L’etimologia del termine bandito deriva dal provvedimento di allontanamento, ovvero il bando da un determinato territorio, emesso dalle autorità preposte, a seguito di comportamenti da parte del destinatario, che violavano l’ordinamento dell’epoca, traendo origine dall’ambito politico, nella lotta tra fazioni per il potere. Lo stesso Dante Alighieri fu bandito da Firenze il 27 gennaio 1302 e costretto all’esilio dalla città natale.
Sovente capitava, tra XVI e XVII secolo, che la maggior parte dei banditi provenienti dalla Repubblica di Genova si collocassero a ridosso dei feudi imperiali circostanti, presenti in Val Trebbia e Val d’Aveto, godendo della protezione dei legami parentali, nonché dei Signori locali che potevano così disporre dei nuovi giunti, come una sorta di masnadieri, per il controllo della popolazione locale e dei transiti commerciali, dal versante ligure verso la pianura padana. Tale periodo storico era contrassegnato dalla debolezza del potere centrale, dilaniato dalle lotte intestine, dalla diffusione dell’archibugio, quale arma letale da fuoco ad avancarica e da un contesto rurale povero, basato sulla coltivazione di frumento, segale, avena e lenticchie, censito attraverso il conteggio dei “fuochi”, che individuava facilmente il numero di nuclei familiari residenti, mediante il comignolo, utilizzato all’interno delle abitazioni per il riscaldamento e la preparazione degli alimenti.
Sono note ad esempio le malefatte del bandito Vincenzo Zenoglio detto il “Crovo”, che il 26 maggio 1543 osò addirittura saccheggiare, nella prossimità di Cento Croci, la delegazione di Cosimo de’ Medici in visita a Genova (Giuseppe Pessagno, “La vita a Chiavari nel Cinquecento. Le bande di Val di Sturla”, in “Gazzetta di Genova – Rassegna dell’attività ligure”, LXXXV (1917), n. 3), nell’ambito del sistema di alleanze fedeli a Carlo V, in funzione anti-francese, determinando inesorabilmente la sua condanna a morte poco dopo, con la spedizione punitiva a Rezzoaglio presso la “Casa dei Galli” (Giuseppe Fontana, “Rezzoaglio e Val d’Aveto (cenni storici ed episodi)”, 1940).
Nella dissertazione dedicata a “I Malaspina di Pregola ed i feudi imperiali sulla sinistra del Trebbia” (Archivio Storico per le Province Parmensi, Volume XVI, 1964), Giorgio Fiori, prendendo in considerazione alcuni documenti custoditi dall’Archivio di Stato di Milano (Sezione Feudi Imperiali-Pregola), riporta che da una lettera redatta dal marchese Riccardo Malaspina nell’anno 1578, a Zerba era insediato un presidio di soldati spagnoli, al fine di garantire la sicurezza della valle infestata da numerosi banditi, tra cui viene ricordato un certo Matteo Pietra, mentre nel 1620 vi erano almeno 16 banditi dello Stato Genovese ed in particolare tali Bartolomeo Merliani, Casazza, Bartomellini ed altri appellati come “i figli della Guercia”.
D’altronde la tradizione orale tramanda altresì che a Cerreto di Zerba dimorasse il famigerato bandito Antonio Serra, detto il “Bandanna”, che abitava proprio in fondo al paese, nei pressi del sentiero che conduce a Tartago, dedito all’usura ed alla pastorizia: si racconta che non esitò ad assassinare ben due guardie, poste alla riscossione dei dazi nel transito di Confiente e per questo decise di emigrare in America, facendo perdere così le proprie tracce.
Alessandro Rapallini
(Articolo tratto dal N° 5 del 08/02/2024 del settimanale “La Trebbia”)
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