Al nostro comunicato del IV Novembre il nemico a tutta prima parve che non sapesse né potesse reagire. Siamo ormai alla fine di novembre e l’inverno s’avanza: le nostre formazioni hanno rioccupato l’intero territorio della sesta zona e quasi non hanno trovato resistenza.
L’Oreste e l’Arzani, due delle brigate della divisione, al comando di Scrivia e di Moro, sono scese nelle vallate del Vobbia e del Minceto, e ora si spingono sulla camionale, bloccano il traffico, attaccano presidi, prelevano prigionieri a Ronco, Isola del Cantone, Rigoroso, Stazzano; mentre la Cajo che è passata anch’essa alle dipendenze della Cichero, occupa Santo Stefano, che è una grossa borgata nell’Aveto. Dal canto loro le brigate Berto e Jori, al comando rispettivamente di Banfi e di Croce, investono Gattorna, scendono a Borgonovo, fanno saltare il ponte di Carasco dov’è un grosso contingente tedesco, e controllano l’intera valle del Trebbia; la Coduri infine all’ala destra dello schieramento domina il litorale e quasi giornalmente opera colpi di mano in quel di Sestri Levante.
In tutta la zona su tedeschi e fascisti incombe il pericolo delle nostre incursioni : hanno finito col trincerarsi in posti di blocco, protetti da cavalli di Frisia e da casematte, e si guardano bene dall’allontanarsi, mentre all’inizio delle grandi strade di comunicazione, quella del Trebbia, della Fontanabuona, dell’Aveto e di Centocroci, ricompaiono i cartelli «Actung! Bunden gebit» che avvertono i viandanti del pericolo di inoltrarsi in quella zona infida, infestata dai banditi.
Pare quasi che il nemico si sia rassegnato ad aspettare la fine delle ostilità rinunciando ad attaccarci.
Ma ecco che il Comando tedesco chiede un’altra volta di parlamentare e al posto di blocco ripristinato nelle gole del Pertuso si presenta un maggiore tedesco accompagnato da un ufficiale italiano che gli fa da interprete:
«Il signor maggiore vi dà atto che siete bravi soldati e coraggiosi… ma che la lotta è troppo dura per voialtri che mancate di tutto… mancate di viveri, di medicinali, di munizioni… e ancor più dura si farà quest’inverno… dice che non dovete farvi illusioni… ». Parla affabilmente, come se conversasse con amici: e il tono stesso della sua voce esprime preoccupazione per le nostre condizioni. L’ufficiale italiano continua a tradurre:
«L’Alto Comando Tedesco l’ha incaricato di dirvi che se deporrete le armi garantirà la vita a tutti… soldati e ufficiali… e con la sua garanzia… garanzia scritta… firmata dall’ Alto Comando… potreste tornarvene a casa senza che nessuno osi molestarvi… ».
Ma Attilio, il commissario che si è presentato all’incontro l’interrompe: «Gli dica che le nostre armi le abbiamo conquistate a voi e ai tedeschi, e l’abbiamo conquistate per servircene: se le rivogliono abbiano il coraggio di venirsele a prendere…».
Ora il tono di voce del maggiore s’è fatto improvvisamente aspro e ordina: «Tradurre, tradurre subito!» e l’ufficiale italiano s’affretta a tradurre: « Il maggiore dice che stanno facendo affluire i mongoli… un’intera divisione di mongoli, provenienti dall’Ossola… in val d’Ossola non hanno risparmiato nemmeno le donne… e anche qui non risparmieranno nessuno… dice che con la vostra cocciutaggine vi assumete la responsabilità di quanto potrà accadere alla popolazione…».
Ma Attilio gli ha già voltato le spalle, e mentre quelli, interdetti lo guardano allontanarsi, senza affrettarsi raggiunge il posto di blocco: in questo modo pone termine al colloquio. S’inizia con questo episodio il periodo più tragico della lotta di liberazione mentre il generale Alexander esorta i partigiani a tornarsene a casa, truppe di ex prigionieri mongoli inquadrati da tedeschi danno inizio al grande rastrellamento dell’inverno del ’44; con rapide puntate, che vengono effettuate in piena notte e in condizioni difficilissime, per sentieri impraticabili, occupano di sorpresa le borgate in fondo valle, si installano in villaggi abbarbicati sulle pendici dei monti, terrorizzano le popolazioni; eppoi improvvisamente, non si capisce come, si disperdono, dileguandosi, per tornare subito dopo sui loro passi, magari alle prime luci dell’indomani. Con tale tattica è difficile prevedere i loro movimenti, mentre una ridda di notizie contraddittorie che pervengono da ogni dove, in un primo tempo, impediscono al nostro Comando di organizzare una difesa e di preparare contrattacchi e imboscate.
A metà gennaio i mongoli avevano raggiunto Rezzoaglio e pareva che di lì, seguendo il corso dell’Aveto, volessero scendere fino a Marsaglia per congiungersi con la colonna proveniente da Bobbio e con quella spingersi nella valle del Taro, in direzione di Bedonia; invece, risalita la provinciale occupano Santo Stefano da dove la Cajo ha fatto appena in tempo a ritirarsi, e improvvisamente ridiscendono in direzione del passo della Forcella. Qui organizzano un vero caposaldo, con campi di mine, trincee e reticolati; e da quel passo si limitano a controllare la zona.
Ora dal passo del Bocco, da Reppia e da Velva, dove erano già affluiti notevoli rinforzi di alpini e di bersaglieri comandati da tedeschi, si scatena un furioso attacco: la brigata Coduri, nella sacca di Comuneglia, si direbbe destinata ad essere annientata, invece con una marcia notturna operata in condizioni inimmaginabili, è riuscita a filtrare attraverso la rete che si sta rinserrando e s’è piazzata a Issioli, alle spalle dello schieramento attaccante.
Dal canto suo la Brigata Berto ha potuto raggiungere Sopra la Croce e s’è attestata sulle alture che dominano questa località, mentre, sull’altro versante del Trebbia, la Jori ha rioccupato Casa del Romano, riallacciandosi alla Brigata Oreste nei pressi di S. Clemente.
Siamo ai primi di febbraio e il Comando della Divisione è stabilito a Carrega: puntando su questo obiettivo i tedeschi risalgono rapidamente in val Borbera, ma a Cartasegna vengono fermati dagli uomini della Jori, mentre a Dova e a Pian Cerreto la brigata Oreste assesta duri colpi alle colonne dei rinforzi. I nostri sono ormai passati al contrattacco e come falchi piombano ovunque viene segnalato il nemico: a Cantalupo, a S, Clemente, a Boggi, a Rondanina, a Montoggio. Finchè, al nemico non rimane che asserragliarsi nella colonia di Torriglia e al passo della Forcella.
Così ha termine la seconda fase del rastrellamento dei mongoli, rastrellamento che sarà anche l’ultimo.
Nel suo ordine del giorno il Comando della Divisione Cichero può annunciare: «Finalmente il nemico sta rientrando alle sue basi con lo smacco subito, mentre il pianto delle mamme cui sono state violentate le figlie lo segue come una maledizione. Giusta rappresaglia, 37 mercenari mongoli col loro comandante tedesco, fatti prigionieri, sono stati giudicati dalle popolazioni e passati per le armi sul luogo stesso dei loro delitti. Il Comando rivolge un alto elogio a tutti coloro che hanno combattuto, e in special modo alle Brigate Jori e Oreste, che con il loro spirito aggressivo hanno dato alla causa questa nuova vittoria»; tributa un encomio solenne al Comandante di brigata Croce, con la seguente motivazione:
« Comandante di Brigata e impareggiabile partigiano, in due mesi di duri combattimenti si prodigava infaticabile per preparazione e il coordinamento dei propri reparti. Sempre presente ove maggiore era il pericolo: in combattimento di esempio e sprone ai suoi uomini».
(Brano tratto da “La Repubblica di Torriglia” di Marzo – Di Stefano editore)
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