Rimuovere almeno dieci ostacoli artificiali nel fiume Trebbia e nel Perino. « È possibile farlo, i finanziamenti ci sono, e altre nazioni lo hanno già fatto o lo stanno facendo », sottolinea Davide Belfiori di Wwf, giovedì sera nell’auditorium della Fondazione di Piacenza e Vigevano.
L’occasione è la presentazione dello studio pilota nazionale condotto da tecnici, ittiologi, esperti fluviali del Cirf (Centro Italiano di Riqualificazione Fluviale) e del Politecnico di Torino: per mesi hanno messo sotto la lente sia il Trebbia che il Perino mappando con strumenti altamente scientifici quegli ostacoli che, se rimossi, potrebbero portare i pesci “buoni” (non esotici ma autoctoni) dal Po fino ai meandri di San Salvatore e non solo.
Le proposte emerse fanno parte del gigantesco progetto cui punta il Wwf per ristabilire lo scorrimento libero di almeno 25.000 chilometri di fiumi entro il 2030, come sottolineato da Andrea Agapito Ludovici, responsabile acque per Wwf Italia. I principali ostacoli individuati durante lo studio, spiegati uno ad uno, sono briglie, dighe mai terminate, sbarramenti artificiali, ponti. Eccoli: la traversa di Rondanera, la barriera sotto il ponte ferroviario di Piacenza, il ponte di Due Bandiere nei pressi di Perino (a 250 metri dal Trebbia), la diga mai terminata di San Salvatore, il ponte Gobbo a Bobbio, quello di San Martino e la costruenda traversa di Mirafiori a Rivergaro. Sul Perino, il ponte a Molino Soria e poi altri ostacoli a Osera. «Ma anche la traversa di derivazione di Losso a Ottone non va. A nostro avviso serve qualche verifica in più, blocca completamente il fiume, così come il ponte Lovaia a Valsigiara potrebbe essere rimosso completamente perché è un ostacolo insormontabile per i pesci», spiega Andrea Goltara del Cirf.
Le proposte per il ripristino della connettività fluviale sono state messe al centro del convegno voluto da Legambiente e Wwf con Lipu Piacenza, Cai Piacenza e il Comitato Terme Valtrebbia – presenti i referenti dell’associazione Residenti Utenti Statale 45 – che hanno supportato nei sopralluoghi i rilievi e i test necessari allo studio realizzato con il contributo dell’organizzazione olandese Open Rivers Programme (www.openrivers.eu).
Fabrizio Merati e Massimo Pascale, ittiologi, hanno ricordato le 10 stazioni di analisi partite da venti chilometri dalla foce del Po fino al confine regionale ligure seguendo il Trebbia. «I pesci iniziano a soffrire a Rondanera, dove infatti non troviamo più la lasca e il barbo è solo giovane», spiega Merati. «Ci sono pochi pesci piccoli in Trebbia», aggiunge, citando l’effetto alterante della predazione dell’avifauna e dei cormorani. Elemento positivo: i pesci sono autoctoni, endemici, tranne in zona Ottone, dove si trovano trote fario immesse. Si parla di cavedani, vaironi, barbi, ghiozzi e non solo, nella ricchezza del Trebbia.
David Belfiori di Wwf Italia traccia un vademecum delle richieste per Trebbia e Perino. Un programma di gestione dei sedimenti e la possibilità di contare su un bilancio idrico sono due obiettivi: «Nel 2017 ci sono stati in Trebbia 150 giorni di magra e nel 2022 altri 160, segno di frammentazione ecologica netta», spiega. Fabrizio Binelli di Legambiente invita infine a «togliere l’artificializzazione da uno dei posti più belli del Nord Italia». Per lui il Trebbia “bandiera blu” è un caso che, pur nelle sue contraddizioni, può davvero far scuola.
Elisa Malacalza Da Libertà
(Articolo tratto dal N° 8 del 29/02/2024 del settimanale “La Trebbia”)
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