Montebruno sorge lungo l’antica strada che univa Genova a Piacenza: in epoca Longobarda i monaci di San Colombano di Bobbio avevano ricevuto tutto il territorio delle alte valli appenniniche del bacino del Trebbia tramite beneficio. Ricordiamo che i Longobardi favorirono la fondazione di nuove abbazie per creare avamposti verso le posizioni liguri dei Bizantini. In seguito ad accordi fra le chiese di Montebruno e Santa Maria di Torriglia, i monaci Benedettini di Bobbio fondarono una nuova abbazia, promulgata anch’essa da un privilegio regio, “Abatiam de Patrania quondam juris regii” (di cui purtroppo non si conosce l’anno di trascrizione) che prese il nome di abbazia di Patrania, ma di cui oggi non esistono più nemmeno le vestigia poiché abbandonata sul finire del IX secolo, sembra a seguito di scorrerie saracene. Presumibilmente situato fra Montebruno e Torriglia, questo antichissimo monastero possedeva beni su di un vasto territorio dalla Valtrebbia fino a tutto il Levante genovese con Montebruno, Torriglia, Bargagli, Davagna, fino a Zoagli, Bogliasco, Recco, Sestri Levante, San Fruttuoso, Portofino, Chiavari.
Per unire tutte le loro celle e monasteri, i monaci costruirono una rete di strade che prese il nome di via Patranica. Il suo asse principale raccoglieva tutte le mulattiere dal mare fino all’entroterra e si snodava lungo il Trebbia a fondovalle. Possiamo definire questi percorsi come la via del sale per eccellenza. Nel corso dei secoli, si sono diramati lungo un tracciato sui crinali dei monti che univa la Liguria del levante in particolare Chiavari, dove esistevano le più importanti saline della Repubblica di Genova, con il borgo di Varzi, centro commerciale di prima grandezza dei traffici fra il Mar Ligure e il Milanese.
Nel 923 e nel 947 i re Ugo e Lotario assegnarono l’abbazia a quella di San Marziano di Tortona; l’abate di quest’ultima portava anche il titolo di Santa Maria di Patrania e governava questi monasteri, nella parte materiale, a mezzo di procuratori.
Dal 1153, all’antica intitolazione dall’abbazia di Santa Maria si aggiunse quella di Sant’Onorato, attuale titolare della parrocchia di Torriglia. Papa Anastasio IV, il 7 dicembre 1153 confermerà il possesso dell’abbazia al Vescovo di Tortona che, da allora, ne ha la cura pastorale.
Secondo la tradizione, il santuario sorge sul luogo di una miracolosa apparizione della Vergine Maria avvenuta nel 1478: la Madonna, così attesta il racconto popolare, apparve a un pastorello muto che, alla vista della Signora riacquistò miracolosamente la parola, per poi annunciare l’evento alla popolazione di Montebruno. Gli abitanti, corsi immediatamente sul luogo indicato, videro una statua in legno raffigurante la Vergine. A seguito di questi eventi, si intraprese la costruzione di una chiesa che, secondo un documento del 1486, ricevette il consenso del pontefice Innocenzo ottavo. L’edificazione del santuario fu curata dal frate agostiniano, il Beato Battista Poggi, fondatore della casa madre della congregazione del convento della Consolazione di Genova.
La struttura primaria originale della chiesa subì, nei secoli, notevoli modifiche così come il convento adiacente degli Agostiniani. L’edificio fu ampliato e arricchito anche per la notevole presenza di fedeli che fecero del Santuario la meta dei pellegrinaggi in Alta val Trebbia. La facciata di cui non si conosce lo stile antico, fu rivista sul finire del XIX secolo (1897) e i lavori di rifacimento delinearono l’attuale stile neoclassico.
L’interno della chiesa è diviso in tre navate coperte da volte ogivali che farebbero risalire lo stile architettonico al quattrocento o al cinquecento. Le decorazioni in stucchi dorati e gli affreschi rimandano senza dubbio al barocco genovese del XVII secolo, così come il grande altare maggiore in marmo policromo.
Tra le opere scultoree, sono conservati all’interno della chiesa, un confessionale del XVII secolo e un Crocifisso ligneo dello stesso periodo. Altre opere di rilievo una tela del 1600, opera di pittore sconosciuto appartenente alla scuola ligure e una del 1750 di Agostino Ratti raffigurante il transito di San Giuseppe. Di un certo Giovanni Quinzio, sul lato sinistro dell’edificio, un affresco che presenta la storia della miracolosa apparizione e la succesiva costruzione del santuario. Del pittore Ottavio Semino è invece “Il battesimo Di Sant’Agostino”, posto in un riquadro del coro ligneo, quest’ultimo eseguito nel 1585.
Nel presbiterio, al centro, è collocata la statua della Vergine Maria, trovata secondo la leggenda su di un ramo di un albero di faggio, sul luogo dell’apparizione. L’origine potrebbe essere Bizantina, ma le notizie tramandate dalla “leggenda” e il vuoto di informazioni intorno ad un eventuale autore hanno indotto gli storici dell’arte a definire la statua ACHEROPITA, ossia non eseguita da mano d’uomo, come l’immagine della Madonna di Guadalupe o la Sindone di Torino.
Più di un mistero avvolge questo Santuario, che si presenta al viandante come un tesoro nascosto fra alberi di faggio, fresche acque e antiche leggende. Siamo rapiti dai racconti di strade e destini annodati, di incontri con briganti e pellegrini. Anche noi, bisognosi dello sguardo amoroso della Vergine, ci affidiamo a Santa Maria di Patrania, nella speranza che ancora oggi, dall’alto dei monti, erga un baluardo di fede e riversi la sua benevolenza su tutti gli uomini e le donne in cammino con il suo Divin Figlio.
IL CONVENTO
Il convento eretto dai padri agostiniani insieme al santuario comprendeva un chiostro, un refettorio, un dormitorio, diverse officine e un cimitero. Ampliato nel 1612 grazie ad elargizioni da parte dei principi Doria, è stato restaurato qualche anno fa, con la riapertura degli spazi originari fra i pilastri del chiostro, la descialbatura degli affreschi del 1616 nella sala capitolare. Nell’antico refettorio agostiniano si trovano, uno di fronte all’altro, i dipinti raffiguranti sant’Agostino e una magnifica “Ultima cena”, realizzata, probabilmente nel XVI secolo da un artista anonimo, risente dell’influenza del cenobio vinciano.
Questa ricchezza di fede, storia, stili architettonici e opere d’arte è visitabile grazie all’abnegazione di Alma, Carla e Anna, rispettivamente nonna, mamma e nipote che quotidianamente, si prendono cura del Santuario e dell’annesso convento avendo premura di accogliere i pellegrini che ancora oggi possono recarsi a chiedere grazie.
Marina Biggi
(Articolo tratto dal N° 33 del 10/10/2024 del settimanale “La Trebbia”)
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