Per contattarlo e sapere se sia vero che abbia trascorso la sua prima vacanza a Bobbio tagliamo metaforicamente la testa al toro e cerchiamo il numero di telefono. Alla vecchia maniera. Ecco, trovato… Merito di un collega. Ma l’imbarazzo misto a un po’ di reverenza prevale. A quel numero potrebbe rispondere davvero Renato Pozzetto, il poeta e il contadino, la comicità italiana, il “Taac!”, “E la vita, la vita…”. Troppo.
Meglio un messaggio su WhatsApp per capire se lo si possa disturbare. Ma guarda: come foto profilo ha scelto un gallo. Nero di piume e rosso di cresta. Un gallo vero e proprio. In foto. Ok, allora il numero non è una bufala. Dev’essere proprio lui. “Scusi, ma è vero che la sua prima vacanza fu a… Bobbio?”, la domanda digitata. Non risponderà mai a quel messaggio. Doppia spunta blu. E Renato chiama. «Sono Pozzetto», precisa, come se per caso ci fossimo sbagliati qui in redazione e potesse iniziare così una gustosissima commedia degli equivoci. «Signorina, c’è qualcosa che non torna qua». In che senso? Era scritto su Il Giornale, in un’intervista sul caroaffitti, gli studenti con le tende in protesta davanti al municipio di Milano in questi giorni, la crisi abitativa… Lei ha detto che i ragazzi hanno ragione.
«Sì quello sì, ma sulla vacanza c’è stato un fraintendimento. La mia prima vacanza fu sul lago Maggiore. In tenda. Ero un bambino. Quella a Bobbio fu la seconda, e io ero un po’ più grande, un ragazzo». Età? «Eh ne è passato di tempo, avevo meno di vent’anni. Oggi ne ho quasi 83. Però Bobbio me la ricordo».
Ci dice di più? «Sì, certo, anzi mi scusi se ho dovuto precisare. Mi sembrava giusto». Ci mancherebbe. «Allora io mi ricordo l’autostop con in spalla solo uno zainetto», spiega. «Mi sono sempre divertito sapendo di essere povero. A Milano ho vissuto nelle “case minime” degli sfollati. La vita era dura, ma io non ho mai desiderato cose che non potevo avere. Giravo con la bici senza copertoni. Ho fatto i primi soldi in un cabaret da venti persone per sera».
A Bobbio dicono però che già da ragazzo faceva molto ridere: «Ricordo di quella vacanza che era inverno, e faceva un freddo cane. Abbiamo fatto il bagno però lo stesso nel fiume Trebbia. Si fanno cose pazze da giovani. Che freddo, c’era un freddo della madonna…». Tale e quale nei film. È lui. Nel Ragazzo di Campagna – 1984 – il film inizia con il gallo che canta (“Gallo avvisato mezzo accoppato”), nell’armadio spunta un pinguino tanto c’è freddo, l’asciugamano si spezza perché congelato. Dev’essere stata così quella vacanza; eppure l’ha voluta sottolineare venerdì in un’intervista girata in tutta Italia. Era una vacanza a casa di…? «Gian Luigi Olmi», risponde Pozzetto. «Conosce? Se lo conosce me lo saluta tanto per favore? Ci tengo, gli voglio bene».
Sarà fatto e non è difficile. Olmi a Bobbio lo conoscono tutti. Quantomeno per i cinquant’anni di arte grafica e design che hanno caratterizzato la sua vita, lasciando segni importanti, tra storiche insegne, cancelli in ferro, lampioni, piazze, spettacoli teatrali, pubblicità, giochi in legno. Olmi arrivò a Bobbio dalla Libia, dove era nato nel 1938, due anni prima della venuta al mondo di Pozzetto. La sua famiglia si trasferì quando lui era adolescente a Milano. Via Ludovico Montegani. La stessa via di Renato Pozzetto. Si conobbero così. Amici per sempre.
Olmi ogni volta che poteva voleva tornare là dove si era sentito a casa, a Bobbio, scelta che poi farà concretamente ritornando “da grande” stabilmente in valle: quella fuga in Valtrebbia in autostop con Pozzetto fu un modo per fargli vedere quel mondo più libero, più antico, più vero. «Però è vero che faceva freddissimo, la casa era disabitata al tempo, non avevamo certo il riscaldamento, gli inverni erano rigidi», ricorda Olmi, appena finito di guardare “Il Giro d’Italia” proprio nella casa di famiglia in centro a Bobbio. «Ricordo la notte, dormire nel letto matrimoniale gelido fu un’impresa da film». Poi altri ricordi: «A Milano io e Renato ogni mattina andavamo a scuola insieme. L’ho chiamato anche di recente. Gli dico di farsi coraggio, perché ogni tanto è facile farsi prendere dalla malinconia. Quando lo sento un po’ abbacchiato mi si stringe il cuore, mi dispiace. Lui per me è sempre stato geniale. Ha un senso dell’umorismo unico e speciale. Andammo a ballare, quando venne in vacanza a Bobbio. Era carnevale se non ricordo male. Poi è tornato a trovarmi ancora, ma non eravamo più ragazzi. Eravamo sposati. Mangiammo insieme al Piacentino. Adesso fa più fatica a spostarsi, non ha voglia di guidare, lo capisco. Ma la mia porta per lui è sempre aperta. Le dico di più».
Prego. «Ho insegnato per anni alla scuola media Dante a Piacenza», continua Olmi. «Un giorno, nel bel mezzo di una lezione di Educazione artistica, sento aprire la porta e me lo trovo davanti». Chi? Non dica che era lui. «Lui. Pozzetto. Mi dice “Oi Gian Luigi”, col suo fare. Gli studenti muti dall’emozione. Lui è così. Speciale, sempre. A casa sua a Milano si rideva e si scherzava sempre. Ricordo la sua mamma, i suoi tre fratelli. No, non ho foto. Ce le ho stampate tutte solo nel cuore. Anzi, sa cosa faccio? Adesso lo chiamo».
Elisa Malacalza (dal quotidiano Libertà)
(Articolo tratto dal N° 17 del 18 maggio 2023 del settimanale “La Trebbia”)
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