Nei pressi di stagni o paludi, nonché nei luoghi anticamente destinati alla sepoltura, soprattutto nelle calde notti d’estate, si era soliti assistere al fenomeno dei fuochi fatui, ovvero alle fiamme effimere che si sprigionavano all’improvviso, per brevi istanti, verso l’alto. Tale particolare processo era correlato alla decomposizione organica di sostanze umane, animali o vegetali, contenenti fosforo e metano, che venendo a contatto con l’ossigeno contenuto nell’aria, in superficie, provocavano la combustione.
Alcune credenze popolari consideravano i fuochi fatui come la presenza delle anime dei defunti che vagano nell’attesa di attendere il momento destinato al passaggio al Purgatorio, al fine di purificarsi dopo l’esistenza terrena.
Si rammenta che Alessandro Volta, dopo aver scoperto il metano ad Angera, località prospiciente il Lago Maggiore, osservando l’aria infiammabile provenienti dalla palude dell’Isolino Partegora (“Lettere sull’aria infiammabile nativa dalle paludi”, pubblicata a Milano nel 1777, stamperia di Giuseppe Marelli), fenomeno riscontrato altresì successivamente nel 1780 a Pietramala, attuale frazione di Fiorenzuola e poi nel 1781 nei pressi di Velleia (“Scritti sull’aria infiammabile e sull’eudiometro e sopra i fuochi di Pietramala e Velleia”, con introduzione e note di Aldo Mieli, 1928) spiegando tali manifestazioni luminose con l’interazione provocata da fenomeni di elettrificazione naturale. Inoltre si cita in particolare il “Poemetto didascalico in latino” di Alessandro Volta, con versione italiana di Zanino Volta, pubblicato a Pavia nel 1899, in cui vengono trattati temi di rilevanza chimica e fisica, tra i quali vengono annoverati altresì i fuochi fatui, originati dai vapori sulfurei: “eppur le fiamme lambenti e i fatui fochi hanno lor vita sol da vapori solforosi e crassi”. D’altronde nel 1783 il chimico francese Philippe Gengembre, allievo del celebre Antoine Laurent Lavoisier, ha illustrato innanzi all’Accademia delle Scienze, la scoperta di fosfina (PH3 ), ottenuta dalla combustione di fosforo in una soluzione di bicarbonato di potassio (“Mémoire sur un nouveau gas obtenu, par l’action des substances alkalines, sur le phosphore de Kunckel”, in “Mémoires de mathématique et de physique”, 10, 1785, Parigi).
Nell’attuale linguaggio parlato, i fuochi fatui sono divenuti invece, con il passare del tempo la metafora di esperienze vissute, vane ed effimere, le cui fugaci conseguenze non vengono ritenute degne di considerevole nota e memoria.
Alessandro Rapallini
(Articolo tratto dal N° 27 del 1/08/2024 del settimanale “La Trebbia”)
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