La liberazione di Piacenza e la fine della guerra.
“Il giorno 23 (aprile 1945) gli alleati, occupata Modena, marciavano verso il Po. Da più giorni intanto notizie confortanti andavano incalzando: ovunque i partigiani erano vittoriosi e i nazifascisti battuti. Piacenza attendeva; la città di Piacenza che si era comportata coraggiosamente e che ora, nell’attesa, continuava a resistere. I partigiani ancora non c’erano e pur si può dire che già dominassero la città; il cui popolo aspettava da un minuto all’altro di vederli comparire. Il momento tanto atteso da tutti era giunto e un ordine operativo segreto dava il via. Tutte le brigate si portavano sulle colline prospicenti la pianura e cominciavano le azioni in grande stile. Le resistenze opposte da elementi tedeschi, fascisti e mongoli, venivano rapidamente eliminate e Borgonovo, Castelsangiovanni, S. Nicolò, Niviano venivano liberate dai reparti della divisione « G. L. ». Ad ogni formazione il comandante Fausto aveva assegnato un proprio settore tattico; in particolare alla VII^ brigata alpina, che dopo l’eroica morte del suo commissario aveva preso il suo nome, aveva assegnato il settore dell’estrema ala destra dello schieramento divisionale, lungo la statale N. 45.
Il giorno 25 gli alpini muovevano da Bobbio per unirsi a Rivergaro col distaccamento di Monticello. Dietro di essi venivano di corsa Barba 1° e i feriti, che erano corsi via dall’ospedale di Bobbio per non mancare sulla linea alla nuova caccia. Recavano coccarde tricolori per tutti : erano il trepidante pensiero e il lieto augurio con cui ci seguivano le ragazze di Bobbio. Il giorno 26 la VII^ brigata occupava senza incontrare resistenza l’abitato di Quarto, a circa 6 km. dal capoluogo della Provincia. Nello stesso giorno m’incontravo a Gossolengo con Fausto per ricevere le sue ultime direttive. Con lui stavano altri comandanti di brigata dei settori vicini, in una atmosfera febbrile e piena d’entusiasmo. Nel pomeriggio la VII^ brigata era di nuovo in marcia verso Piacenza, disposta in ordine di combattimento su due file, che procedevano ai bordi della statale N. 45, dietro la bandiera tricolore sventolata dal nostro « Balilla ». Non credo che vi fossero altri partigiani davanti a noi in quella direzione. Solo fummo raggiunti alle spalle da un automezzo militare che aveva a bordo un capitano e un tenente della missione alleata, che già ci avevano conosciuto a Bobbio. Ci invitarono alla prudenza.
Nella notte tra il 26 e il 27 la VII^ brigata si ritirava dalle sue posizioni avanzate per ordine di Fausto, ma manteneva i collegamenti e staccava in avanscoperta pattuglioni di sicurezza per evitare sorprese da parte del nemico. Alle prime luci dell’alba gli alpini erano di nuovo sulla linea; subito si accendevano furiosi combattimenti contro pattuglie d’alleggerimento sganciate fuori dalla città dall’avversario, che ormai sentiva come il cerchio partigiano si stesse stringendo tragicamente. Piacenza era investita da tutte le parti, ovunque si combatteva e i nemici si battevano con la forza della disperazione e, più che altro, per motivi di orgoglio.
Nelle prime ore della mattina del 28 aprile, i partigiani delle varie formazioni piacentine, superate le ultime, sporadiche resistente nemiche, entravano in Piacenza.
Dapprima sommessa, segreta, incerta e dubbiosa, poi a rimbalzi e lampeggi, come una luce che sta per sorgere, una notizia riempiva la città: — I partigiani arrivano, sono qua, alle porte! — Finalmente i cittadini videro coi loro occhi i partigiani, per molti dei quali era, tuttavia, in attesa la morte eroica, dopo la vittoria. Alle ore 7 antimeridiane anche la VII brigata faceva ingresso in Piacenza da Barriera Genova, in formazione di combattimento. Alcuni cecchini tiravano a colpo sicuro dai tetti e dalle torri. Per tre giorni continuarono le sparatorie e i combattimenti isolati entro la città, durante i quali gli alpini catturarono e passarono per le armi due franchi tiratori. La liberazione di Piacenza era però costata, come si è detto, altro sangue partigiano ed erano eroicamente caduti tra gli altri a Barriera Genova, nel tentativo di penetrare in città, i componenti di una pattuglia avanzata: un giovane studente, Giorgio Gasperini, insieme con G. Battista Anguissola, Amedeo Silva e Giacomo Alberici.
Alla VII^ brigata venne subito affidato da Fausto il presidio del palazzo della Prefettura. Era questo il premio più ambito che gli alpini potessero attendersi, un giusto riconoscimento del loro valore, della loro efficienza, della loro disciplina, delle loro garanzie di serietà e di sicurezza. E gli alpini non si smentirono neppure questa volta. Col 5 maggio 1945 finiva l’attività bellica dei patrioti e si giungeva all’epilogo grandioso, semplice come tutte le cose grandi: la sfilata attraverso le vie della città, in un’atmosfera di grande di tripudio. Ma quanti fra i presenti non erano stati partigiani!
In questa breve storia, che è la storia di una sola delle brigate che operarono nella val Trebbia, i figli del nostro popolo che dovrebbero crescere negli ideali di patria e di libertà, troveranno le parole grandi di amore e di sacrificio che i loro fratelli, i loro padri, pronunziarono dinanzi al pericolo, o nell’agonia, sentendo di parlare a chi doveva raccogliere l’eredità del loro sangue. Mi auguro che quelle parole possano divenire nel cuore dei fanciulli di oggi, giuramento di fedeltà ad una Patria libera per cui sempre si deve lottare, vincendo il proprio egoismo, la propria fiacchezza dinanzi al lavoro, la propria paura dinanzi alla morte.”
Italo Londei
(Articolo tratto dal N° 11 del 24/03/2022 del settimanale “La Trebbia”)
A cura dell’alpino Felice Mielati del Gruppo Alpini di Bobbio.
Il testo del Memoriale di Italo Londei proviene dall’archivio nazionale ANPI.
Le immagini prese dal web sono state introdotte per rendere il racconto più avvincente.
L’edizione completa è fruibile in ebook sul sito www. anabobbio.it.
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