Ai primi di aprile tutto il fronte partigiano è in movimento, siamo alla vigilia della Liberazione, e il campo tedesco puzza di morto.
La Pinàn-Cichero, la nuova divisione che al comando di Scrivia e di Moro si è costituita negli ultimi tempi, snellendo così la vecchia formazione, sta rastrellando i tedeschi e le brigate nere che presidiano la camionale a Tortona, Novi Ligure e Busalla; e ogni giorno decine di prigionieri vanno a finire nei nostri campi di concentramento. La Severino e la Balilla invece, rimaste alle dipendenze della vecchia Cichero si appostano a Prato e sulla Sella di Montoggio, pronte a piombare in città. Per contro la Jori fa di Torriglia e dell’Antola il suo centro di smistamento, mentre la Berto, dal suo canto, eliminato il presidio tedesco della Forcella scende con la Cajo su Cicagna e su Borzonasca, obbligando il presidio di Borgonovo a sloggiare.
Infine la Coduri, che nelle fasi conclusive diventerà anche essa divisione, la Divisione Coduri-Cichero, rintuzzati gli attacchi tedeschi s’affaccia dalle vallate del Petronio e da quella di Conscenti su Sestri Levante e su Chiavari, pronta ad occupare tutta la riviera di Levante.
In una atmosfera di entusiasmo si attendono le ultime disposizioni: già si respira aria di Genova.
Il 23 aprile, una squadra del Balilla scende dalla Bocchetta su Bolzaneto, prende contatto con la SAP, fa a schioppettate con i pattuglioni tedeschi, finisce per accantonarsi nelle officine Bruzzo. Senza perdere tempo, Battista dà l’ordine di marcia all’intera Brigata e scende per tre direttrici: Sant’Olcese, Crocetta di Orero; i tedeschi, che in una lunga colonna, hanno imboccata la camionale cercando di raggiungere Busalla vengono asserragliati in una galleria e non tarderanno ad arrendersi. Poi decisamente punta su Sampierdarena e piazzati i suoi mortai sulle colline di Murta, inizia il fuoco. Intanto la Severino, comandata da Gino, con una veloce marcia di avvicinamento si piazza sulle alture di Molassana in attesa di ordini. Quando i suoi esploratori rientreranno dal centro di Genova con la notizia che lo sciopero generale è fissato per il giorno dopo, il suo comandante non indugia: con le SAP comincia ad attaccare il presidio di Molassana e lo costringe alla resa, poi l’indomani all’alba raggiunge il centro, si affaccia in piazza De Ferrari, si accaserma nelle scuole di piazza Palermo. I tedeschi del fortino di S. Nazaro, dei palazzi alla Foce, della centrale Radio sono costretti ad arrendersi.
Vediamo ora la Jori: la brigata aveva iniziato all’alba del 23 i suoi movimenti di rincalzo, occupando le alture di Creto; nella mattinata del 24 raggiunge le zone di Manin, di Principe e di Sturla, presidiandole.
La Berto ch’era di copertura a Torriglia, ha appena iniziato la marcia su Genova che giunge notizia di una colonna di circa 1500 tedeschi e fascisti che da Uscio tenta di raggiungere il Laccio attraverso la Scoffera, per risalire poi la valle del Trebbia fino a Piacenza, forse contando sull’assenza delle formazioni partigiane proiettate tutte su Genova e la riviera. Ma la galleria di Boasi è ostruita e allora, abbandonati gli automezzi, il nemico punta su Sant’Uberto.
La Berto prende subito posizione: qualche colpo bene aggiustato di mortaio, un paio di scariche di mitraglia e il comandante tedesco chiede di parlamentare: vuole via libera, se no combatterà fino all’ultimo. Ma di questo parere non sono i suoi uomini che, dappertutto, sulle alture che dominano la valle credono di scorgere dei partigiani. Finirà anche lui per accettare la resa incondizionata.
E la Coduri-Cichero? Anche lei assolverà il compito affidatole: scesa sul litorale ha occupato Sestri Levante, e, asserragliati i tedeschi nei pressi delle rocche di Sant’Anna, ha impedito la distruzione della galleria finendo col costringere fascisti e tedeschi a sgombrare Chiavari senza attuare la loro minaccia di bombardarla.
Gli alleati potranno così liberamente raggiungere Genova, presidiata dalla vecchia Cichero, cui si sono aggiunte la Pinàn-Cichero proveniente da Busalla e la Mingo da Ronco con altre formazioni minori di Giustizia e Libertà, Matteotti e Val Bisagno, scese anche loro secondo le direttive impartite dal Comando della VI Zona Operativa.
Genova è dunque liberata: tra qualche giorno finirà anche la guerra. La Cichero ha finalmente raggiunto la meta prefissa. Uno ad uno i suoi distaccamenti risalgono cantando per la Doria, per la Polcevera, su, su, fino a raggiungere Torriglia, andranno a rivedere i posti dove hanno combattuto, andranno a ritrovare i loro morti sotterrati qua e là, nei cimiteri della val Trebbia, a Loco, a Rovegno, a Fontanigorda, Gorreto, Ottone…
Lassù, tra i monti, cantando, prenderanno congedo dai Comandanti: prenderà congedo l’Alpino, il Fuoco, il Guerra; e poi il Forca, il Bellucci, il Mandorli… tutte le formazioni della vecchia Cichero. Finchè resterà l’ultima, il Vestone. E’ il distaccamento degli alpini che nel novembre scorso sono venuti a combattere, a morire al nostro fianco. Non sono delle parti nostre: sono di Bergamo, di Brescia, di Trento. Ebbene Bisagno li porterà ai loro paesi, lui stesso li consegnerà alle loro case, alle loro mamme…
A Desenzano, sulle rive del Garda, il comandante della Cichero, ormai solo, fa ritorno alla sua Genova. Canta una canzone partigiana:
…se libero uno muore,
non importa di morir…
E poi uno scarto, un colpo di freno, una maledetta strisciata sull’asfalto viscido, e anche Bisagno se ne va: è morto così, cantando.
Appena assolto il suo grande compito.
(Brano tratto da “La Repubblica di Torriglia” di Marzo – Di Stefano editore)
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