penso almeno una quarantina, hanno spostato la residenza a Bobbio la scorsa estate».
Sei anni fa l’azienda si è dotata della banda larga. «Abbiamo tribolato molto per averla, ma adesso siamo ben connessi con il globo. Se tutti l’avessero, cambierebbe tantissimo. La Valtrebbia è la periferia di Milano e l’entroterra di Genova, potrebbero venire a vivere in tanti da queste parti. Sono fiducioso: le cose miglioreranno. La banda larga cambierà l’economia della valle».
L’amarezza per quello che si è perso per strada è notevole. «Bobbio era diocesi autonoma, avevamo tutto. Purtroppo sono stati chiusi tanti servizi per accentrare tutto a Piacenza, pensando di ridurre i costi. Stiamo pagando il prezzo di scelte prese negli anni precedenti».
L’imprenditore viene spesso chiamato a confrontarsi con gli studenti delle quarte e delle quinte di Bobbio. «A loro ripeto sempre: i vostri avi vi hanno regalato ricchezze. Inventatevi un lavoro per rimanere qua. Se andate altrove perderete i beni che avete e vi troverete costretti a pagare un mutuo per tutta la vita».
Poi l’accessibilità è una chimera, anche se si vive in un contesto urbano. «Se abiti nell’hinterland di Milano non è che sei collegatissimo come pensi, con tutto il tempo perso imbottigliato nella tangenziale… E la vita è cara, una casa costa troppo e non trovi neanche il posto dove parcheggiare la tua bicicletta».
«Purtroppo andavano portate le industrie dove c’erano risorse umane – incalza nel discorso – come le nostre vallate di montagna. E il risultato? Che nel ’43 a Bobbio c’era due prime elementari da 40 maschi l’una e tutti mangiavano. Oggi invece vedo la fila alla Caritas di Piacenza che si allunga».
Labirio mette in pratica, come può, la sua “visione”. «Ci siamo accorti che mancava un asilo nido a Bobbio. Così lo abbiamo fatto un paio di anni fa, ora ospita 11 bambini. Le giovani coppie non dovranno più andare a Travo e Rivergaro», (e ai figli dei suoi dipendenti la retta la paga la Gamma). «Cinquecento giovani vivono da Travo in su. Non vanno persi. La politica ci pensa a questo? No. E la logistica non può essere la risposta alla mancanza di lavoro. Sono stipendi non consistenti, non c’è know-how, né ricerca e sviluppo. A Piacenza non siamo stati capaci neanche di avere un luogo di vendita al pubblico di Ikea poi…».
Sul dramma di ponte Lenzino (con il cantiere che procede a rilento) vuole essere ottimista: «Spero che il commissariamento porti dei frutti. Senza le infrastrutture non si va da nessuna parte. O si sistema questa Statale adesso o mai più». Ma è un’altra la richiesta che fa alle istituzioni. «Lo dico da tempo alla Confindustria e al suo presidente Francesco Rolleri. «Dobbiamo coinvolgere di più Genova. Facciamo un meeting a Ottone, terra di confine, tra gli enti locali e le Confindustria dei due territori. Lavoriamo a qualche progetto insieme per la Valtrebbia, ma in generale per tutte le quattro valli piacentine». Ad esempio? «Trovo vergognoso che vengano importate le carni francesi per servire il territorio ligure. Noi siamo rimasti con pochi pascoli in queste terre e i francesi ci piazzano le loro carni. Siamo capaci anche noi di allevare eh, lo abbiamo sempre fatto».
Perché nessuno investe sulla montagna? «Perché siamo un po’ egoisti. Non si pensa mai alla “risorsa umana”. Le multinazionali ti fanno sentire un numero: se non servi, ti scaricano dopo un secondo. Abbiamo anche noi personale interinale alla Gamma, siamo costretti perché il mercato è fatto di “alti e bassi”. Chiedo ai miei collaboratori: controllate se questa persona sta realmente ricevendo l’assegno di disoccupazione in attesa che la richiamiamo. “Ma cosa te ne frega?”, qualcuno mi dice. “Eh no, se non mangia mi preoccupo eccome».
Sulla defiscalizzazione dell’Appennino «nessuno si è voluto impegnare». «Eppure è un tema che riguarda dal Piemonte alla Calabria e che potrebbe cambiare l’economia di queste zone. Invece di far pagare un registratore di cassa a un’attività di Coli, diamo un incentivo. E si portano tutti i servizi in città (o a Parma). Così come il punto di primo intervento medico di Bobbio deve rimanere, fa da filtro. La gente non può perdere l’intera giornata al pronto soccorso di Piacenza».
L’84enne Labirio, nonostante i problemi che attanagliano questa valle, guarda il domani con speranza. «Ho fiducia. Bisogna sempre pensare in positivo, il domani sarà migliore e tutte le cose difficili di questo mondo hanno una soluzione. Ho la fortuna di stare bene quindi non faccio fatica ad alzarmi alle 5 e venire in azienda alle 6». «Mi auguro che l’uomo del futuro – conclude – sia molto più lungimirante, ma al tempo stesso non dimentichi di guardare anche indietro, al passato, e a chi ha bisogno. Spendendosi per il prossimo. Questo virus ci deve far pensare diversamente, siamo tutti fragili, ricordiamocelo».
Filippo Mulazzi
https://www.ilpiacenza.it/(28/02/2021)
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