Circa duecento milioni di anni fa, quando la Terra era dominio incontrastato dei grandi sauri e la penisola italiana non si era ancora formata, un oceano oggi scomparso separava l’Africa settentrionale dall’Europa e dall’Asia: la Tetide. Successivamente la collisione della placca adriatica con il continente europeo chiuse la Tetide ad Est nella regione centrale originando il Mediterraneo e dando origine anche alle catene montuose delle Alpi e degli Appennini.
Durante il Paleogene, tra 65 milioni e 23 milioni di anni fa, le grandi masse continentali dell’Europa e dell’Africa proseguirono il loro avvicinamento, e in questa marcia schiacciarono e trascinarono le rocce sedimentarie che precedentemente si erano depositate sul fondo della Tetide.
Insieme a queste rocce vennero sradicati e sollevati i resti dell’antica crosta oceanica che andarono via via a costituire parte dell’attuale Appennino e che oggi costituiscono le cosiddette “rocce verdi” o “ofioliti. Diversi paesaggi appenninici sono caratterizzati da questi scogli più duri e resistenti che emergono dai terreni argillosi circostanti coperti di vegetazione e di coltivazioni. È il caso della maestosa mole della Pietra Parcellara che svetta sulla Valtrebbia. Questo rilievo è formato dai resti smembrati di quell’antichissimo fondale oceanico. La roccia che la costituisce è la serpentinite (nome che richiama il suo colore, simile alla pelle dei serpenti), e è originaria del mantello, l’involucro concentrico che si trova immediatamente al di sotto della crosta terrestre. Questo materiale di carattere metamorfico (perché soggetto all’azione della pressione e della temperatura) doveva trovarsi sotto il fondo della Tetide, oceano che, come abbiamo visto in precedenza, era destinato a scomparire perché le sue sponde (l’Africa e l’Eurasia) stavano lentamente avvicinandosi. Da quelle profondità è risalito durante il sollevamento delle Alpi e degli Appennini e come altri frammenti di quell’antico oceano è stata trasportato qui insieme alle argille su cui poggia, che degradano verso il greto del Trebbia, di fronte all’abitato di Perino.
A poca distanza dalla Pietra Parcellara un altro ammasso roccioso ofiolitico emerge dai terreni circostanti; si tratta della Pietra Perduca, località di sicuro interesse architettonico e antropico per la presenza della piccola chiesa e di due vasche scavate direttamente nella roccia, ma anche per gli aspetti naturalistici che la caratterizzano. Parcellara e Perduca rappresentano una delle tante peculiarità geologiche di cui sono ricche le valli della nostra provincia, un mosaico di terreni in grado di aprire delle ” finestre” su un passato la cui storia è impressa proprio in quegli antichi ma affascinanti resti.
Carlo Francou
(Articolo tratto dal quotidiano “Libertà” del 23 gennaio 2020)
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