Un’antica tradizione: Lâ sènâ di sèt sén

Il Natale è una festa speciale. Una festa che piace tanto ai bambini ma non solo, ammettiamolo. Il periodo natalizio è fatto di usanze ed abitudini che finiscono per diventare vere e proprie tradizioni. La messa di mezzanotte, il cenone coi parenti, la letterina a babbo Natale per i più piccoli. Consuetudini a cui ci si affeziona. Alle quali, per un motivo o per l’altro, diventa impossibile rinunciare.
Le usanze sono le più disparate, diverse di zona in zona, a formare un grande mosaico di tradizioni natalizie.
E in Oltrepò Pavese ce n’è una davvero particolare. Fin dall’epoca medievale, in occasione della cena dell’antivigilia, era usanza comune preparare un pasto di magro, costituito da sette portate.
Un pasto parecchio abbondante, per fronteggiare il digiuno del giorno dopo (così voleva la tradizione) e prepararsi ai fasti del giorno di Natale, approfittandone per festeggiare la fine delle giornate corte.
Si tratta della “Cena delle sette cene” e nasce dall’incontro della dimensione gastronomica della cucina con quella rituale del mondo contadino.
Le portate erano sette, come i peccati capitali, i giorni della creazione e le ore di luce durante l’inverno.
Ogni piatto si caricava di magia e di valori simbolici significativi. Lo scopo? Esorcizzare gli spiriti malvagi cercando di attirare la buona sorte, in un mix di fede cristiana e credenze pagane. All’inizio del pasto, il capofamiglia collocava al centro del tavolo una grossa forma di pane. In particolare si trattava di un miccone, inciso sulla superficie con la forma di una croce. Al termine della cena, veniva diviso a pezzi e consegnato a tutti i commensali. Un gesto che a quanto pare serviva a scongiurare ogni tipo di malattia. Gli avanzi del pane venivano poi conservati fino al giorno di Sant’Antonio Abate, il 17 gennaio, per essere portati agli animali nelle stalle, con l’auspicio di proteggerli da qualunque male.
Aglio e cipolle, presenti in diverse preparazioni servivano a tenere lontani gli spiriti malefici. L’uvetta servita assieme al merluzzo era simbolo di abbondanza e le noci rappresentavano la fecondità.
Le fettuccine servite come primo piatto, dette “fasce del Bambino” ricordavano invece la nascita del salvatore e la torta di zucca simboleggiava il sole e la sua capacità di rinvigorire corpo ed anima. Questi i simboli che si alternavano sulle tavole della tradizione pavese la sera dell’antivigilia.
La storia della cena delle sette cene e le sue curiosità sono raccontate in un libro Lâ sénâ di sèt sén scritto da Angelo Vicini, la “memoria” di Voghera, una delle voci poetiche più originali dell’Oltrepò, ricercatore storico delle tradizioni. Il libro è anche un ottimo ricettario. L’autore ha voluto inserire dialetto vogherese e italiano, e ha saputo, con il suo stile inconfondibile, mescolare sottolineature dialettali perché questa lingua mantiene ancora una sua vitalità. Il libro celebra a suo modo il Natale, un momento di transizione che cade in prossimità del solstizio d’inverno il giorno più buio dell’anno. Un momento che preannuncia l’arrivo della luce che sconfigge le tenebre, simbolo della vita che rinasce. Le tradizioni, i rituali e ovviamente i cibi che accompagnano questo momento di passaggio risalgono all’alba dei tempi, e fino a noi sono giunti, anche in Oltrepò Pavese. Per poi scomparire in un lembo di memoria dimenticata, una caratteristica negativa che ha contraddistinto in modo particolare la seconda metà del secolo scorso. Una memoria che grazie alla passione di Vicini è tornata in tutta la sua freschezza e attualità. Già perché mai come oggi si è assistito ad un recupero, talvolta difficile, di prodotti e piatti che fanno parte del patrimonio culturale della nostra terra. Tra curiosità, poesie, aneddoti e ricette, nel libro di Vicini è possibile scoprire le origini e il significato della Büsélâ (il dolce a forma di bambola), oppure delle ricette a base di pesce per il pasto di magro prefestivo e molto altro. è un libro che racconta la semplicità della cucina, di una comunità fortemente legata alla terra.

R.S.

(Articolo tratto dal settimanale “Il Punto Pavese” del 23/12/2024)

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