Santo Stefano d’Aveto, un foliage da sogno tra aquile, lupi e porcini

«Un giovane faggio sanguigno era testimone del mio primo amore, e quando inventai la mia prima poesia, stette a guardare ciò che scrivevo… Un giovane faggio sanguigno sta in tutti i miei sogni, un magico passato soffia intorno al mio albero prediletto». Herman Hesse, autore di questa poesia, forse non c’è mai stato durante la sua vita alla Foresta della Roncolla nel territorio di Santo Stefano d’Aveto, altrimenti chissà quanti altri versi gli avrebbe ispirato la vista di questa faggeta che rappresenta una delle mete predilette da chi ama il foliage appenninico.
Le attuali restrizioni non consentono di andare a passeggiare normalmente, magari prendendo la seggiovia che sale a Prato della Cipolla per poi raggiungere il Monte Bue, una delle due montagne insieme al Monte Maggiorasca, il più alto della provincia di Genova coi suoi 1.804 metri, che cingono di gaudente assedio questo borgo abitato da poco più di mille persone regalando una vista che spazia sino alle Alpi, al mare e alle pianure. Però è un appuntamento soltanto rinviato. L’autunno, sicuramente, è stagione foriera di grandi soddisfazioni con le scarpe da trekking ai piedi. Lo può ben dire Andrea Percivale, guida ambientale escursionistica 49enne che nel Parco Naturale Regionale dell’Aveto trascorre gran parte delle sue giornate accompagnando alla scoperta e all’abbraccio dei tronchi in grado di dispensare gratuitamente a abbondantemente quella fiducia che abbiamo smarrito. «Dal Piazzale di Rocca d’Aveto si sale con la nuova seggiovia e poi c’è solo da camminare, andando alla Foresta della Roncalla come prima destinazione per assistere al cambio di abito delle foglie dei faggi. Ci sono, inoltre, tanti stagni la cui conformazione si spiega col fatto che la roccia è di tipo basaltico, metamorfico, perciò in ogni avvallamento si crea un laghetto in cui vive la rana temporalis e si specchiano gli alberi. Anche il Lago Nero di origine glaciale, accanto all’omonimo monte, regalano l’incontro con alberi come l’abete bianco, che stanno qui da dieci mila anni, così come il pino uncinato, esemplare piuttosto raro altrove, si trova a proprio agio sul Crinale della Costazza». Bisogna portare il binocolo, ovviamente, per avvistare l’aquila reale e i caprioli, mentre un meeting ravvicinato con il lupo appenninico magari è all’apparenza meno piacevole, ma non è da escludere.

Tutti i frutti del bosco

Invece fa sempre piacere trovarsi di fronte Giorgio e Adelmo, i fratelli Raggi che gestiscono il Rifugio Le Casermette del Penna, insieme ai loro figli. Soprattutto se vi si capita all’ora di pranzo, in cui la polenta viene sublimata in tutte le sue sfumature, salse e condimenti. Le antiche casette che ospitavano proprio i forestali sotto la roccia del Penna a quota 1.435 metri costituiscono il punto di partenza per andare a scoprire i laghi, le palestre di roccia, pedalare sull’e-bike. «La nostra è una struttura che punta tutto sull’ecosostenibilità con i pannelli solari termici e fotovoltaici, la caldaia a biomassa — spiega Eva Raggi—. Organizziamo anche l’eco maratonina per far apprezzare le bellezze naturali che abbiamo intorno, crediamo in estate posti di lavoro e sosteniamo i produttori locali della patata quarantina di Casoni d’Amborzasco, delle farine del Mulino di Gramizza fatte di mais e poi le castagne, il miele locale, i funghi porcini del Penna». Questo borgo, Bandiera Arancione del Touring Club, infatti, è famoso anche per il grande numero di persone col cestello al braccio che salgono quassù da tutta la Liguria e dall’Emilia Romagna, per raccogliere le primizie donate dalla natura. «Durante una passeggiata immersi nel bosco infiammato dai colori dell’autunno — dice Sabina Pareti, assessore comunale e praticante assidua del raccolto spontaneo — qui cuore e spirito ne traggono immediato giovamento. C’è tempo per meditare e riposare, scattare fotografie meravigliose. Si possono anche, muniti di tesserino, raccogliere funghi e castagne, bacche di rosa spina o di pruno selvatico che vengono utilizzate per marmellate o bevande. Il paesaggio in questa stagione cambia e la stessa gente del paese rallenta il ritmo di vita, fa provvista di legna e delle ultime colture nei campi in attesa del lungo inverno».

Un pizzico di Messico

I boschi, le foreste di faggi e conifere, i laghi e gli animali ammantano di fascino autunnale Santo Stefano d’Aveto, però anche il suo abitato, storicamente importante crocevia di genti e merci tra la Lombardia e il Piemonte, l’Emilia Romagna e appunto la Liguria, feudo dei Malaspina, poi dei Conti di Lavagna, infine entrato nell’orbita della Repubblica di Genova e della famiglia Doria Pamphilj, vanta bellezze architettoniche difensive e religiose notevoli. In particolare il Castello Malaspina Fieschi Doria alle pendici del monte Maggiorasca, che piantona tutti i valichi appenninici e risale forse a prima del 1100 coi suoi impattanti muri perimetrali rimasti in piedi a differenza della torre. Desta una grande impressione anche il Santuario di Nostra Signora di Guadalupe, l’unico in Italia dedicato a questa figura amatissima nei paesi latini, specialmente a Città del Messico, il cui culto in loco si spiegherebbe con l’episodio di un giovane locale, studente presso l’Ordine dei Gesuiti, tornato a casa con un’immagine della Madonna di Guadalupe. A essere venerati, ovviamente in modo profano ma davvero sentito, sono adesso anche gli alberi. Lo si capisce entrando nelle case degli abitanti, dove i mobili li hanno realizzati a mano praticamente tutti i falegnami di Santo Stefano d’Aveto: le loro botteghe si trovano sulla strada acciottolata che va dalla Piazza del Castello a quella del Mercato. Giuseppe Cella è uno di essi. Lavora qui, lo si può vedere dalla finestra, e sa costruire qualsiasi cosa con il legno delle foreste circostanti. Non conosce la poesia il Faggio Sanguigno di Hesse, ma gli alberi li conosce bene, e potrebbe giurare tranquillamente che hanno sangue e anima.

VIVERE A SANTO STEFANO D’AVETO
Santo Stefano d’Aveto si trova in una zona appenninica integra e selvaggia, circondato da numerose vette tra le quali Passo del Tomarlo e il Passo di Crociglia, il Monte Maggiorasca oltre al Monte Bue raggiungibile in seggiovia. I prezzi degli immobili variano: un trilocate nel centro storico può costare tra i 70 e i 130 mila euro, dipende dalla sua antichità, dall’impiego delle pietre e legno locali come materiali costruttivi. Se si opta per le frazioni del paese, è possibile risparmiare. la scelta più consona a chi ama la natura è acquistare una casa non lontana dai boschi, con annesso prato e stalla per gli animali, pagando intorno ai 500 mila euro.

Luca Bergamin

https://www.corriere.it/bello-italia/notizie/santo-stefano-d-aveto-foliage-sogno-aquile-lupi-porcini-791c57a2-25e0-11eb-9464-032251e7abf1.shtml (15/11/2020)
(Fotografia di Giacomo Turco)

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