“Penso che, una volta risolto il problema del lavoro, non esista un posto migliore della montagna per vivere”. Ne è convinto il giornalista piacentino Filippo Mulazzi, che recentemente ha deciso di raccogliere alcune storie dei personaggi dell’Appennino piacentino, raccontate negli ultimi anni sul quotidiano IlPiacenza.it, nel libro “L’Appennino resistente e i suoi protagonisti. Le storie, i problemi, i disagi, i sogni di chi vive, studia e lavora nella montagna piacentina”, edito da Officine Gutenberg. La prima presentazione a Ferriere, in occasione della festa di San Giovanni, è stato un vero e proprio successo.
Una scelta, per il debutto del libro, non casuale ma nel cuore della montagna piacentina che ha mostrato, negli ultimi tempi, timidi ma positivi segnali di ripresa demografica. Forse, a dare una spinta a questa crescita, anche i “nuovi” montanari, ossia i turisti che a un certo punto della propria vita decidono di stabilirsi in alta quota. Storie di questo tipo non sono rare nel libro di Mulazzi. L’obiettivo dell’autore è “dare voce a chi va controcorrente”, a coloro i quali emigrano “al contrario”, dalla città all’Appennino, per dimostrare che vivere in montagna è ancora possibile.
I paesi dell’Appennino, rileva Mulazzi, sono i custodi di una vita diversa, meno individualistica e più rispettosa del territorio. “Molte città sono diventate dei ‘non luoghi’ – dice – ammassi di persone che si trovano a vivere lo stesso momento storico nello stesso luogo, con scarso senso di appartenenza e, spesso, poco rispetto delle regole”. Al contrario, in montagna “c’è un senso di comunità molto maggiore”.
Quella di chi “si ostina” a vivere in montagna è definita “resistenza”. “Nelle comunità di montagna le relazioni sono più strette, chi ci abita è costretto a mettersi in gioco”. I delatori della vita appenninica lamentano la scarsità di servizi, la mancanza di lavoro e di eventi “mondani”. “I servizi fondamentali, come la sanità e l’istruzione, vanno salvaguardati. Per tutti gli altri ci si può tranquillamente organizzare”, dice Mulazzi. Il problema di guadagnarsi da vivere, invece, va risolto autonomamente. Non mancano le idee creative, come quella di una ragazza di 24 anni che da qualche tempo sta provando a realizzare il sogno di aprire un caseificio a Barchi di Ottone, frazione remota ai confini con la Liguria, a 830 metri sul livello del mare. Un’alternativa, per chi può permetterselo, è il telelavoro. E una possibilità, secondo l’autore, può essere diventare montanari part-time e vivere in altura solo per qualche giorno alla settimana. “Sui media la montagna viene raccontata solo se c’è una frana, uno smottamento o se cade un ponte. Ma c’è molto di più che non viene raccontato, c’è una montagna viva di cui quasi nessuno parla”, osserva Mulazzi.
https://www.piacenzasera.it/ (03/07/2024)
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