Lottarono, armate per lo più del loro coraggio. Se non ci fossero state le donne non ci sarebbe stato il movimento partigiano. E’ ciò che emerge con forza nel volume “Donne resistenti “che si concentra sull’Appennino tra Piacentino e Parmense. Curato da Fausto Ferrari, verrà presentato al Palazzo del Podestà di Castellarquato il 9 marzo alle ore 16. L’autore si definisce “figlio della Liberazione, orgogliosamente antifascista e repubblicano, di sana e robusta Costituzione Italiana”. Il volume è percorso da tante storie (d’altra parte nella Divisione Valdarda si contano 223 partigiane); ne abbiamo scelte alcune, utili a fornire uno spaccato dei ruoli che si assunsero.
«I primi informatori partigiani furono le donne – evidenzia Ferrari – Portavano, insieme ad indumenti, farmaci e viveri, notizie alle famiglie ed informazioni sui movimenti del nemico. Sfamavano, curavano, nascondevano. Quando un’unità partigiana arrivava vicino ad un centro abitato, la staffetta per prima entrava in paese per capire se c’erano forze nemiche». Lo fece Lidia Gandolfi dei Marazzini di Vernasca. Venne uccisa a 24 anni, sulla strada dei Pallastrelli di Castellarquato, dove un cippo la ricorda. La sua era una delle famiglie (tra Marazzini, Pozzolo, Casali, Bore) che dopo l’8 settembre accolsero gli ufficiali fuggiti dal campo di prigionia di Cortemaggiore, come Giovanni Grkavac Io Slavo, futuro capo partigiano.
Il 7 gennaio del ’45, con una neve fitta e il rastrellamento nazifascista in atto, il presidio dei Marazzini inviò Lidia in avanscoperta a Castellarquato perché a monte non si avevano più notizie sulla situazione a valle. Sulla strada del ritorno, all’altezza della Ciocca, fu catturata con suo cognato (che riuscì a fuggire) e un amico di soli 17 anni abbattuto sul posto. Lei fu spinta in un casolare e violentata dai nemici, che la seviziarono per costringerla a rivelare informazioni. Lei resistette. Fu uccisa con una pallottola alla nuca. Il suo corpo lasciato insepolto. Verrà trovato sotto la neve il giorno dopo, dal fratello.
«Aveva il corredo pronto perché doveva sposarsi», ha ricordato la cognata Jolanda Casali intervistata da Iara Meloni nel libro “Memorie resistenti; le donne raccontano la Resistenza nel Piacentino’. ‘”Staffetta partigiana in territorio controllato dal nemico, diede numerosi esempi di valore, astuzia e sangue freddo”: così inizia la motivazione della medaglia d’argento di cui fu insignita. In memoria.
Sorte simile per la Tigrona (Luisa Calzetta), figura nota di combattente in Valnure, tra le vittime dell’eccidio dei Gusellì (Morfasso) del 4 dicembre ’44. Il partigiano Giuseppe Perazzi che lei salvò a costo della vita, scrisse alla madre: “Egregia signora, mi sono Fra Diavolo, colui che con tanta generosità sua figlia salvò nell’imboscata dei Guselli, ove trovò la morte. Andatene fiera signora. Essa è un’eroina”.
Un’altra storia nel volume è quella di Nella Sidoli, sempre di Vernasca, sempre del ’21: trasportava e curava i partigiani feriti; fu staffetta col nome di Scampolo, inquadrata nella 62 Brigata. Il 25 aprile ’45, giorno della liberazione, un tedesco sparò al petto di Nella: la pallottola passò da parte a parte ma lei sopravvisse. Spesso aveva operato nell’infermeria che i partigiani avevano creato ai Casali di Morfasso, nel cosiddetto “palasiu dal Rafella” Qui fu infermiera anche Antonia Casali (1926 -2013): nel volume è pubblicata un’intervista inedita realizzata prima della morte della donna da Francesco Sorenti (figlio di partigiano e volontario del Museo della Resistenza).
Ci sono nel libro staffette ‘riconosciute’ come Giuseppa Orsi, Rosamunda della 62, che rischiò di essere deportata ma poi fu liberata grazie ad uno scambio di prigionieri; o la Pierina Tavani (Stella) di Caorso morta pochi anni fa nel 2018. Ma ci sono anche alcune ‘invisibili,’ senza tessere o medaglie, come Pierina Bussandri nata nel 1919 a Vernasca, la cui storia è ricostruita grazie ai racconti che affidò al figlio Bruno. Lei fu vivandiera alla Ranca di Vernasca, ma prima di allora nascose tanti fuggitivi. Rischiò di essere violentata dai mongoli. La salvò un soldato tedesco che si accorse che era incinta.
Donata Meneghelli
https://www.liberta.it/ (03/03/2025)
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