Da Pej di Zerba a Buerarema, in Brasile, ci sono 8.200 km e l’Atlantico di mezzo. Due giorni di viaggio, tre voli. Ma la distanza non ha fermato don Enzo Manici, parroco in Valboreca dal 1966, e Lucia Marcheselli, che dal oltre vent’anni è punto di riferimento dell’associazione Agape. Insieme sono riusciti a inaugurare nuovi spazi della Casa da Criança – Casa dei bambini – per togliere i pic- coli dalla strada, qui dove abusi, violenza, fame sono all’ordine del giorno. È il “milagre” di Pej, frazione ai piedi del monte Chiappo dove vivono 14 persone. Una cinquantina i piccoli adottati a distanza. Lucia si commuove: «È la Provvidenza ». Il parroco, 87 anni: «Pej è la nostra piccola Nazaret, è nato un progetto d’amore».
Andiamo nelle baracche. La troviamo lì. Ha 13-14 anni, è incinta di sei mesi, è circondata da gallinelle nere denutrite. Come lei. Vicino, stesa tra gli stracci, c’è una parente malata, che tossisce e ha la febbre alta. Fuori, in strada, ci sono alcuni panni stesi su un filo, l’acqua gronda sul fango rosso, poco lontano alcuni avvoltoi si dividono una carcassa e ovunque si sente musica pompare dalle casse, nel sole che scotta e gonfia i piedi anche se qui è inverno ormai. Tra i panni stesi c’è anche la maglietta di Elsa di Frozen, uno dei cartoni Disney. Chissà se è di quella madre bambina. Fa impressione veder la principessa sulla maglia glitterata in questo barrio, dove i sogni per molti bambini finiscono nell’alcol, negli abusi, nell’appiattimento di ogni prospettiva. Ci avevano provato a donare mobili e aiuti a quella casa, li hanno venduti poi. Ma è proprio anche in quella baracca che vogliono entrare Lucia Marcheselli e don Enzo Manici, accompagnati da quelli che in vent’anni sono diventati i loro occhi e le loro gambe, tanti volontari che nel volto hanno i segni di una qualche Provvidenza: don Enzo, 87 anni, parroco di Zerba e di tutta la Valboreca, è partito all’alba con Lucia da Pej, nella neve. Hanno preso tre voli (Malpensa-Madrid, Madrid-Salvador, Salvador-Ilheus).
Si sono fatti oltre ottomila chilometri attraversando l’oceano per continuare a tessere quello che qui tutti chiamano il “milagre”, la casa verde speranza che spunta dove non te lo aspetti, nella Buerarema fatta di carrozzerie, ammassi di legna slabbrati chiamati “case”, strade bucate che vanno su e poi giù, piazze di giovani che arrivano a cavallo e parcheggiano accanto agli scooter, tra i cani randagi. Buerarema fatta però anche di fede e di invocazioni a Gesù, di devozione totale, di messe cantate, di chiese blu cielo, di tramonti che cullano, di galli che pure loro san cantare al mattino, di frutta che esplode di gioia, di cacao e succo di cacao, di banane bollite, di una generosità disarmante e di un’accoglienza che ammorbidisce il cuore duro, di anelli di cocco simbolo di sostegno ai poveri – una promessa – di ricami fatti amano, di energia. E di bambini. Dieci, a volte, per baracca.
Oltre il cancello
La casa realizzata dall’aiuto di Lucia e don Enzo, e tutti gli amici della loro associazione, quell’Agape che vuol dire amore, si chiama “Casa da Criança”. In portoghese, cioè, è la “Casa dei Bambini”. Una casa solo per loro, un abbraccio che protegge e li toglie dalla polvere delle strade, nata dopo la bonifica di un terreno prima intriso d’acqua. Dietro al cancello, ci sono giochi nuovi, una piscina, uno studio dentistico gratuito, la possibilità di contare sullo psicologo, laboratori di capoeira, di ginnastica, di musica, di lettura, di computer. Ci sono tavoli dove mangiare, una cucina pulita, i bagni per fare almeno una doccia. Nelle baracche non ci sono acqua, luce, gas: spesso si incontrano fuocherelli davanti alle case dove si cuoce il cibo. C’è un mondo dentro, insomma. E uno fuori.
Di baracca in baracca
Don Enzo e Lucia bussano casa per casa. Hanno un elenco di quasi 50 bambini adottati a distanza dalla Valboreca e non solo, con un contributo di 250 euro l’anno. Li vanno a trovare. Si abbracciano forte.
Quanti “obrigada”…
Don Enzo e Lucia si commuovono. Stanno per inaugurare tutta la nuova area verde esterna della “Casa da Criança”. Ci sono le autorità del paese, il sindaco Vinícius Ibrann Dantas Andrade Oliveira, gli ottanta bambini che frequentano la struttura, i quaranta volontari. A Lucia e don Enzo vengono regalati fiori, e un biglietto con la scritta “gratidão”. E pensare che a Pej di Zerba vivono solo 14 persone. Meno di certi condomini. Com’è stato possibile? «La Provvidenza, la Provvidenza», ripete Lucia.
«Mi scoppia il cuore»
«A un ragazzo di 14 anni dovevano già amputare la gamba, lo abbiamo portato a Bologna, ora cammina», sorride Lucia. «Lo avevamo accolto come un figlio anche a Pej, se n’è andato che parlava dialetto. Poi c’è stata una bambina che non parlava neppure, sembrava un anima- letto. Siamo riusciti a garantirle cure, fisioterapia. Oggi corre, è autonoma. A un altro avevano già dato l’estrema unzione, tre volte… E invece… Ora che mi guardo indietro, dalla prima volta in cui finii nella foresta Amazzonica nel 2000, vedo come tanti tasselli di un puzzle abbiano trovato armonia. Questa è la Provvidenza».
Lucia arrivò a Buerarema tramite una suora amica; poi la conoscenza con padre Josè Carlos, cui è dedicato il centro, e il cambio di vita. «Lui era troppo per questo mondo. Se n’è andato in un incidente stradale a poco più di 40 anni. Oggi a vedere tutto questo mi scoppia il cuore».
«Arrivato a 87 anni non voglio perdere una sola occasione»
Ha attraversato l’oceano con la forza della fede. Dice così. Venticinque anni di insegnamento nelle scuole – filosofia, soprattutto – a ragazzi che poi un giorno sono tornati a trovarlo a Pej chiedendo di benedire il loro amore. Ne ha sposati tanti, ne va orgoglioso. A Pej, alle pendici del monte Chiappo, arrivò nel 1966. Fu una scelta. «Volevo dir messa nel punto più alto della diocesi», ricorda. La sua prima messa, però, la celebrò in un orfanotrofio di Parma: era già un segno, forse. A 87 anni non ammette stanchezza. Come stai?, gli chiedono in tanti a Buera- rema, abbracciandolo forte, dopo i tre anni di viaggi mancati causa Covid. Lui risponde sempre e solo in un modo: “Bene”. Anzi, a volte tenta anche di salire sugli alberi, che qui sembrano cattedrali. «Siamo tutti un po’ fanciulli, in fondo», racconta. «Io, vedete, non voglio perdermi neanche una occasione ancora». È una lezione la sua che si trasmette con l’esempio. Ai bambini fa bene pensare che ci sia qualcuno capace di farsi ottomila chilometri di volo due giorni di viaggio – solo per loro. «Non posso però non ringraziare i miei confratelli che sono total- mente disponibili a venire in Valboreca quando io mi assento per questo viaggio. Li ringrazio.
So che le mie comunità sono in buone mani. Il sogno della Casa da Criança è diventato realtà non tanto grazie a me e Lucia ma grazie a tutti coloro che hanno avuto fiducia in noi. La fiducia è il dono più prezioso. Vorrei davvero che tutti potessero venire qui a visitare Buerarema e toccare con mano quanto il loro impegno abbia saputo fare la differenza».
Don Enzo Manici viaggia verso Buerarema da quindici anni: «Posso dire con molta semplicità che l’esperienza in Brasile e l’impatto diretto con condizioni di grave povertà, di ingiustizia, di emarginazione, sono stati uno stimolo di crescita umana e spirituale. Senza voler trascurare niente dei nostri impegni e senza voler insegnare nulla, penso che questo riesca ad andare un po’ al di là dei nostri limiti, a volte un po’ stretti».
A Buerarema c’è una scritta, in un punto della cittadina. Recita “Il patrimonio è la sua gente”. «Sarebbe bello scriverlo anche a Zerba perché penso sia davvero così», continua don Enzo. «Padre Gesuino Piredda scrisse una volta che è opi- nione abbastanza comune che dai piccoli centri come Nazaret non possa venire nulla di significativo. Ma sappiamo come sono andate le cose.
Pej è una piccola Nazaret, aveva ragione Gesuino. Certo, non vi è nato Gesù, ma vi è nato, nel suo nome, un progetto d’amore».
(Articolo tratto dal N° 15 del 4 maggio 2023 del settimanale “La Trebbia”)
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