Il turismo eccessivo (overtourism) rende invivibili posti bellissimi, dove eserciti di vacanzieri competono per spazi sempre più piccoli in cui godere, si fa per dire, delle meritate vacanze. Nel periodo più infernale (agosto) da decenni vado in un posto dove non c’è niente, se non boschi in cui non si incontra nessuno, dove si vedono tracce di cinghiali, lupi, istrici, tassi, scoiattoli, daini e caprioli e donnole e in cielo volteggiano aquile che, con la proverbiale vista, cercano serpenti. Il posto si chiama Suzzi. Non è facile arrivarci: la strada, lunga e tortuosa, finisce lì, non ci sono negozi e bisogna portarsi tutto, ma non l’acqua, perché l’acqua di Suzzi è buonissima.
Mia moglie discende da un’antica famiglia di Suzzi e possiede, in comproprietà con suo cugino Armando, una piccola casa dai muri spessi e dalle porte basse (ci ho messo dieci anni ad abituarmi a passare da una stanza all’altra senza prendere testate). Prima non c’era il telefono e non c’era linea, ma ora ci sono servizi di rete e, se si vuole, ci si può collegare col mondo. In effetti ora potrei vivere a Suzzi e lavorare in modo intelligente (smart), da casa. Un tempo il paese era isolato per mesi dalla neve ma oggi, con il riscaldamento globale, l’isolamento è quasi inesistente.
Abbandonato negli anni sessanta, il paese torna a vivere in estate, quando rientrano i discendenti delle famiglie emigrate. Coltivano i loro orti, mettono a posto la strada, puliscono i sentieri, cercano di ricostruire qualche muro a secco che cade, fanno lunghe passeggiate nei boschi in cerca di funghi. Venti anni fa ho scoperto la Via Bella, l’antica strada che collegava Suzzi, a 1.000 m, con il Passo della Maddalena, a 1.400 m. La prima parte è ancora praticata e porta alla fonte di acqua che rifornisce il paese: il Croesu. Dalla fonte una strada sale in salita che mi incuriosì. Provai a percorrerla con Armando, ma un intrico impenetrabile di vegetazione la nascondeva. Ci perdemmo nel bosco ma, continuando a salire attraverso la boscaglia, arrivammo finalmente nella “carrozzabile”, la strada sterrata (ora in parte asfaltata) che diventò il collegamento del paese con il resto del mondo e che sostituì la Via Bella che, come ci raccontò Bepin, era abbandonata da 50 anni; nei tempi passati veniva percorsa con slitte trainate dai buoi, era ampia e lastricata di pietre.
Per anni il mio progetto estivo è stato di riportarla alla luce. Altro che Mato Grosso… comprati un machete e una sega mi misi a pulire la via Bella. Ed era vero quel che diceva Bepin: è lastricata, con pietre conficcate nel terreno, e ci sono ogni tanto gli scambi, in modo che chi sale non interferisca con chi scende. Ci ho messo cinque anni a pulirla tutta, con Armando, Max e Franco che, ogni tanto, venivano ad aiutarmi. In una gola è crollata a causa delle acque impetuose durante i temporali invernali, e abbiamo steso una corda a cui aggrapparsi mentre si supera la frana. Tornavo a casa pieno di graffi, stanco morto, e magari avevo ripulito solo poche decine di metri. Ogni anno il percorso va ripreso, perché la foresta presto si riprende tutto. E mi sento impotente per la mia incapacità di mettere a posto quel tratto franato (ci vogliono professionisti per questo, e io sono un dilettante).
Oltre a pulire sentieri le mie attività consistono nel realizzare shillelagh, i tipici bastoni irlandesi, fatti con rami di biancospino. E poi ci sono i bambini. Hanno piacere ad accompagnarmi nelle mie peregrinazioni e mi aiutano a pulire i sentieri. In compenso li addestro a tirare le pietre, ovviamente a fare bastoni, e a guardare il bosco. Le tacche di luce che passano attraverso le foglie hanno ispirato gli impressionisti francesi, per esempio: eccole lì davanti a noi. Oppure, quando dalla Via Bella si diramano strade laterali, ecco che si può parlare di Heidegger e della filosofia che ha linee che portano da un concetto ad un altro concetto, come la via Bella porta da Suzzi al Passo della Maddalena, ma che può anche avere vie laterali che non portano da nessuna parte, se non in un posto particolare e fine a se stesso, come quelle strade che arrivano in un campo e finiscono lì.
Dopo aver parlato di impressionisti e di filosofi, se si incontra un bel mucchio di cacca di mucca si possono osservare gli scarabei stercorari che fanno baldoria. I videogiochi sono dimenticati. Nella prima parte della via Bella troviamo una carcassa di cinghiale, resta lo scheletro, e un po’ di pelle. Il pasto dei lupi. Troviamo il cranio del cinghiale, quasi scarnificato. Lo tengo a bagno nella poligrina per due giorni e diventa candido e bellissimo. Lo regalo a Lorenzo che si è gettato in un fosso laterale alla via Bella per recuperarlo e, ora, lo conserva come una reliquia. Il prossimo, magari, andrà a Margherita, la sua collega altrettanto intrepida. Hanno undici e dieci anni. L’ultimo acquisto è Giorgio, quattro anni. Gli ho fatto il suo primo bastone e ha anche azionato, per un secondo, la motosega a batteria che ha estratto il ramo giusto da un cespuglio di biancospino. Credo che non lo dimenticherà per il resto della vita.
Le case di Suzzi, alcune, sono in vendita. Per quattro soldi. Se non ci fosse quella di mia moglie Simonetta non ci penserei due volte a comprarne una. Non ho remore a divulgare questo segreto perché tanto qui non ci sono alberghi e b&b, oppure ristoranti, e non ci sono possibilità di “far soldi” con le orde di turisti. Non si costruiranno nuove case a Suzzi, come non se ne costruiscono a Portofino, e quindi chi ha la fortuna di averne una ha il lusso di potersi permettere di stare in un posto dove non c’è niente. Al posto di Dolce e Gabbana ci sono Giannino e Franchino, la memoria storica di Suzzi, assieme a Caterina. Armando ha raccolto le loro storie in un libro autoprodotto, strettamente riservato.
Ferdinando Boero
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