“Qui un paio d’anni fa erano arrivate le televisioni nazionali, dopo la diffusione dei dati Istat che certificavano Fascia come il Comune più vecchio d’Italia alla data del 31 dicembre 2020. Ma dopo 26 anni senza una sola nascita, nel giro di nove mesi abbiamo avuto due fiocchi rosa e devo dire che la responsabilità è anche un po’ mia e di mia moglie Gabriella”. Marco Gallizia, 51 anni, è il sindaco di Fascia (eletto due anni fa con la lista civica “Aratro per rinnovare”) nonché il papà di Anna, l’ultima nata in paese lo scorso 4 novembre. E prima di lei aveva visto la luce Carlotta l’8 marzo “la figlia di Silvia e Andrea, una coppia che abita proprio qui di fronte, nella stessa frazione di Cassingheno”.
Essere il primo cittadino di un paese come il piccolo borgo della Val Trebbia (con i suoi 70 residenti certificati dall’Istat è secondo solo a Rondanina nella classifica dei piccolissimi di Liguria) è quasi come amministrare un condominio nemmeno troppo grande. Però è un condominio disperso sul territorio, con una media di 6 abitanti per chilometro quadro distribuiti in cinque frazioni: Beinaschi, Carpeneto (che ospita il palazzo del Comune), Cassingheno (che ha visto l’ultimo baby boom ) e la frazione capoluogo Fascia. Fino alla località più alta, Casa del Romano, a 1.406 metri d’altezza.Lì la vista a 360 gradi è spettacolare e spazia sulle vette di Liguria, Piemonte, Lombardia e Emilia fino al mare “e nelle giornate terse si può distinguere la Corsica”. La bellezza del panorama ha ispirato il progetto, ancora da concretizzare, di abbellire le vie d’accesso al paese con una nuova segnaletica: benvenuti a Fascia, balcone della Liguria. E trasformare lo slogan in un brand.
QR code e lupi in strada
Nella frazione capoluogo, Fascia, d’inverno risiedono 8 persone e gli abitanti sono abituati a convivere con la fauna selvatica. «In quello spiazzo un anno fa i lupi hanno sbranato un capriolo, ho sentito le urla da casa e abbiamo visto che ne hanno fatto scempio», racconta Giovanni Varni, 64 anni. “E non molto tempo fa li abbiamo visti in branco sulla strada principale, proprio dove stiamo passeggiando ora”. Sua mamma Ida, classe 1925, “buonanima, stava qui e aiutava i partigiani, adesso vecchi che possano raccontare quando questo era il quartier generale dei partigiani di Aldo Gastaldi “Bisagno” ne restano pochi”.
Vassallo, che è il più giovane abitante della frazione, ogni sera passeggiando guarda le imposte delle poche case abitate. “Verifico e guardo se sono aperte e mi dico: sì, chi ci abita sta bene. Piccole cose a cui in città nessuno pensa”. Le voci del passato, insieme ai dettagli che non possono trovare spazio nei libri della grande storia, si stanno inevitabilmente perdendo con il passare degli anni. E così il Comune ha accolto e sostenuto con entusiasmo una proposta per salvaguardare la memorie di Fascia nel secolo scorso.
Franca Acerenza, 68 anni, è stata per lungo tempo la responsabile del Museo genovese di storia naturale e poi del Galata, dal 2017 è in pensione. “A Fascia vado da una vita, mio marito era originario di quelle valli e con i miei figli ho passato tante estati in Val Trebbia”. Conoscendo il suo lavoro, molti le avevano proposto di creare uno spazio espositivo, un museo contadino come esiste in tanti altri paesi. “La verità è che rinchiudere in una stanza fotografie e oggetti mi intristiva – racconta – si era pensato alla canonica ma poi non ci sarebbe stato mai nessuno disponibile ad aprire e rendere fruibile un’eventuale raccolta. Poi quando prima della pandemia ho curato un progetto di QRCode per il Galata, mi sono detta: cosa c’è di meglio, per Fascia, di un percorso all’aperto tra le case del paese? La strada principale era appena stata rifatta e lì attorno c’erano tante memorie del passato recente che vale la pena di raccontare ai più giovani”.Come il giorno in cui era arrivata l’acqua potabile, negli anni Sessanta, o la prima strada carrabile e la grande fuga dal paese verso Genova per trovare un lavoro, non meno rilevante della grande emigrazione verso le Americhe, tra Otto e Novecento.
“Quello che mi premeva di più era che il progetto partisse dal basso, dal Comune e dai suoi abitanti. Ne ho parlato col sindaco ed è stato entusiasta”. Così, una sera di agosto dello scorso anno, l’esperta museologa ha riunito gli ultimi 8 residenti del capoluogo in piazza e ha iniziato a leggere quello che aveva raccolto, ricordi e testimonianze. “Mi hanno corretto, soprattutto nell’uso di alcuni termini fasciotti, hanno aggiunto particolari. E alla fine c’è stato un grande applauso”. Lo scorso luglio il progetto è diventato realtà.
Adesso i QRCode sono sulle case, basta uno smartphone per scoprire qual era il quartier generale di Bisagno e quale l’infermeria, o scoprire che una palazzina era stata l’ultima bottega e posto telefonico del paese. Lasciando i millennials a occhi sgranati:cos’erano i gettoni, la Teti e la Sip?
Bruno Viani
(Articolo tratto da Il Secolo XIX del 09/10/2022)
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