A Genova, secondo una tipica organizzazione sociale, politica ed economica di quella Repubblica, diverse famiglie patrizie si riunivano in “Alberghi”, assumendo un nuovo cognome collettivo, seguito dal proprio d’origine. Accrescevano in tal modo le loro potenzialità imprenditoriali e meglio difendevano successi; posizioni e prospettive. Contribuirono, inoltre, alla grandezza della loro città, distinguendosi con spirito d’emulazione, nella cura degli interessi generali, interni ed esterni. I “Centurione” furono un importante Albergo, comprendente tra le diverse altre, la famiglia degli Scotto (=Scotti), di origine piacentina (cfr. Full text of monete e sigilli dei Principi Centurione Scotti). I Centurione Scotto furono potenti armatori con traffici e commerci in Mediterraneo ed Oceano Atlantico (Cristoforo Colombo era loro agente a Madeira). Si distinsero a Genova per qualità politiche e militari; rilevante abilità diplomatica; iniziative ed imprese, enormi ricchezze accumulate. .. Acquisirono in seguito terree titoli nobiliari anche in Val Trebbia, negli attuali Comuni piacentini di Ottone e Zerba. I Malaspina di Pregola cedettero ai Centurione il marchesato imperiale di Campi, “il più amato” dai nuovi feudatari genovesi in quanto il primo, in alta valle, a cui molti altri si aggiunsero col tempo. A Campi i Centurione rimasero sempre affezionati, dotando la parrocchiale di San Lorenzo di beni e diritti e partecipando puntuali alle solennità religiose del 10 agosto di ogni anno. Crearono a Campi Vecchio (oggi rudere), una della più importanti zecche della Liguria: quattro magli variamente diffusi, maestranze di alto livello, posti di lavoro per gli abitanti. Quasi due secoli (parte del ‘600 e ‘700), di fervore creativo ed artistico, benessere, prosperità. Il primo responsabile della zecca fu Giovanni da Avignone, artista di fama, seguito da molti altri, tutti notevoli incisori e zecchieri. Sembra che tra le monete più apprezzate in Europa, ci fossero state le “doppie”, d’oro ed argento, bellissime nella perfezione di grafica e conio, battute proprio a Campi. Il paese è richiamato su dette monete, come su ogni altra moneta e medaglia dei Centurione, quale predicato del loro primitivo titolo marchionale. Le “doppie” presentano al recto la dicitura: “CarolusCentur. Mar. Campi”, e al verso, a continuazione dell’epigrafe precedente: “et Sac. Rom. Imp. Princeps. 1662” (Carlo Centurione Marchese di Campi e Principe del Sacro Romano Impero nell’anno 1662). L’aquila bicipite ne incornicia lo stemma, mediante curato disegno ed arte (Cfr. “Catalogo del Museo di Vienna”, pag. 258; per gentile concessione di Don Carlo Molinelli, parroco di Portalbera, Diocesi di Tortona; inoltre: Olivieri “Monete e sigilli dei Principi Centurione Scotto”, Genova 1862).
Ciò che segue rappresenta la puntuale descrizione della festività di San Lorenzo, nei modi ancora praticati nella prima metà del secolo scorso. Le testimonianze raccolte consentono di fissare una pagina di storia locale di notevole importanza ed interesse, circa secolari usi e costumi feudali in alta val Trebbia, ininterrotti nel corso dei secoli, fino alla seconda guerra mondiale. Si tratta di memorie diversamente destinate all’oblio perché mai descritte nel dettaglio e, quindi, fissate in documenti d’archivio. Non più tramandate verbalmente, da generazione a generazione, essendo tramontata la civiltà rurale; rarefattasi la popolazione dei nostri monti; divenute “sedi vacanti” gran parte delle parrocchie. Quelle memorie rimangono ora temporaneo, flebile ricordo di pochi.
Nel passato Campi di Ottone non era servito da strada carrozzabile. Tra le due guerre del secolo scorso si poteva raggiungere soltanto mediante l’antica mulattiera: un ramo sul tronco della SS 45, nei pressi della località Rocca dei Corvi. Nella festività di San Lorenzo, il Principe, ivi lasciata l’automobile, con il suo seguito, saliva alla popolosa frazione (allora). Come nella tradizione del marchesato, ricalcando “le vestigia degli antichi (suoi) padri”. Il corteo, giunto in vista della Chiesa, in un luogo convenuto e consacrato dai secoli, trovava una scelta delegazione di capifamiglia in attesa. Al suo arrivo tutti si toglievano il cappello, primo saluto ed ossequio. Il rappresentante ufficiale della parrocchia (l’ex caporale, nel passato di nomina dello stesso feudatario), s’intratteneva in convenevoli di rito. Subito dopo, ci si dirigeva alla Chiesa. Diversi giovani avevano l’ambito compito di sostenere la portantina sulla quale, come d’uso, il Principe raggiungeva il sagrato, accolto da festosi, sinceri sentimenti di “benvenuto”, espressi da tutta la popolazione esultante. La sua presenza contribuiva, tra l’altro, ad elevare al massimo grado il tono delle cerimonie religiose e dava enfasi e riscontri alla festività.
Il Principe partecipava alla Messa solenne con la processione. Durante le funzioni religiose il suo posto, secondo antiche consuetudini, proprie della civiltà feudale, era stabilito in presbiterio, insieme al clero. Presso la porta della sacrestia, in “cornu epistolae”, una poltrona ed un inginocchiatoio gli consentivano di assistere alle solenni liturgie, “ad honorem”.
Il pranzo era organizzato nell’attiguo giardino della canonica. Capotavola il Principe, intorno i capifamiglia della parrocchia, il suo seguito, numerosi sacerdoti e seminaristi di Tortona e Bobbio (le due Diocesi confinanti in alta Val Trebbia). Un antico ed ampio pergolato, concepito e realizzato allo scopo di mitigare gli eccessi della canicola, favoriva intimità; assicurava gradita ombra e frescura. Le donne del paese si erano prodigate in gioiosi preparativi, recuperando specialità e ricette di gastronomia locale. Durante il banchetto alcuni giovani si prestavano alla funzione di coppieri ed inservienti. Schierati a corona dei commensali, erano pronti ad intervenire ai loro cenni, rapidi intermediari tra la cucina, le cantine e la tavola.
I vini migliori della zona, in bianco ed in rosso, provenivano rigorosamente da Valmassaia e Catribiasca, apprezzati territori di produzione nel feudo.
Il Principe non dimenticava mai di recare preziosi doni alla Chiesa (suppellettili, contributi finanziari, arredo…), e volentieri si intratteneva con la gente. Il suo segretario, all’occorrenza, prendeva appunti…
Attilio Carboni
Le testimonianze di cui sopra sono state riferite da: Molinelli Giulia (1920/2012), mìa madre; Mons. Poggi Santino (1915/2002), preside del Liceo Scientifico di Borgotaro (PR), quindi nell ‘Istituto Magistrale di Bobbio; Mons. Rapallini Francesco (1923/vivente), addetto alla Sezione “Lettere Latine” -Segreteria di Slato dì Sua Santità – Città del Vaticano, Roma; Sig. Casazza Roberto (1923/vivente), appassionata memoria storica di Ottone; Don Luigi Cappellini (1914/1972), ultimo Prevosto della Chiesa di San Lorenzo, residente in Campi.
(Brano tratto dal 22 del 23/06/2016 del settimanale “La Trebbia”)
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