Michele Sacco, 70 anni, è scomparso dalla tarda serata del 30 giugno 2024 dopo essere uscito per un’escursione. L’uomo, residente a Zerba, molto conosciuto in Alta Valtrebbia e Valboreca, era partito nel pomeriggio per tentare di riaprire un vecchio sentiero che sembrava permettesse di raggiungere a piedi la località di Rovaiolo Vecchio. Nonostante molti giorni di ricerche non è mai stato ritrovato.
Michele Sacco era molto attivo sui social dove denunciava senza sosta tutte le problematiche che secondo lui affliggevano la Val Trebbia.
Vi proponiamo un breve ritratto di Michele proposto da una persona che l’ha conosciuto.
Negli anni Ottanta mi innamoravo di tutto, correvo dietro ai cani. Era perché avevo vent’anni e a questo si conforma la citazione zoppa che mi permetto di fare (De André, “Codadilupo”). Ma l’incontro con Michele Sacco è stato un incontro importante: in quella mia esaltazione di giovane, appena iscritto all’università, conoscere un personaggio singolare – perfino strano -come Michele, fu una illuminazione: subito io e il mio amico Gianni Nobile da Genova (almeno io di sicuro ma, credo, anche lui), vedemmo in quel milanese una sorta di apertura al mondo, l’ingresso a una strada nuova e anticonformista alla cultura.
Michele Sacco era quel tipo che in occasione del sentitissimo torneo di calcio estivo di allora (a Ottone), sapeva sdrammatizzare e perfino ridicolizzare l’evento (perché evento era) con urla che in realtà erano citazioni di cultura popolare (dal modesto e intramontabile -Arbitro cornuto!-ad altre, molto più fantasiose e perfino meno offensive corne “Arbitro!!! Hai una scarpa slacciataaa!”; Michele era il bagnante di fiume, il Trebbia, che a metà pomeriggio arrivava e, pallido come d’estate non si usa, si lavava i capelli, suscitando sguardi stupiti e diffusa riprovazione: era una plastica iconografia del Giovanni Battista, il corpo immerso a metà, magro e bianco, in quella sorta di fiume Giordano d’Appennino che è il Trebbia a Ottone.
Performances che suscitavano la riprovazione del tradizionalismo farisaico e per converso l’esaltazione nostra, sottospecie di zeloti o, per meglio dire, “giovani turchi”.
Michele Sacco, però, era per noi anche quello (soprattutto) delle dotte conversazioni di filosofia e politica. Figlio di emigrati a Milano dalla Val Boreca, lavoro norrnale per vivere (da “Liberta” ho appreso che era magazziniere) Michele in realtà aveva abitato la metropoli da studioso: Casa della Cultura, Statale di via Festa delPerdono, circolo anarchico del Ponte della Ghisolfa. E passione spontanea, istintiva per la filosofia. Bello fargli domande, bello ricevere le sue risposte. Poi gli anni passano, si cresce e si invecchia. Da allora è perfino cambiato il rapporto città-campagna. Le valli piacentine sono state culturalmente (non ancora economicamente) valorizzate: amministrazioni scopertesi progressiste hanno suscitato l’entusiasmo di una consistente e intellettualmente robusta minoranza – almeno, sedicente – “di sinistra” (Ottone escluso); l’ambientalismo ha rinvenuto nelle forre delle alte valli paradisi di salvaguardia dal mondo moderno. Ingenuità che riecheggia, per chi in quei luoghi è nato e cresciuto, una sorta di mito del buon selvaggio: non senza da parte mia – of course – un istintivo fastidio. Bene, Michele, raggiunta la pensione, ha scelto di abbandonare la sua dimensione metropolitana per tornare nei monti dei suoi avi, sperando di ritrovare e ripristinare tradizioni, costumi e perfino pericolosissimi sentieri. Non si fa, il passato è passato e per Michele Sacco la città era decisamente l’habitat migliore: aveva un passo di pianura e si è riscoperto e improvvisato esploratore. E’ come se avesse, anche lui, abbracciato il mito del buon selvaggio, cercando in esso di identificarsi. A me, a noi che l’abbiamo conosciuto e benvoluto, addirittura amato, resta il ricordo dei suoi occhi chiari, della sua parola intelligente, del suo anticonformismo. Anticonformismo, secondo me (ma appunto, secondo me), finito con il desiderio di recuperare un passato irrecuperabile. Resti comunque per lui, ora e sempre, ma adesso accompagnato da lacrime salate, quel coretto mutuato dagli stadi e tante volte da me condiviso, sorridendo, con il comune amico genovese e genoano Gianni Nobile, dolente oggi in modo pari e perfino superiore al mio: “Sia lode a te, Michele Sacco!”
Stefano Raffo
(Articolo tratto dal quotidiano Libertà)
Related Posts