Qualcuno sa cos’è un’«area interna»?

Dunque ci sono vescovi che si sono incontrati sul tema delle «Aree Interne».
MA QUALCUNO SA CHE COS’È UN’«AREA INTERNA»?
Io sì. Ci ho vissuto per oltre 20 anni, ed è stata una vera sorpresa scoprire che esistono presuli che nel 2022 hanno preso a interessarsene.
L’«Area Interna» è la periferia della periferia, è il territorio più scollegato e lontano dai servizi essenziali (istruzione, salute, mobilità) dalle vie di comunicazione e dalle città, e molto spesso è il regno del digital divide. Quasi sempre è un mondo ormai imploso dal punto di vista demografico, e quindi senza vera rilevanza economica o politica.
Di per sé potrebbero anche non essere aree povere: sicuramente sono ricche di natura, di biodiversità, e dell’umanità della gente rimasta, ma queste sono cose per nulla facili da metter sul mercato. A Piacenza sono così tutte le nostre alte valli.
Io ci sono capitato che non avevo 30 anni, nel ’94, e quando sono venuto via ne avevo ormai più di 50. Ho amato davvero quelle terre e quella gente, ma non è stato facile. Ho trascorso anni bellissimi, che mi sono rimasti nel cuore, ma bisogna sapere che vivere là era come vivere oltre il crinale, in una terra di nessuno, in un mondo parallelo e lontano, anzi lontanissimo, sostanzialmente scollegato da tutto. In quel vuoto, che ti sembra di essere alla fortezza Bastiani nel Deserto dei Tartari, mi ha salvato la gente con la sua familiarità, mi hanno salvato i preti di lassù, personaggi spesso straordinari per umanità, e mi hanno salvato le stellate, la solitudine dei monti, il fascino dei panorami, oltre allo studio e all’incontro con la diversità, con i credenti non cattolici delle altre chiese cristiane.
C’era una diocesi in quegli anni? Sì, forse c’era. In quasi tutte le sacrestie c’era la foto del vescovo del momento. Ogni tanto arrivavano iniziative, documenti, lettere pastorali, purtroppo erano tutte cose fuori misura, pensate sul metro della città, e quindi fuori contesto. Quasi sempre era impossibile riconoscersi in quelle righe, e a provare a parlarne a volte era perfino difficile capirsi.
Ogni tanto anche noi scrivevamo, volevamo parlare della nostra realtà, un anno scrivemmo delle osterie, e successe un finimondo: 5 giorni di seguito in prima pagina su Libertà, poi sui quotidiani nazionali, alla fine ci telefonò perfino un ministro, vennero la Rai e la TV Svizzera e ci chiamò anche Radio Berlino, deludemmo Maurizio Costanzo e Michele Cocuzza, che fecero salire i loro galoppini per averci in trasmissione, ma dal nostro mondo, dalla nostra chiesa, non sentimmo parola. Non che ci si aspettasse qualche lode, avevamo solo fatto molta confusione, piuttosto era attesa qualche critica, e invece niente. A ripensarlo oggi, credo sinceramente che quel silenzio assordante non fosse davvero per cattiva intenzione, semplicemente eravamo un altro mondo, una periferia che per il centro non era né rilevante né interessante.
Adesso, dopo l’arrivo sulla scena di papa Francesco, è più facile parlare di periferia, ma allora era diverso. Era come il tenente John Dunbar di ‘Balla coi lupi’ nel suo avamposto sperduto. Diventi amico degli indiani, di chi abita lì, pian piano entri nel loro mondo, mentre invece il tuo mondo, il tuo esercito, scompare alle tue spalle, finisce dietro l’orizzonte, e non si vede mai, è troppo lontano, e magari, quando poi qualche volta ricompare, scopri che si parlano lingue diverse. Paradossalmente ti trovi quasi costretto a dover imparare a farne senza, e a dover avanzare da solo.
Ecco cos’ è un’«Area Interna». Questa mescolanza di bellezza e abbandono, di umanità e solitudine, di natura e di vuoto. Questa percezione di essere oltre il confine, di là dal crinale, sull’altro versante. Un’esperienza che forse tutti dovremmo fare almeno un po’, soprattutto i preti, per conoscere davvero la nostra diocesi, perché non basta andar la domenica a dir messa in qualche chiesa di montagna, per poi tornare a casa in città. Area Interna è rimanere là ferialmente, invernalmente, fino a condividere la mancanza di futuro con la gente, fino a scontarne appieno l’isolamento, la desolazione, la distanza, l’estraneità. Altrimenti è difficile capire che cos’è l’«Area Interna». Allora, paradossalmente, l’«Area Interna», che sembrerebbe un mondo passato e ormai perduto, ti aiuta invece a intuire il futuro. Quello che oggi sta accadendo nelle chiese della città, in quelle «Aree» era possibile in qualche modo viverlo già allora; adesso ti accorgi che in quelle parrocchiette perdute sui monti stavi già vivendo anche un po’ di futuro.
Ecco quindi la mia sorpresa nello scoprire adesso, a cose ormai finite e a bocce per me ormai ferme, che ci sono vescovi che oggi, nel 2022, si stanno interessando alle «Aree Interne», che vorrebbero esserne ‘baluardo’, e che si impegnano a ’restare’. La dichiarazione riportata nell’articolo è bellissima, forse un pochino astratta (tanto da apparire a tratti involontariamente ironica), ma potrebbe essere davvero una notizia molto positiva, e speriamo che sia realmente un primo passo, e d’altronde se son rose fioriranno. Perché è vero che nelle Aree Interne ‘la vita non vuole morire’ (e qualcuno dovrà pur prendersi cura di quegli scampoli di vita), così come è altrettanto vero che di «Aree Interne» a Piacenza ne abbiamo da vendere..

Don Ezio Molinari (Post su Facebook)

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