Nel mese di marzo, con l’incedere della stagione primaverile, era presente un tempo la tradizionale semina del cosiddetto “gran marsuò”, ovvero il grano marzuolo, che veniva coltivato soprattutto sui colli appenninici, anche in corrispondenza delle altitudini più elevate, per ottenere il prezioso cereale, fondamentale nell’economia rurale, destinato alla preparazione del pane casareccio, nonché della pasta e dei dolci fatti in casa, una volta ottenuta la farina, attraverso la macinazione, che avveniva avvalendosi dei locali mulini idraulici o elettrici.
Si rammenta, a tal proposito, che in Val Boreca erano presenti in prossimità del torrente, i mulini ad acqua di Suzzi, Tartago, Vesimo e Valsigiara; d’altronde a Zerba ed a Cerreto erano stati costruiti dei mulini elettrici che sfruttavano altresì l’energia proveniente dalla locale centrale idroelettrica nei pressi della diga, edificata nel 1926.
Il grano marzuolo era un tipo di grano duro, a ciclo breve e resistente alla siccità, diffuso fin dall’antichità, che permetteva di incrementare i raccolti, con speciale rilievo nelle annate non particolarmente abbondanti, una volta disciolta la neve e passato il gelo invernale, dopo aver predisposto l’aratura e la concimazione naturale dei campi.
Di colore scuro, dal punto di vista nutrizionale era contraddistinto da un notevole apporto proteico e di sali minerali, nonché da una marcata riduzione di glutine, di particolare interesse per le intolleranze alimentari.
La raccolta, realizzata per lo più a mano, mediante l’impiego di appositi falcetti (“messuie”), cadeva poi verso la fine del mese di giugno e l’inizio di luglio, con la trebbiatura delle spighe, sull’aia, attraverso la battitura con una sorta di bastoni (le cosiddette “versiele”) e la separazione dei chicchi dalla pula, l’ulteriore esposizione al sole per alcuni giorni, la selezione delle sementi e la custodia successiva in luoghi asciutti, privi di umidità, per le semine venture.
Alessandro Rapallini
(Articolo tratto dal N° 9 del 09/03/2023 del settimanale “La Trebbia”)
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