Il mese di ottobre è dedicato tradizionalmente alla raccolta delle castagne, che si possono trovare nei boschi delle nostre Valli e diffusi fin dall’antichità nelle zone appenniniche, con particolare impulso fornito dalla sapiente e preziosa opera dei Monasteri, durante la ripresa dell’agricoltura nell’Alto Medioevo.
Il legno di castagno poteva essere utilizzato per la realizzazione di staccionate e paletti, funzionali per le delimitazioni delle proprietà terriere, oltre a muretti a secco e cunei in pietra, nonché per la fabbricazione di mobili per l’arredamento domestico, come è stato del resto ripreso in epoca moderna con la riproposizione della cosiddetta “arte povera”.
Si rammenta che Giuseppe Giacobone nella “Monografia agraria sul Circondario di Bobbio” (Stefano Jacini, “Atti della Giunta per la Inchiesta agraria e sulle condizioni della classe agricola”, volume VIII, 1883) ben descrive l’importanza dei castagneti, essenziali non soltanto per quanto attiene il legname ed il frutto, anche per il fogliame che viene impiegato per le lettiere del bestiame. Perimenti Pietro Saglio nella “Monografia agraria sul Circondario di Voghera” (1881), riporta che i castagneti ammontavano a 921 ettari in collina, aggiungendo poi “Non fanno difetto, in questa zona i castagneti, i cui frutti costituiscono un sano alimento per gli abitanti del luogo. I migliori castagneti fruttiferi sono posti in territorio di Cecima, Godiasco, Pizzocorno, Rivanazzano, Roccasusella e Staghiglione.
La farina di castagna, ottenuta attraverso un precipuo processo di essicazione delle castagne sbucciate, ricorrendo altresì al calore emanato dalle stufe presenti in ogni dimora, era realizzabile con la macinazione presso i mulini locali, ricordando ad esempio quelli ad acqua di Ottone, Tartago e Suzzi, oppure quelli elettrici di Zerba e Cerreto, costruiti con l’avvento della diga del torrente Boreca nel 1926.
Con la stessa farina si preparava il pane, chiamato “testarun”, nonché il dolce tipico “pattona”, chiamato anche “castagnaccio”, preparato mescolando semplicemente farina, acqua e latte, mentre le castagne venivano lessate (“ballotte”) e gustate nelle tazze con il latte, oppure fatte arrostire in apposite pentole forate (“caldarroste”), ricordando inoltre un altro prodotto tradizionale dell’apicoltura locale, ovvero il prelibato miele di castagno.
Alessandro Rapallini
(Articolo tratto dal N° 33 del 10/10/2024 del settimanale “La Trebbia”)
Related Posts