Verso la liberazione di Bobbio
“In Bobbio ritornai ancora, di notte e di giorno, per prelevare uomini, armi, materiale, per assumere informazioni sul luogo e studiare i piani di attacco. Molti civili mi vedevano e mi aiutavano, ad essi infondevo coraggio e fiducia. Per i nemici divenni invece una vera ossessione; dicevano di avermi visto nei luoghi più disparati senza però essere mai riusciti a catturarmi e vivevano sempre nell’incubo di una mia apparizione improvvisa.
Il giorno 27 settembre (1944) il nemico effettuava una forte puntata offensiva sulla riva destra del fiume Trebbia, con l’intento di annientare la IV brigata. I reparti alpini con il favore della notte uscivano da Bobbio dalla parte del ponte di San Colombano, guadagnando quota celermente e già all’alba raggiungevano l’abitato di Gavi, sede del comando partigiano. Il comandante Virgilio Guerci e i suoi uomini, per quanto colti di sorpresa, riuscivano ugualmente a sottrarsi alla cattura e senza accettare l’impari combattimento, data la sproporzione delle forze in campo, ripiegavano in posizioni più arretrate. Questo fatto irritò molto gli avversari, contrariati per il mancato combattimento.
Nella notte del 28 settembre una squadra di partigiani pionieri si portava con me sulla statale N. 45, nel tratto tra Buffalora e San Salvatore, e provvedeva a far saltare un ponte della medesima. Con questa grave interruzione la VII brigata veniva a tagliare i rifornimenti al presidio di Bobbio dalla parte del Genovesato e a completare l’isolamento dell’avversario, la cui situazione si faceva in tal modo sempre più critica.
Intanto in città era arrestato Mario Fruschelli, perché tradito da alcuni alpini nei quali aveva riposto fiducia; venne associato con Sbarbaro nelle carceri locali dove già da parecchi giorni languivano numerosi ostaggi civili. Erano questi per lo più genitori di partigiani, loro familiari, collaboratori, propagandisti, uomini di partito, la cui attività era stata scoperta o comunque sospettata. Il nemico ormai stava perdendo il controllo delle proprie azioni e scendeva ad atti di rappresaglie. In questo periodo, sempre a Bobbio, in piazza Fringuella, era data alle fiamme la casa del signor Draghi, per sospetta connivenza con i partigiani, il che non corrispondeva affatto a verità.
Nella notte del 30 settembre, quattro squadre della VII^ brigata, al comando rispettivamente del sottoscritto, dei due Barba e di Mazzucco, penetravano profondamente nello schieramento avversario, provenendo da direzioni diverse. L ’intento era quello di occupare la città di Bobbio. Erano in tutto cinquantadue uomini e si preparavano ad attaccarne un migliaio. Si volevano liberare i partigiani Sbarbaro e Fruschelli, nonché i numerosi ostaggi civili detenuti nelle prigioni e nello stesso tempo raggiungere un fine propagandistico. La data dell’attacco non era stata scelta a caso. Infatti, con il 1° ottobre, il nemico si aspettava la rivelazione della cosiddetta «arma nuova», ormai famosa perché celebrata dai nazifascisti come il mezzo miracoloso capace di capovolgere in loro favore le sorti della guerra. I partigiani volevano invece fare ben altra sorpresa. Da parte nostra non si ebbero perdite e l’azione, per quanto non riuscita, conseguiva ugualmente un risultato: quello di far desistere gli alpini dal proposito di puntare su Coli.
Il giorno 2 ottobre fui convocato dal comandante Fausto a Bocchè, dove erano già convenuti altri comandanti partigiani; precisamente: «Bandiera» ispettore generale delle formazioni partigiane del nord-Emilia, «Prati» comandante della divisione partigiana della val d’Arda, il tenente Inzani e il tenente Pippo Panni. Mi trovai perciò in presenza di quattro divise alpine e di quattro barbe autorevoli, poiché, escluso Fausto, tutti erano stati alpini del disciolto esercito e quindi alla divisa e all’onor del merito tenevano moltissimo. Nel convegno si parlò della situazione di Bobbio e per risolverla essi prospettarono la necessità di un attacco massiccio con l’appoggio persino dell’artiglieria che il comandante «Prati» di buon grado avrebbe messo a disposi-ione. Evidentemente si volevano fare le cose su grande scala e farla finita una buona volta con gli alpini della «Monterosa», poiché essi costituivano effettivamente una spina dolorosa proprio nel cuore dello schieramento partigiano.
Però in città, in Bobbio, frammista agli alpini c’era la popolazione civile e di essa non si poteva non tener conto. Per queste considerazioni espressi il mio parere contrario e insieme con Fausto insistetti sull’opportunità che la VII brigata continuasse le sue azioni cosi come le aveva condotte fino allora e da sola ne sopportasse il peso, attesi gli ottimi risultati già conseguiti. Alla fine questa tesi ebbe il sopravvento ed in tal modo fu scongiurato il pericolo di esporre la città e i suoi abitanti ad inutili distruzioni e lutti. La formazione, infatti, superava ormai le duecento unità e non si poteva certo pensare di approfittare più oltre della generosità della popolazione contadina. Occorreva ormai un vero e proprio servizio logistico; il merito di averlo organizzato fu principalmente del commissario Gino Cerri, coadiuvato dai partigiani Tom e Mix e dal sergente Nino Castelli. Ne faranno le spese i convogli nemici sorpresi sulla via Emilia e sulle strade della pianura. Nel frattempo, il capitano medico De Luca provvedeva ad organizzare un servizio sanitario da campo, con infermeria e crocerossine. Già da tempo, infatti, oltre a mia madre e a mia sorella, facevano ormai parte della VII^ brigata due valorose partigiane: Carla Lentoni e Alice Ricci, entrambe di Bobbio.
II giorno 21 ottobre, in località Cassolo del comune di Bobbio, una pattuglia della VII^ brigata sorprendeva e catturava cinque alpini armati del battaglione «Aosta». Durante la notte dello stesso giorno le truppe alpine del presidio di Bobbio, esauriti i viveri e visto ormai impossibile ogni rifornimento attraverso la strada del Penice e quella di Genova, evacuavano la città.
Alle ore 6,20 del mattino le prime pattuglie della VII^ brigata col loro comandante facevano ingresso in Bobbio liberata.
Fu un tripudio per tutti: per i civili che nell’attesa della liberazione avevano palpitato e sofferto, per i partigiani che con tanta bravura si erano battuti ed avevano costretto il nemico alla fuga. Un pensiero doloroso rimaneva però nel loro cuore: gli alpini ritirandosi avevano trascinato seco in catene i partigiani Sbarbaro e Fruschelli. Saranno portati a Chiavari a languire in quelle carceri, sottoposti a percosse e a minacce di fucilazione. Avevo invano tentato di liberarli, prima nel fallito attacco notturno del 1° ottobre e poi attraverso trattative di scambio; in una lettera, indirizzata al comando del presidio di Bobbio e affidata al clero locale, ero giunto infatti a proporne lo scambio con il tenente Zannier. Purtroppo, lo scritto non giunse mai a destinazione.”
Italo Londei
(Articolo tratto dal N° 3 del 27/01/2022 del settimanale “La Trebbia”)
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