Lo sviluppo sociale ed economico di un Paese passa necessariamente anche dalla fruibilità di una connessione internet veloce e stabile. Se navigare sul web con banda larga è una realtà nei grandi centri urbani, la stessa cosa non si può dire per ampie zone del territorio lontane dalle grandi città. In questo senso la Liguria è un esempio: ci sono ancora oggi vaste aree della regione, in particolare nell’entroterra, che non hanno una connessione veloce a causa del mancato arrivo delle necessarie infrastrutture tecnologiche. E questa condizione rappresenta un freno per lo sviluppo di molte realtà, imprenditoriali e non, che non possono sfruttare a pieno le loro potenzialità.
La situazione attuale e il target mancato
Il primo appuntamento, quello del 2020, ce lo siamo giocato. Dovevano essere più di duecento i Comuni liguri raggiunti dalla banda ultralarga secondo il primo progetto datato 2016: sono stati 10. E dire che le connessioni superveloci avrebbero potuto almeno in parte lenire le conseguenze dell’emergenza Covid (lo smart working, la didattica a distanza, l’e-commerce) in una regione dall’orografia complessa e difficile, con molte aree appena alle spalle della costa afflitte da un pesante digital divide, il divario digitale.
Così non è stato. Ora si riparte, ma il progetto viaggia sempre con il freno a mano tirato. Le aspettative, ancora tutte da verificare, sono di arrivare a quota 50 entro la fine del 2021 (un quarto del totale previsto) per chiudere tutti i cantieri nel 2023. Anche quest’ultima data è un’aspettativa, che colloca comunque il traguardo temporale tre anni oltre le previsioni. Lo slittamento dei tempi rende furiosi i sindaci, gli amministratori locali, i cittadini. Anche perché sul terreno di questa partita è piovuto in Liguria un diluvio di denaro. Dirottati quasi 33 milioni di fondi europei che dovevano arrivare sui territori per essere destinati ad altri bandi e ad altre opere urgenti. Buon peso, anche una quota dello Stato, 5 milioni, pure questa (poco) cortesemente detratta dai trasferimenti agli enti locali.
Così la Liguria rimane afflitta da una carestia di connessione, cui si cerca di metter riparo affidandosi agli operatori del wireless (il segnale viaggia via radio); lo fanno sia i privati sia le pubbliche amministrazioni. Con un cruccio: sono aziende private, da pagare, quando lo Stato ha già investito robustissime risorse per trovarsi ancora in affanno nelle sue articolazioni territoriali.
Proviamo a fare una ricognizione. In Liguria ci sono 27 Comuni “bianchissimi”: per il gergo, vuol dire che Internet proprio non esiste, anche se per 18 è partito una sorta di intervento di emergenza. In diversi paesi alle spalle di Imperia (5) e di Savona (4), la velocità media del download è inferiore alla possibilità di fare una semplice videochiamata. In quantità molto superiore, a Genova (2), a Imperia (14), a Savona (6) e nello Spezzino (per un paese, Brugnato), è possibile usare un solo device, un apparecchio per volta. Tradotto, se Internet lo usa il marito, alla moglie è precluso e viceversa. Se è collegato un genitore, il figlio resta a secco. Nella massima parte dell’entroterra ligure è impossibile pensare di collegarsi in tre. Accade in 16 Comuni dell’area metropolitana di Genova, 22 a Imperia, 22 a Savona, 8 nello Spezzino. Durante l’epoca della Dad è stata una catastrofe e ancora non esiste una rete di protezione adeguata se quella situazione dovesse ripetersi.
I ritardi e la rabbia dei sindaci
Nel mirino delle proteste è finita Open Fiber. È la società che sta costruendo l’infrastruttura in fibra ottica dopo aver vinto le gare di Infratel, la società pubblica in house del ministero dello Sviluppo economico. L’azienda si difende. Punta il dito sull’ingorgo burocratico (le autorizzazioni di Comuni, Province e Sovrintendenze, queste ultime soprattutto nei centri storici) che ha frenato la realizzazione, fino alla scelta della conferenza dei servizi per sbloccare la situazione. Poi la partenza in ritardo, ultima tra le Regioni italiane: “Liguria e Infratel hanno raggiunto un accordo sul piano tecnico, senza il quale non era possibile partire, solo a maggio 2019”. Difficile negare che l’Italia dei burosauri rappresenti da sempre uno dei principali elementi di criticità nello sviluppo del Paese. Ma fino a che punto procedure barocche e scartoffie rappresentano una difficoltà reale e non un alibi? Non ci sta Pierluigi Vinai, il direttore ligure di Anci, l’Associazione dei Comuni italiani, che denuncia «la catalessi del piano, che sta creando conseguenze gravissime».
Natale Gatto è il sindaco di Isola del Cantone in Vallescrivia, 1.500 abitanti, ed è il coordinatore dei piccoli Comuni della Regione. È avvilito e rammaricato: «Pensare che il Covid ha portato molte persone a ripopolare le zone dell’entroterra, invertendo una tendenza in atto da anni. Tante case si sono riaperte, ma il problema è sempre lo stesso: senza connessioni veloci oggi si resta tagliati fuori dal mondo».
Occasione perduta anche per chi ha un’attività: «Non esistono solo le grandi aziende. Io penso a chi produce lo sciroppo di rose o raccoglie i tartufi: potrebbe stare a buon diritto sul mercato di Internet, invece gli è negato». Argomento sul quale insiste anche Confindustria Genova: «Ci sono diverse realtà nelle valli che hanno una vocazione produttiva, hanno bisogno di connessioni per essere competitive sui mercati».
È un’opportunità sprecata anche per chi avrebbe potuto spostare la sua residenza continuando a lavorare da casa. Lo smart working resiste, in tutta Italia degli 8 milioni del lockdown si è passati a 5. In Liguria si calcola che coinvolga ancora tra le 20 e le 25 mila persone, ma le carenze della connessione impediscono anche a chi potrebbe di allontanarsi dalla costa e dalla città.
La questione sicurezza
Ci sono poi zone della Liguria in cui l’assenza di connessioni rappresenta addirittura un problema di sicurezza. Annotiamo le parole del sindaco di Gorreto, che con i suoi 87 abitanti è l’estrema propaggine della città metropolitana di Genova al confine con Piacenza. Dice Sergio Capelli: «Dalla galleria di Torriglia a Montebruno non c’è alcun segnale e se qualcuno dovesse star male di notte, la mattina dopo lo troveremmo stecchito». Naturalmente l’andamento lento della banda ultralarga non è questione che investa (anzi, travolga) solo la Liguria. Un aneddoto. La settimana scorsa si è svolta a Parma l’assemblea annuale di Anci. Presente un grande stand di Eolo, azienda telefonica che offre anche connessioni wireless in grado di raggiungere le aree più disagiate. Gli operatori hanno contattato anche gli amministratori pubblici della nostra regione, conoscendone le difficoltà. Ma la collocazione strategica di quello stand fa comprendere che la richiesta di internet veloce e stabile è comune al Paese, perché la banda ultralarga arranca.
Riuscirà a riprendere vigore e velocità questo progetto partito nel 2014? In quell’anno il governo Renzi ebbe un’intuizione importante: lo sviluppo dell’Italia passa anche dalla possibilità di avere ovunque connessioni veloci. È una consapevolezza che ancora oggi non sfugge. Tra i fondi del Pnrr, quelli che arriveranno dall’Europa, una fetta toccherà ancora a nuove gare per realizzare la Bul (Banda ultra larga). Stavolta non nelle aree disagiate, ma in quelle cosiddette “grigie”, ad alta concentrazione industriale non necessariamente nelle città (“aree nere”). Per la Liguria più afflitta dal divario digitale riparte invece un conto alla rovescia che durerà più di 2 anni.
L’alternativa wireless
C’è una Liguria che ha reagito all’isolamento digitale e ai ritardi della banda ultra larga affidandosi agli operatori del wireless: connessioni che viaggiano su onde radio capaci di scavallare le asperità del territorio. Tra le aree definite bianchissime dalla catalogazione specialistica, quelle dove internet è un fantasma, un miraggio, c’è Lorsica in Val Fontanabuona alle spalle del Tigullio. Poco più di 400 abitanti e il vanto di una produzione artigianale di sete damascate apprezzate sin dal Cinquecento. Proviamo a sentire il sindaco Alessandro Graziadelli: «Qui Internet non c’è mai stato. Per altro non vediamo neanche la tv, se non con le parabole del satellitare. I collegamenti telefonici sono sempre stati stentati, alcuni pali caduti e mai ripristinati. Se non fosse per BBBell sarebbe un disastro». Servizi super scadenti a costi esorbitanti, quelli del passato: «Figuriamoci – racconta il primo cittadino – che per il collegamento del fax spendevamo 160 euro ogni due mesi. Poi abbiamo svoltato».
Il nome della stessa azienda ricorre anche nella narrazione di un altro sindaco, Massimo Rosso di Pietrabruna, il regno della stroscia, una torta fatta con l’olio extravergine ligure. Ora siamo alle spalle di Imperia, a 18 chilometri dal capoluogo e dal mare, mezz’ora di distanza in macchina. «Qui la banda ultralarga è arrivata, sono stati installati cavi e cassette, ma manca ancora il collegamento con la linea principale. Quindi è ancora inutilizzabile». Ancora di salvezza per questa località di 550 abitanti che d’estate quasi raddoppiano? «Eravamo serviti in passato da Uno Communications di Imperia e quindi siamo riusciti poi ad andare avanti con BBBell, con la quale siamo riusciti ad affrontare le nostre principali esigenze». Una nota di soddisfazione: «Abbiamo anche installato l’hot spot gratuito nella piazza principale».
È infatti il 2018 quando l’azienda torinese, attiva oggi in tutto il Nord Ovest, acquisisce la società ligure che nel frattempo si era trasferita a Milano ma continuava a offrire i suoi servizi nella nostra regione. BBBell nasce nel 2003 e nel 2005 installa la sua prima antenna. Oggi le antenne sono più di 750, l’area di esercizio copre tutto il Piemonte e la Liguria, 1.100 i Comuni in cui il servizio è attivo, 31 mila i clienti. L’amministratore delegato Simone Bigotti ne fa una questione filosofica: «Rimuovere il pesante divario digitale che affligge molti territori è una questione di democrazia». Ma anche di pragmatismo: «Il progetto della banda ultralarga ha peccato sin dall’inizio nel concentrarsi sul mezzo e non sul risultato. Se la fibra ha ragion d’essere dove ci sono grossi insediamenti abitativi, non ce l’ha dove bisogna scavare o far passare i cavi decine di chilometri per raggiungere piccoli nuclei rurali. Non ha senso economicamente e soprattutto i tempi rischiano di allungarsi all’infinito, come sta accadendo». La sua conclusione: «Sarebbe meraviglioso avere la banda ultralarga dappertutto, ma è un’enunciazione ideale. Nella pratica bisognava invece accontentarsi di avere buon connessioni ovunque, anche nei luoghi più difficili. Oggi offrire dai 30 ai 100 mega molto stabili soddisfa le esigenze di intere famiglie, anche numerose, e di piccole aziende. Con il wireless siamo in grado di farlo».
Marco Menduni
Articolo tratto da Il Secolo XIX del 16/11/2021
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