L’arte casearia nelle nostre Valli

La produzione del formaggio è riscontrata fin dai tempi antichi e suffragata dalle scoperte archeologiche, in relazione a reperti rinvenuti presso i luoghi di sepoltura, unitamente ad altri alimenti e manufatti, che venivano riposti acconto al defunto, per accompagnarlo nel transito verso l’Aldilà. Ad esempio si citano i risultati di una ricerca effettuata dall’Università di Catania e del Cairo, pubblicati il 21 agosto 2018 sulla rivista scientifica “Analytical Chemistry”, che evidenziano tracce di formaggio, ottenuto da latte ovino e vaccino, risalente a 3200 anni fa, rinvenute all’interno di una giara posta nella tomba di Pthames, alto funzionario egizio e sindaco di Menfi, in una località situata a Saqqara del Cairo (“Analytical Chemistry”, volume 90, edizione 16).
Nella mitologia greca la creazione dell’arte casearia, della pratica della pastorizia e della produzione del miele viene ricondotta ad Aristeo figlio di Apollo e della ninfa Cirene. D’altronde nella tradizione celto-ligure la realizzazione del formaggio era connessa alla transumanza, permettendo d’ottenere prodotti d’altura, oppure robiole con breve stagionatura, contraddistinte dal colore rubino della crosta da cui deriva l’etimologia latina, nonché ricotte fresche come il “sarasso”, il cui nome è legato alla parola latina “serum”, ovvero siero. Plinio Il Vecchio menziona il formaggio di pecora di Ceva e quello di Luni con latte vaccino (“Naturalis Historia”, Libro XI, Capitolo 97, 241). Durante il Medioevo i Monasteri hanno promosso importanti progetti di bonifica e recupero di rilevanti aree da destinare al pascolo e all’agricoltura, assegnando peculiare importanza all’attività casearia.
Tra i formaggi tipici delle nostre valli, si ricordano quelli classificati con denominazione d’origine protetta, ovvero il Grana Padano e il Provolone Valpadana, con peculiare riguardo alla Provincia di Piacenza, mentre vengono annoverati tra i prodotti agroalimentari tradizionali italiani (PAT) la Ribiola della Bettola, in Val Trebbia e Val Nure, la Robiola della Val Tidone, il San Sté di Santo Stefano d’Aveto, le cui degustazioni possono essere accompagnate da calici di vini rossi generosi quali Gutturnio, Bonarda e Barbera, con mieli autoctoni che risaltano specificamente le proprietà organolettiche, che promanano dal tipo di latte utilizzato e dalla relativa stagionatura.
Si segnalano in particolare due realtà imprenditoriali delle nostre Valli, che tramandano l’antica arte casearia locale: la “Latteria Artigianale dei Principi” di Elisa Pisotti, sita a Barchi di Ottone, con la specifica produzione del “Mulan-na” e l’azienda agricola “Mooretti” di Massimo Monteverde, che si trova ad Allegrezze di Santo Stefano d’Aveto, che oltre a formaggi stagionati e freschi, tra cui la “Prescinsêua”, fornisce altresì yogurt, grani, farine e patate.

Alessandro Rapallini

(Articolo tratto dal N° 31 del 10/09/2024 del settimanale “La Trebbia”)

 

Lascia un commento