Vi proponiamo questo brano tratto dal libro “Patranico – Medioevo a Donetta” di Mauro Casale che fornisce informazioni storiche su questa sorta di regione o di percorso che oggi generalmente è denominato “Via del Sale”.
Il Patranico può essere considerato un toponimo che un tempo ha identificato una regione, un’abazia, un percorso.
Per “Via que dicitur Patranico”, come riporta un documento del Sec.XI, si può intendere l’itinerario da e per la Patrania, quell’antica Abazia di cui rimangono solo tracce documentali e che probabilmente si identifica con la attuale Chiesa Parrocchiale di Torriglia.
Santa Maria de Patranico, Santa Maria e Sant’Onorato di Patrania le denominazioni più usate.
Le proprietà terriere dell’Abazia si stendevano a Sud sino a Bogliasco, Sestri Levante, oltre a ciò la certa matrice benedettina dell’insediamento fa pensare che i continui contatti con Bobbio venissero tenuti attraverso il crinale montano dal Penice a Recco, San Fruttuoso.
Ecco quindi delincarsi un’intuizione che dopo le ricerche di questi ultimi anni ha avuto conferma.
Lungo questi crinali, da tempo immemorabile si sono mosse generazioni di persone, dal mare alla pianura e viceversa: Chamino de Lombardia, Via di StradeIla,Via del Sale, Via del Mare, diverse le denominazioni nel tempo.
In ogni modo la “Stradella” non è mai stata una strada principale, ma “divertita” o “inopinaiam” come gli antichi cronisti hanno a volte citato questo itinerario alternativo.
La via di crinale, la più diretta, la più sicura, senza ponti o grosse opere di difficile manutenzione, quella che permetteva un orientamento con le stelle, quella più vicina a Dio.
Se osserviamo l’orografìa del territorio notiamo che l’asse di penetrazione mare-Po. approfitta del particolare tratto appenninico ortogonale all’andamento prevalente parallelo alla costa.
Si tratta di un grande ponte naturale dal mare alla pianura.
Gli accessi per salire in quota potevano essere vari, Lavagna, Sestri Levante, Ruta, Sori, Recco, Nervi, tutti confluivano nella zona di Pannesi, Case Cornua, Monte Becco, poi su verso Nord , S. Alberto, Lavagnola. Donetta, Antola, Capanne del Romano, Capanne di Carrega, Carmo, Cavalmurone fino al Chiappo, altro importante nodo viario, a sinistra Curone e Tortona, al centro Val Staffora e Varzi, a destra Penice e Bobbio e da lì fra la Val Tidone e Val Versa si raggiungeva la stretta di Stradella ove i traghettatori di Parpanese ed Arena Po conducevano oltre il fiume verso Pavia.
La presenza sui crinali di prevalenti pascoli montani dotati di illimitato foraggio ha sempre agevolato le migrazioni di uomini e greggi, questi crinali che antichissimi usi avevano riservato al pascolo transumante, questi crinali ove solo le greggi dei potenti potevano liberamente pascolare disseminando grandi quantità di sterco a perpetuare l’assetto futuro, hanno rappresentato per secoli siti strategici di gran valore a servizio della lana, petrolio di quei tempi,
Le donazioni alle Abazie di Adelaide degli Ottoni o dei Malaspina dello Spino secco lo confermano.
L’importanza economica di quest’asse viario per il Nord è ribadita analizzando il sistema dei pedaggi esatti su ogni uomo, animale, soma o torsello che transitava.
Venivano gestiti da incaricati del Feudatario o più spesso ceduti “in gestione” a terzi, nel nostro caso addirittura in condominio a famiglie genovesi, come i Vento, i Da Castello, gli Embrìaci.
Dopo la scoperta della fortezza di Donetta è verosimile pensare che il pedaggio di Torriglia spesso citato dalle fonti venisse esatto proprio a Donetta, vera porta di Lombardia, armata e fortificata.
Se osserviamo le tracce delle strutture a servizio della viabilità; notiamo Nervi, porto dei Piacentini del Sec.XII, S.Giacomo di Possuolo ospizio con cappella del Sec. XlI/XIII condotto dai cistercensi, Canova palazzo del dazio della Repubblica, Tollara, torre con arcieri, Ospedale, nella zona di Bargagli, il Castelluzzo della Scoffera, la Piega di Lavagnola, spesso controllata con rastelli ed huomini armati, trivio di smaltimento traffico verso i crinali fra Trebbia e Fontanabuona a raggiungere Ponte Organasco, il Castello di Torriglia, la Fortezza di Donetta, la zona dell’Antola, altro crocevia di sentieri per la Mansio di Magioncalda e S.Clemente, Dova, Crocefieschi; e poi il sistema delle Cabanne, veri autogrill e motel di quel tempo che all’inizio ed alla fine del Montelungo di antica memoria, esposto e disabitato, assisteva il viaggiatore: Capanne di Romano, di Carrega, di Cosola, di Pey, ancora tracce, la torre di Carrega, le rovine del Castello di Alpe, quelle sotto Poggio Rondino in fronte a Suzzi, il passo del Giovà con altro Convento di S.Giacomo collocato su quell’importante nodo viario, il Castello di Pregola, il Convento dei Gerolimini alla Scapparina.
Il commercio del sale, privilegio dei Fieschi prima, dei Doria poi, staccato dalli Magazzeni della Repubblica della Foce e di Recco fino ai Magazzeni del Castello di Torriglia e poi su a servizio dei paesi della Pentemina, della Borbera, del Grue, Spinti, Curone, Staffora, Tidone, Tidoncello, Versa, muli carichi di sale verso la pianura, carichi di grano e riso verso il mare, con centri di scambio alle fiere di San Sebastiano Curone, Torriglia, Monleone.
Ed altre tracce significative che ricordano forte dipendenza, da quel mondo nordico le cui abitudini di vita si diffusero lungo il crinale: le case celtiche di antichissima tradizione edificatoria con il tetto di paglia sottostante delimitato da frontoni gradonati, le cascine di paglia a due absidi, le Parentelle, esempio di organizzazione sociale dei monti liguri simile al Clan, con l’abbigliamento ricordo il Gonello, qui usato fino al 700, simile al Kilt, gli strumenti musicali come la musa ed il piffero ora di gran moda, che da sempre hanno allietato le feste dì queste comunità, o il corno, che si suonava ai matrimoni.
E i flussi migratori continui fra qui e il Milanesato, la Lomellina, il Pavese, flussi stagionali per la raccolta del riso o più slabili a trovar lavoro da ciabattino od altro.
La migrazione inversa, dei Maestri da Muro Lombardi del Lago Maggiore ad architettare case di buona qualità nei nostri paesi.
E i fatti storici, che aiutano a fantasticare, a rendere di grande suggestione un percorso scandito solo da nomi di monti o paesi: gli affioramenti di toponimi che ricordano l’inverno del 218 a.c. quando Carthago ed il suo esercito si scontra con Roma e certo sverna nei nostri monti.
L’Onorato Vescovo che condusse la chiesa Milanese a Genova a riparo dalla minaccia longobarda possedeva beni a Recco, Rapallo, Bargagli.
I Monaci di Bobbio, tanti testardi e Santi che si sparsero a porre fondazioni in pietra e nello spirito dei valligiani imbarbariti in nome di quel Cristo Pantocrates che dalle terre degli Scoti nacque a nuova vita.
Saraceni, neri, sporchi, insidiosi, gli incendi delle Abazie, Precipiano, Vendersi, Patrania, il ricordo delle mitica Atilja di Marcus Rex Saracenorutn, da qualche parte nel territorio, ricordo del Barbarossa il cui esercito braccato, per divertita inopitata via, traversò il territorio fra Pontremoli e Pavia guidato dal potente Opizzo dei Malaspina, là sul Monte Boglelio ancora raccontano la leggenda dei tre cerchi, il cerchio di legno, di ferro, di pietra dell’Imperatore.
E muli, ancora muli, dei Gattone di Zavattarello, dei Caminata di Propata, dei Chiapparoli di Montarsolo, dei Lazzari di Varzi.
Archibugi e spade. Marchesi e Dazieri della Corte, Birri e Bargelli, di Torriglia, di Carrega, di Garbagna, costigliole di porco e taglierini, all’hosteria delle Cabanne o del Marchese di Montefòrte, i Barbieri ed i Garbarini ciabattini di Montebruno giù fino a Vigevano.
Banditi di strada, feroci, bechi fotuti che areneghano Dio e assaltano viandanti dietro ai buschi alle Cabanne de Carrcga o alle Fracce de Artanna.
E ancora, attenti agli orsi, di Forotondo e Selvapiana, agli appestati di Suzzi o alla Banda del Cerrone o del Capurro bandito genovese la cui testa ora marcisce appesa alla torre del Castello di Torriglia.
O quel Giulio Cesare Gatti, mulattiere omicida di Brignano Frascata che sulla costa di Carrega ammassa altro mulattiere e finisce la sua esistenza nelle carceri del Principe, condannato, impiccato e decapitato e la cui testa a monito si appese in Carrega.
E gli imperiali del Suvaroff a saccheggiare case e cascine, poi gli zuavi francesi da Genova a Montebello per la battaglia.
Siamo ai tempi nostri, gli uomini della resistenza, Antola, Pertuso, Bobbio, Penice luoghi noti e nel 45 qui sul versante ligure l’armata della Wcrmatch in ritirata da Sestri risale il crinale e viene bloccata nel famoso bosco della Tecosa in quel di Bargagli, come il Barbarossa in disfatta a risalire rovinosamente le valli. E fin qui il Patranico… perché il Cavaliere? Forse sarebbe appropriato parlare di mulattiere, ma no quel pezzo stupendo che proviene dagli scavi di Donetta è uno sperone argentato di foggia antica, rìsale al XII secolo e non appartenne certo ad semplice uomo a cavallo.
San Bernardo di Chiaravalle ispiratore dell’Ordine dei Templari nella regola dei Cavalieri del Tempio “Milites Templi Novae Militiae” contrappone il comportamento dei Poveri cavalieri del Cristo alla vanità dei Cavaliere Laico e dice: “Voi bardate i cavalli con panni di seta e sopra l’armatura indossate veli fluttuanti, dipingete le lance, gli scudi e le selle guarnite con oro, argento e gemme le redini e gli speroni”.
Chi fosse il Cavaliere non lo sapremo mai, potremmo però sognare e chiederci perché qui a Donetta, perchè nella chiesina sia raffigurato S. Bernardo con relativo demonio incatenato, perchè anche a Reneuzzi, sotto l’Antola ancora S. Bernardo, perché a Pallavicino di Borbera la Fonte del Santo sul Giarolo perchè la grande divotìone che è rimasta nel tempo e le raffigurazioni in quadri e stendardi che ricordano il passaggio del Santo nel viaggio da Genova a Milano, perchè a Vigevano, là ove i nostri contadini da sempre son migrati, dal profondo medioevo si tramanda la festa del Diaval raffigurato nel rosso nero Barlic poi bruciato sul rogo innanzi la Chiesa del Santo.
Che la chiave di volta di questo ragionamento siano i cistercensi, presenti lungo il percorso a S.Giacomo come in tutta la Val Borbera?
Mauro Casale
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