Il numero sette è ricorrente nella tradizione cattolica. Infatti, i giorni della creazione sono stati sette, così come sette sono i peccati capitali. Una cifra che si ripropone anche in occasione di un evento oggi molto sentito e rispettato in Oltrepò Pavese.
Dove nasce la sera delle sette cene
Come vuole la tradizione cristiana, il 24 dicembre, la Vigilia di Natale, è una giornata di digiuno in vista dei lauti banchetti del 25 dicembre. Fu così che anticamente i contadini istituirono la sera delle sette cene, un’occasione per rimpinzarsi in vista della magra del giorno seguente il 23 dicembre, quella che normalmente viene chiamata l’Anti-Vigilia. Questa usanza è presente in Oltrepò Pavese fin dal medioevo, ma solo in tempi recenti è stata nuovamente condivisa e diffusa. È grazie a Piera Spalla Selvatico che nel 1987 questo rito ha smesso di essere tramandato solo oralmente, ma è diventato, per così dire, ufficiale. Lo dobbiamo a un grande lavoro di ricerca e raccolta di informazioni, messo a punto intervistando gli anziani del paese di Rivanazzano, luogo di origine della signora Piera.“
Ritualità a tavola in salsa pavese
Nulla è casuale, men che meno durante la sera delle sette cene. Ogni pietanza ha un particolare significato, un vero e proprio rituale, un momento solenne durante il quale ogni portata ha un preciso scopo e valore spirituale. Fin dal passato i contadini mettevano su questa tavola piatti poveri, ma che potessero saziarli a sufficienza. Pane, frutta secca, verdura di stagione erano solo alcuni degli ingredienti consumati in questa serata. Ognuno di essi va ancora oggi a comporre quelli che sono i sette piatti che rappresentano i peccati capitali, i giorni della creazione e le ore di luce in inverno.
Le portate della sera delle sette cene
Si inizia con l’insâlàtâ âd bidràv, püvrón e inciùd (insalata di barbabietole, peperoni e acciughe). Vi è un elemento che potrebbe risultare strano agli occhi dei commensali in questa portata, ovvero le acciughe. Ben lontano dal mare, l’Oltrepò Pavese era il luogo di partenza di quella che è conosciuta come la Via del Sale, un percorso che collega il borgo di Varzi alla Liguria, destinazione dalla quale venivano importati questi pesci.“
Si prosegue con la turtâ d’sücâ (torta di zucca) che con il suo colore vuole ricordare il sole che in questo periodo poco si mostra. I sigùl cul pen (cipolle ripiene) vogliono allontanare tutti gli spiriti maligni, così come i fas dâ Bâmbén cun l’âjà (fasce di bambino con l’agliata), uno dei piatti più iconici di questa tradizione. Le reginette richiamano con la loro forma le fasce che accolgono Gesù bambino e vengono condite con una salsa a base d’aglio per scongiurare spiacevoli incontri.
Pesce, formaggio e frutta per concludere la cena
Mancano tre portate alla fine della sera delle sette cene. Il menu servito in tavola sino ad ora non si può dire sia stato leggero, ma prosegue con il mârlüs cun l’üvâtâ (merluzzo con l’uvetta), uvetta che, come da tradizione oltrepavese, veniva fatta essiccare dopo la vendemmia proprio per impiegarla in questa occasione. È il momento della furmâgiâtâ cun mustàrdâ (formaggetta con mostarda). Voghera è molto conosciuta per la sua celebre mostarda fin dai tempi più antichi. Questo prodotto ben si presta ad essere accompagnato da un buon formaggio semi stagionato locale.“
Per concludere in bellezza vengono servite i per giâsö cöt cun i câstégn (pere ghiacciolo con le castagne). Da non dimenticare il ruolo del miccone, il pane tipico locale che il capofamiglia metteva in tavola per poi distribuirlo a fine pasto come gesto di preservazione dalle malattie. In una sola cena, tanti simboli e tanta ritualità ogni anno accompagnano gli abitanti del posto in un vero viaggio alla scoperta dalla propria cultura gastronomica e non solo.“
Patrizia Ferlini (Testo e foto)
https://www.cibotoday.it/ (15/12/2023)
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