La battaglia del Penice e l’abbandono di Bobbio.
“Il 27 agosto(1944) il nemico sferrò un forte attacco dalla parte del monte Penice. Si trattava di forze considerevoli, costituite da tedeschi e da militi del famigerato col. Fiorentini, appoggiate da mezzi corazzati e da batterie d’artiglieria. Nella battaglia intervennero i garibaldini dell’Americano, la brigata del cap. Giovanni e la IV brigata della divisione « G. L. ». A queste due ultime, che già avevano sostenuto vittoriosi scontri a Pietragavina, fu affidato il compito di sbarrare il passo Penice al nemico incalzante.
I combattimenti si protrassero con alterna fortuna per tutta la giornata finché alla sera, grazie all’apporto di reparti più freschi, il nemico riuscì a sfondare. Ne seguì un frettoloso ripiegamento dei partigiani che lasciarono così aperta all’avversario la via verso Bobbio. La città venne evacuata; fuggirono anche gli amministratori civili, insieme con tutti coloro che comunque risultavano compromessi coi partigiani. I feriti degenti all’ospedale civile vennero anch’essi evacuati ed avviati al preventorio di Bettola, attraverso la val Perino, con mezzi di fortuna. La costernazione della popolazione era grande, tanto più perché si temevano rappresaglie da parte del nemico.
La divisione di Bisagno nella val Trebbia e la brigata dell’Istriano nella val d’Aveto, avevano contrastato l’avanzata dei battaglioni alpini, ma questi alla fine avevano prevalso, data la superiorità numerica della loro forza e la miglior qualità del loro armamento. A Bobbio giungerà il battaglione «Aosta», comandato dal magg. Della Valle ed a tale battaglione i tedeschi affideranno il presidio della città da essi occupata per primi.
La divisione «Monterosa» era formata da militari italiani, era stata costituita in Germania, dove i suoi componenti avevano ricevuto un’istruzione militare di prim’ordine; era formata per la maggior parte da soldati di leva prelevati dai tedeschi in Italia dopo l’8 settembre e da ex alpini del R. Esercito, i quali ai rigori della prigionia avevano preferito optare per la Repubblica di Salò pur di avere l’occasione di far ritorno in Patria. Anche i suoi quadri erano formati da sottufficiali ed ufficiali italiani, controllati però da ufficiali tedeschi. Numerosi erano poi anche i fascisti, elementi fanatici incaricati di sorvegliare la truppa ed alcuni degli stessi ufficiali, sospettati di nutrire sentimenti tutt’altro che filo-tedeschi.
Incontro alle truppe nemiche che dopo la battaglia del Penice stavano per entrare in Bobbio, si fece avanti, alle porte della città evacuata, il vecchio vescovo, monsignor Bertoglio, accompagnato da pochi prelati.
Chiedeva clemenza e scongiurava il nemico di non compiere rappresaglie. Aveva tutti i motivi per pensare che queste si verificassero dal momento che l’avversario le aveva compiute di già nella zona che era stata teatro della battaglia. Da ogni parte infatti erano giunte notizie di atrocità, di atti di saccheggio e si potevano scorgere ancora le fumate sinistre degli incendi che al Penice andavano distruggendo la villa del dottor Pietra, padre del comandante partigiano Italo; l’albergo Buscaglia e numerose altre villette. Tuttavia, per quanto i comandanti responsabili avessero dato assicurazioni, anche in Bobbio il nemico sfogava la sua rabbia; ne farà le spese lo stesso Virgilio Guerci, comandante della IV brigata, la cui casa sarà completamente saccheggiata. Come se ciò non bastasse, alcuni militi del colonnello Fiorentini prelevavano dalla propria abitazione il signor Chiapparoli, un sarto, e dopo averlo condotto con un pretesto appena fuori dell’abitato, lo freddavano barbaramente. Rimase questa una morte oscura sulla quale nessuno seppe mai fornire elementi utili per giungere a una giustificazione. L’ucciso era notoriamente una persona dal carattere mite, lontana dagli eccessi, che non si era mai qualificata politicamente e tanto meno determinata per l’una o per l’altra delle due parti contendenti; certamente si trattò di rancori personali che in quella atmosfera potevano facilmente sfogarsi.
Comunque sta il fatto che molti uccidevano semplicemente per il gusto sadico di uccidere, senza affatto riflettere sulla gravità dell’azione e sulle conseguenze, anche morali, che ne sarebbero derivate. La vita di ognuno, anche per i civili, era ormai sostenuta da un filo esilissimo ed il più delle volte bastava un nonnulla, un capriccio, per produrre la catastrofe. Questo fatto, il quale da solo bastava ad accrescere la già triste fama della banda Fiorentini, unito poi all’aspetto dei militi fascisti ed al loro comportamento, valse a creare in Bobbio un vasto, profondo senso di inquietudine e di terrore.
A dimostrare che i tedeschi non fossero da meno rispetto ai fascisti, giunse poco dopo, il 22 agosto, la grave notizia che l’intero centro abitato di Cerignale era stato dato alle fiamme. In tal modo sfogavano anch’essi il loro cieco furore contro una popolazione che tanto generosamente aveva dato asilo ai partigiani. Per la paura di esporsi, i civili di Bobbio se ne stavano rinchiusi nelle case e la città appariva deserta. Ovunque regnava lo sgomento e la desolazione, ognuno presagiva tempi ancora più tristi. Fu quindi con un certo senso di sollievo che la popolazione vide alternarsi al presidio dei tedeschi e dei militi fascisti quello degli alpini dei battaglione «Aosta», comandato dal magg. Della Valle, proprio per la maggior garanzia che sembrava essi offrissero in fatto di comprensione e di minor crudeltà.”
Italo Londei
(Articolo tratto dal N° 40 del 9/12/2021 del settimanale “La Trebbia”)
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