Il Monte Alfeo sorge sulla sponda sinistra della Val Trebbia e fa da spartiacque tra i torrenti Dorbera e Boreca: ha l’aspetto di una gigantesca piramide isolata, con fianchi ripidi e in gran parte boscosi. Sul versante Nord la faggeta sale fino in vetta mentre nelle altre pendici gli alberi coprono la montagna fino ad una certa quota lasciando poi posto a praterie, secolare luogo di sfalcio e di pascolo; contornano il monte numerosi paesi: Bertone, Campi, Strassera, Catribiasca, Truzzi, Tartago e Belnome.
Con la sua imponente mole e la sua altezza di 1651 m l’Alfeo ha sempre attirato l’attenzione su di sé: anticamente fu una delle sedi del culto delle vette praticato dai Liguri, attualmente è meta di numerosi escursionisti che dalla sua cima possono ammirare un vastissimo panorama in un contesto ritornato quasi selvaggio.
L’origine del nome Alfeo (Arfiè in parlata locale) potrebbe essere risalire alla radice prelatina ALP, ALB nel duplice significato di “monte” e di “fonte”, numerose ed abbondanti sono infatti le sorgenti presenti nelle falde più basse dei versanti dell’Alfeo.
1949: la prima statua della Madonna posta dal CAI di Bolzaneto (Ge)
A trasformare l’Alfeo in un luogo di culto cattolico fu una prima iniziativa di quattro soci del Club Alpino Italiano di Genova Bolzaneto, risalente al 17 ottobre 1949: Euro Montagna, Giorgio Noli, Aldo Timossi e Adriano Tommaselli; provenienti a piedi da Busalla, costruirono sulla vetta un rudimentale cippo con una statuetta bronzea della Madonna. Esso però ebbe vita breve e durante l’inverno il piccolo monumento fu distrutto dalle intemperie e la Madonnina venne ricoverata nella chiesa di Bertone.
Ma il fallimento non fiaccò i promotori che il 5 ottobre del 1952, durante una gita sociale con una cinquantina di aderenti, sempre su iniziativa del CAI di Bolzaneto, costruirono con l’aiuto di alcuni abitanti di Bertone un’edicola sacra di proporzioni maggiori, alta 160 cm, nella quale venne posta una Madonnina in marmo. Anche questo secondo manufatto andò presto in rovina ma ormai l’idea di erigere un monumento sacro degno dell’amata vetta si era fatta strada anche in loco.
1953, Anno Mariano Don Boncompagni parroco di Barchi lancia l’idea di una grande statua
Prese allora l’iniziativa don Federico Boncompagni, parroco di Barchi dal 1953, che propose di innalzare una statua della Madonna anche per celebrare l’Anno Mariano indetto da papa Pio XII. Il sacerdote ebbe l’entusiastico appoggio del vescovo di Bobbio Pietro Zuccarino che trovò il finanziatore dell’impresa in un suo grande amico, il marchese Mario Mocchi Gran Referendario dei Cavalieri del S. Sepolcro; venne così’ realizzata a Verona una statua della Madonna con Bambino in un unico blocco di pietra di Vicenza.
Per posizionare il monumento fu innalzato, in pietra locale a vista, un grande basamento a tronco di piramide con annesso altare: i lavori furono eseguiti nella prima metà del 1954 da uomini di Bertone coordinati da Giuseppe Molinelli e durante lo scavo per le fondazioni, a circa un metro di profondità, venne rinvenuta una statuetta in bronzo identificata come un giovane offerente datata al III-II sec. a.C. e alcune monete, probabili offerte votive. Il bronzetto è conservato nel Musei di Palazzo Farnese a Piacenza mentre delle monete romane si sono perse le tracce.
Nel novembre 1954 la statua della Madonna, del peso di ben diciotto quintali, giunta a Campi su di un camion, venne trascinata da Prà di Cò lungo le pendici erbose del monte fino alla vetta tramite una slitta trainata da venti coppie di buoi, nel corso di due giorni di grandi sforzi da parte di uomini e animali. La collocazione sul piedistallo richiese ulteriore impegno tecnico e fisico; a gestire la complessa operazione furono gli abitanti di Bertone, Barchi e Campi sotto la guida di don Luigi Cappellini, parroco di quest’ultimo paese.
Tutta l’impresa, come riferito nel settimanale La Trebbia, “fu un’opera unica, epica, corale ed irripetibile nell’atmosfera di devozione in cui si svolse. Un’impresa che resterà memorabile nei fasti della nostra montagna”.
1954, mons. Zuccarino inaugura il monumento dedicato al “Cuore Immacolato di Maria”
La statua venne benedetta il 21 novembre 1954 dal vescovo Zuccarino alla presenza di circa quattrocento persone in una giornata che le cronache dell’epoca descrivono fredda e nebbiosa ma in tutto straordinaria. Accanto al vescovo erano presenti, oltre a don Piero Coletto suo segretario, i parroci che avevano sostenuto l’iniziativa: don Federico Boncompagni, don Luigi Cappellini e don Alberto Mozzi parroco di Gorreto.
Il 22 agosto 1955 fu nuovamente un giorno speciale di festa per l’Alfeo e la sua gente: salì ancora in vetta il vescovo Zuccarino che, contornato da sacerdoti e da un centinaio di persone tra residenti e villeggianti, celebrò la Messa e benedisse nuovamente la statua durante una bella giornata estiva, testimoniata da una magnifica immagine di gruppo sotto al nuovo monumento.
Si decise di celebrare la festività della Madonna di Monte Alfeo la penultima domenica di agosto: in quel giorno sulla cima del monte accorrevano persone di tutte le età e da vari paesi per assistere alla Messa e per invocare la benedizione della Vergine. Alla profonda e sentita manifestazione di fede si univa quella di una sincera e cordiale socialità, si portavano infatti anche cibarie poi consumate in festosa compagnia e venivano erette strutture coperte di fronde di faggio a protezione dai raggi solari.
Al Cuore Immacolato di Maria di Monte Alfeo venne poi intitolata, con decreto del vescovo di Bobbio dell’aprile 1969, una nuova parrocchia con sede in Barchi, comprendente le chiese di Bertassi, Bertone, Suzzi e Pizzonero che vennero staccate dalle parrocchie alle quali prima appartenevano. Ma la statua che dal 1954 troneggiava sulla vetta dell’Alfeo fu in seguito coinvolta in spiacevoli vicissitudini: il 10 maggio 1963 le effigi della Vergine e del Bambino vennero private delle teste che furono successivamente rinvenute, sostanzialmente intatte, in uno dei pendii dell’Alfeo e rimesse al loro posto; la domenica 25 agosto sempre del 1963 furono inaugurati i restauri.
Nel 1969 un fulmine, o secondo alcuni ancora un atto vandalico, spaccò la testa e staccò un braccio alla statua che rimase pertanto gravemente lesionata e fu considerata irrecuperabile.
Il “principe della Val Trebbia” aveva perso il suo simbolo mariano, ora occorreva una nuova iniziativa di uomini e donne di fede con nel cuore la grande montagna, da millenni luogo di vita e di culto.
Alla fine del 1969 la grande statua voluta dal vescovo Zuccarino nel 1954 era distrutta: i vandali iconoclasti o le intemperie l’avevano sfigurata; pioggia e vento sferzavano le pietre del basamento ormai ridotto a semplice segno di vetta.
Mentre si era incerti sul da farsi Caterina Molinelli, nata a Bertone ma emigrata in California dove aveva sposato il compaesano Lorenzo, si offrì di coprire i costi di una nuova statua; incaricato di scolpirla in marmo fu il grande scultore piacentino Paolo Perotti (1928-2018), maestro nel creare forme di arcaica e potente suggestività, diverse quindi da quelle più naturalistiche della prima effige. L’opera fu portata a Bertone ma rimaneva da risolvere, ancora una volta, il grosso problema del trasferimento e della collocazione sulla vetta. Dell’operazione fu incaricato l’impresario edile Romeo Bianchini di Gorreto, persona di grande esperienza e capacità.
Il 17 agosto del 1971 avvalendosi della collaborazione di Elio Carenini di Loco di Rovegno, di Bartolomeo Molinelli di Barchi e di altri, Bianchini caricò la statua su un mezzo a motore e si inerpicò sulla ripidissima strada che dal paese di Bertone (1087 m) porta alla cima dell’Alfeo. Il trasporto si rivelò subito difficoltoso: il motocoltivatore Ferrari nel cassone del quale si trovava la statua e alla cui guida era Romeo Bianchini era collegato con una fune di acciaio ad un trattore a cingoli guidato da Elio Carenini che doveva precederlo lungo il percorso ma, arrivati dove la strada era più ripida, iniziò a scivolare per cui si decise di fare a meno del cingolato e Bianchini proseguì con il suo solo mezzo. Grazie all’impegno e alla perizia degli uomini che si assunsero questo compito, “il viaggio” fu portato a termine senza danni per il monumento che venne collocato sul basamento già esistente appositamente restaurato; per far ciò vennero tagliati tre alberi che furono uniti in forma di piramide con all’apice una carrucola dove passava la corda alla quale era legata la statua che, benedetta la domenica successiva, tuttora tende la sua mano materna a protezione della valle.
Romeo Bianchini, di cui abbiamo personalmente raccolto le parole, conserva precisa memoria dell’avvenimento e vuole ricordare il cinquantenario della posa in opera del nuovo monumento dedicato alla Vergine, dichiarandosi orgoglioso del lavoro all’epoca portato a compimento da lui e dai suoi aiutanti.
Ma i problemi continuarono: la nuova statua subì danni alla mano della Madonna e l’inclemenza del tempo ad alta quota lesionò gravemente il basamento: fu così deciso di sostituirlo con uno più basso fatto in robusto calcestruzzo, ossia quello ancora visibile oggi, alto 160 cm a sostegno di una statua di 166. Anche quest’ultimo intervento fu opera di Romeo Bianchini coadiuvato da Giacomo Molinelli di Bertone.
Nel prosieguo degli anni avvennero decisivi mutamenti riguardanti le modalità del culto della Vergine di monte Alfeo. Don Federico Boncompagni fu l’ultimo parroco residente di Barchi e quando lasciò l’ufficio per gravi motivi di salute fu sostituito da don Alberto Mozzi, titolare della parrocchia di Gorreto. Don Mozzi conservò la tradizione di recarsi a dire messa sull’Alfeo e anche i sacerdoti che dopo di lui si alternarono a reggere la Parrocchia di Barchi (don Domenico Barattini e don Ferdinando Cherubin) continuarono questa ritualità che però fu definitivamente abbandonata a metà anni Novanta, anche per il progressivo assottigliarsi del numero di persone disposte ad affrontare la ripida strada che conduce all’alta vetta e così da molti anni non viene celebrata la Messa sul monte.
Lo scorrere del tempo fa velo agli avvenimenti ma rimane in molti abitanti della valle, soprattutto anziani, ben vivo il culto della Madonna di Monte Alfeo e il ricordo, non privo di nostalgia, delle vicende ad esso connesse. Ancora oggi però alcuni devoti, raccolti in preghiera per ringraziamento o supplica, recitano ciò che scrisse il vescovo Zuccarino sullo speciale “santino” del 1956 dedicato alla Madonna: «O Vergine SS. che sempre avete prediletto le montagne e che desideraste far sorgere sul Monte Alfeo un nuovo Vostro Trono di amore, rivolgete a noi benigna i Vostri occhi misericordiosi».
I tempi mutano ma la Madonna dell’Alfeo è ancora al suo posto e saluta gli escursionisti all’arrivo in vetta: sono gruppi di persone che salgono numerose ed assidue al monte, in cerca di pace, di contatto con la natura, con il Creato, in un rinnovato desiderio di sacralità. In modo differente i fedeli, le statue mariane e l’antico bronzetto traducono l’immutata attenzione degli uomini per il monte Alfeo, divenuto sfondo, riferimento e riflesso di fede e religiosità, grazie ad un fascino profondo rimasto immutato nel lento scorrere dei secoli.
Per le indispensabili testimonianze, i materiali e le immagini fornite si ringraziano: don Piero Coletto, Romeo Bianchini, Maria Poggi, Carlo Carenini, Bruna, Fausto, Giacomo, Vittorio Molinelli, Marco Gallione, Euro Montagna, Sergio Capelli, Anna Mangini, Giancarlo Papini, Pitter Guglieri, Sergio Pedemonte, Carlo Tambussi, Fabio Rotondale.
Alessio Schiavi – Giovanni Salvi
(Articolo tratto dai N° 36 del 11/11/2021 e N° 37 del 18/11/2021 del settimanale “La Trebbia”)
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