Il Ramaceto, nell’entroterra di Chiavari ai confini con la Val d’Aveto, è una montagna dalle caratteristiche particolari. Sul versante meridionale si presenta come un grandioso caratteristico anfiteatro roccioso ed una scoscesa parete che scende dai 1345 m della vetta ai circa 800 dei Prati di Cichero; a nord, sul versante dell’Aveto, i pendii sono ricoperti da una estesa e folta faggeta; a ovest, con un aspetto piramidale, si affaccia sulla valle del Màlvaro presentando pendii prativi assai acclivi; a est e a sud si prolunga con due dorsali che separano la Val Cichero dalla Valle Sturla e dalla Val Fontanabuona.
Vi sono validi motivi per ritenere che nell’antichità il Ramaceto potesse essere considerato una montagna sacra.
Qui di seguito riporto una serie di informazioni che ritengo possano avvalorare l’ipotesi. In parte sono già note, alcune sono invece inedite.
In ordine cronologico:
– La presenza di quattro lastroni di arenaria di forma regolare sulla cima sud-ovest del Ramaceto che potrebbero essere gli elementi di un dolmen, abbattuti e parzialmente sovrapposti. Ne avevo fatto uno schizzo il 26 maggio del 1960 dopo una segnalazione. Purtroppo le lastre sono state utilizzate negli anni ‘80 in occasione dei restauri della cappelletta-rifugio danneggiata da un fulmine.
– Area palustre ai Prati di Cichero (detta “Cian da Lamma”) da me segnalata all’archeologo Roberto Maggi negli anni ’80 e oggetto, allora, di un primo carotaggio da parte di Nicholas Branch dell’Università di Reading (G.B.) per il suo dottorato. Tornato sul posto l’11 maggio del 2018 per altri carotaggi fino alla profondità di due metri, e fatte le analisi polliniche e al Carbonio 14, ha potuto determinare come negli ultimi dodici secoli non vi siano state sostanziali modifiche nella copertura vegetale della zona.
– Masso con zeppe di sostegno e due coppelle collegate da canalletta individuato da Italo Pucci nel 2000 sulla “cresta” del Ramaceto, segnalato alla Soprintendenza nel 2010 e oggetto di uno studio da lui pubblicato nello stesso anno.
– Cippo confinario d’epoca romana con la scritta “Caesaris Ns” individuato sul pendio nord del monte da Italo Franceschini nel 1988, ritrovato il 17 ottobre del 2015 e oggetto di studio da parte del prof. Giovanni Mennella dell’Istituto di Studi Liguri. Delimita un latifondo imperiale dal quale probabilmente veniva ricavato legname per le imbarcazioni.
– Monolite in arenaria a forma di parallelepipedo, alto 240 cm e con sezione quadrata di circa cm. 60X60 che ho individuato il 3 luglio 2016 non lontano dal luogo del ritrovamento del cippo confinario e segnalato alla Soprintendenza il 26 novembre dello stesso anno.
– Grande lastra di arenaria individuata sulla “cresta” del Ramaceto da Ezio Mazzino e segnalata il 30 agosto del 2016. Appare intenzionalmente squadrata e presenta sul piano un’ampia concavità.
– Masso eretto, presente sul monte Mignano, contrafforte del Ramaceto, segnalato dal geologo Fabio Zavatteri nel marzo del 2018 e pubblicato da Roberto Maggi come presunto menhir.
– Punta di freccia in diaspro rivenuta da Roberto Maggi durante una ricognizione sul versante ovest del Ramaceto il 2 marzo 2019. Per le sue caratteristiche è ritenuta una freccia ad uso cultuale e viene datata a circa seimila anni fa.
– Masso-altare con tre coppelle ben evidenti e regolari, collegate da canallette, individuato l’11 ottobre 2017 ai margini dell’area palustre dei Prati di Cichero contemporaneamente da me e da Luisa Chiaudano, cui ho lasciato l’onore della scoperta.
– Masso di Cichero, o “Pria Scritta”, da me segnalato nell’ottobre 2017 e individuato sulla pendice compresa tra i monti Ramaceto e Cucco il 29 aprile del 2018. Durante i rilievi, tuttora in corso, sono state scoperte le scritte incise IOVI (a Giove) e AVI (forse le lettere iniziali di Avicantus, divinità celtica delle acque).
Mettendo insieme ritrovamenti e segnalazioni possiamo dire che il Ramaceto ha incominciato a svelare i suoi misteri. La definizione di “montagna sacra”, che avevo usato tanti anni fa dopo aver visto le lastre di quello che potrebbe essere stato un dolmen, mi sembra ora confermata e appropriata.
Renato Lagomarsino
(Articolo tratto dal N° 24 del 6 luglio 2023 del settimanale “La Trebbia”)
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