Allevatrice per non perdere il sacrificio di tre generazioni: «Farlo a Marsaglia è una missione»

«Bisognava prendere una decisione, era un momento storico nel quale si faticava a vendere il latte, ma a me dispiaceva che andasse perduto il sacrificio di tre generazioni. Per questo decisi di subentrare nell’azienda di mio padre». Silvia Lupi oggi ha 38 anni, abita a Fossoli, paesino di poche case di Corte Brugnatella, e di professione è allevatrice di maiali e di bovini, oltre che agricoltore. Dopo aver studiato Ragioneria a Bobbio, a 22 anni, nel 2007, mentre studiava Economia all’università di Parma, «è tornata alle radici, perché mi dispiaceva troppo abbandonare tutto».

Da quel momento guida l’azienda agricola “La Rocchetta”, che sarebbe il monte che Silvia vede dai suoi pascoli. «Da ragazzina non ero così determinata verso questo mestiere. Aiutavo, insieme ai miei due fratelli siamo tutti molto legati tra di noi e verso l’attività di famiglia», da sempre iscritta alla “Cia”.

Tra il 2008 e il 2010 ha introdotto anche l’allevamento dei maiali. Suo padre ha sempre fatto il “norcino”, colui che lavora la carne di maiale. «Abbiamo concentrato le risorse per curare interamente tutta la filiera qui, vendendo un prodotto tradizionale». Anche il fratello Daniele gestisce, dal 2018, un’azienda agricola (“La Bancorina”), mentre un altro fratello, Fabio, svolge tutt’altro mestiere ma dà una mano quando può.

Ora ci mancava pure la Peste Suina Africana (Psa) ad allarmare gli allevamenti piacentini. «Avevamo una media di 50-60 maiali – racconta l’allevatrice – ma abbiamo ridotto i numeri, per contenere gli eventuali danni economici, in caso di Psa in zona. Purtroppo siamo a rischio: ovviamente abbiamo adottato le misure di sicurezza richieste, ma rimaniamo sulle spine. L’attività che ci tiene in piedi è quella della produzione e vendita dei salumi».

Tra la sua azienda e quella del fratello, Silvia ha a che fare con un’ottantina di bovini. «Negli ultimi due anni tutto è diventato più difficile. Bisogna stare attenti a investire, perché i costi dell’allevamento sono raddoppiati». I lupi, intesi come animali selvatici, danno fastidio anche ai Lupi, intesi come famiglia dedita all’allevamento. «Purtroppo la loro presenza ci condiziona, abbiamo sempre paura di mandare fuori gli animali, soprattutto quelli prossimi al parto o con il vitellino piccolo. Teniamo le vacche più tempo in stalla per paura di predazioni, l’anno scorso abbiamo subito qualche attacco».

Il luogo dove lavora rappresenta quasi tutto per l’allevatrice marsagliese. «È bello e gratificante guardarsi attorno, vivo in un posto stupendo. Difficile essere agricoltori e allevatori qui, lontani dai veterinari, dalle associazioni, dalla burocrazia. Ma non farei mai l’agricoltore in pianura. Ho scelto questo mestiere perché è il lavoro più legato alla terra e al territorio. Anzi, diventa anche un po’ una missione farlo a Corte Brugnatella, ti rendi conto che il mondo circostante dipende da te. Fin che c’è l’agricoltore, la zona è bella anche per gli altri e più al sicuro. Quando non c’è più un agricoltore, questo mondo è finito».

Rispetto ad altri colleghi, Silvia è avvantaggiata da un aspetto: è giovane e ha studiato ragioneria. Si districa meglio tra i nodi della contabilità e della burocrazia. «Quasi quasi – ci riflette sopra – penso di aver fatto meglio a studiare ragioneria che agraria, aiuta di più nell’attività imprenditoriale. Però viviamo ormai di Spid e Pec e le connessioni non sono sempre garantite, senza parlare della copertura telefonica, che manca. Le infrastrutture digitali rimangono poche in montagna». I suoi animali si trovano in appezzamenti tra Fossoli, Metteglia, Castelvetto (Corte Brugnatella) e i territori di Ferriere e Coli. «Zone di confine, che presentano gli stessi problemi. Ci viviamo in pochi in questa montagna con panorami da cartolina».

La sua giornata è scandita dalla stalla. In estate va a controllare gli animali al pascolo, in inverno si dedica alla produzione dei salumi. Come tanti altri intervistati prima di lei, è contenta della scelta di vita, «ma in qualche momento duro qualche domanda me la faccio, come credo qualsiasi imprenditore». La burocrazia che ostacola non è solo per le incombenze e le procedure, ma anche per la mancanza di flessibilità. «Si parla spesso di aiutare chi è in montagna, poi escono dei bandi che dovrebbero aiutarci, li leggi e scopri che i vincoli sono stringenti e non si riesce in alcun modo ad approfittare delle opportunità».

Secondo Silvia, però, le donne hanno buone opportunità in questo settore. «L’uomo è portato al lavoro fisico, ma ora c’è bisogno anche di tanta testa, vedo che ci sono tante donne imprenditrici che se la cavano benissimo nel Piacentino. Quando sono partita c’era qualche pregiudizio nei miei confronti, pensavano che fossi l’agricoltore-allevatore “di facciata”, con dietro i miei fratelli e mio padre a fare tutto. Invece poi si sono accorti che me ne occupavo direttamente io. Era un pregiudizio della vecchia generazione». Lei è curiosa verso tutte le realtà intraprendenti. «Avessi più tempo libero andrei in giro a curiosare, a vedere le imprese di successo, per conoscere e imparare».

Però i suoi familiari la supportano sempre. «Andiamo avanti perché siamo una squadra. I miei fratelli mi danno una mano ogni volta che possono. Fortunatamente posso dire ancora che “ce la facciamo”».

Silvia, assessore comunale di Corte Brugnatella, è attualmente impegnata – insieme ad Agostino Rocca, collega amministratore  e anch’egli allevatore della zona – nella realizzazione della prima fiera mai fatta a Ozzola. «È una prima volta, un evento dedicato al mondo dell’allevamento, che è l’attività che tiene vivo questo territorio. Vorremmo rappresentare, nel complesso, quello che era e che è questa montagna dimenticata». Oltre alla zootecnia, spazio anche agli artigiani e ai prodotti delle aziende agricole.  

Ma come sarà questa zona di confine tra Marsaglia e Ferriere, tra vent’anni? «Quando ero bambina – rammenta Silvia – ho avuto la fortuna di vedere un contesto molto diverso, quando gli abitanti del posto erano ancora numerosi e le stalle in funzione. Negli ultimi trent’anni l’abbandono ha portato a questi effetti. Ritengo difficile un “ritorno” della mia generazione. Non vedo bene la situazione, non ci voglio pensare. Mi sforzo di rimanere ottimista, che possa esserci una inversione di tendenza. Sarebbe bello se si riuscisse a creare qualcosa per rimanere a vivere qui, ma è così difficile. No dai, il tempo della montagna non è ancora finito, non può finire».

Filippo Mulazzi

https://www.ilpiacenza.it/ (03/09/2023)

 

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