L’ultima volta della peste suina africana fu negli anni Ottanta. Un caso in un allevamento di Cavallerleone, in provincia di Cuneo, arginato con un immediato stamping out: migliaia di suini furono abbattuti per evitare il propagarsi di un virus mortale per loro e per l’economia che da loro dipende. In Cina, nel 2017, per fermare l’epidemia di Psa furono uccisi oltre 300 milioni di capi. Numeri che la dicono lunga sulla pericolosità del virus. E che da soli spiegano perché, dopo il ritrovamento del “paziente zero”, un cinghiale morto di peste suina a Ovada il 6 gennaio, con un tratto di penna il ministro della Salute, Roberto Speranza e quello delle Politiche agricole, Stefano Patuanelli hanno creato una grande zona rossa nel territorio di 114 comuni tra le provincie di Genova, Savona e Alessandria. Per sei mesi i boschi saranno vietati e la Regione giura che farà rispettare severamente i divieti perché «al momento sono il minimo» e perché «il mercato italiano legato agli allevamenti di suini vale 6 miliardi di euro, lo 0,2% del Pil nazionale».
E un virus resistente e cattivo come quello della Psa dall’Ovadese potrebbe in un soffio portare la devastazione negli allevamenti piemontesi, solo a Cuneo oltre un milione di capi, camminare verso est, attraversare Piacenza e puntare su Cremona, Brescia e Mantova: la Lombardia, con oltre 4 milioni di capi, il 50% della produzione nazionale, è la prima regione italiana.
Un nuovo perimetro della zona rossa
«Qualche settimana di tempo» chiede Angelo Ferrari, direttore generale dell’Istituto zooprofilattico di Piemonte, Liguria e Valle d’Aosta, «per monitorare le zone circoscritte e capire se il lockdown vada ridotto o esteso». In tre settimane i veterinari dell’Istituto saranno in grado di dire fin dove è arrivata la peste suina africana. Da dove è arrivata invece si sa già: «Ha cominciato nei Balcani, poi si sono accesi focolai in Belgio e in Germania. Noi eravamo pronti e stavamo facendo il monitoraggio. È un ceppo diverso da quello presente in Sardegna e ormai endemico tra i suini dell’isola» aggiunge, spiegando anche il motivo della lunga sfilza di divieti nei boschi: «È un virus molto resistente, può sopravvivere anche un anno sul terreno, vogliamo evitare che venga veicolato negli allevamenti. Per gli uomini e per tutti gli altri animali non è pericoloso. L’unico bersaglio della Psa sono cinghiali e suini».
Tra peste suina e abbattimenti degli esemplari che potrebbero essere stati colpiti dal virus moriranno almeno diecimila cinghiali. È la stima di Roberto Moschi, responsabile del servizio veterinario di Alisa. Al momento altri casi accertati sono a Isola del Cantone e Ronco. «La Valle Scrivia purtroppo non uscirà dall’ordinanza, sul resto dei Comuni dobbiamo lavorare», aggiunge Moschi. Per questo squadre specializzate andranno nei boschi adeguatamente attrezzate (gambali, tute e guanti di gomma) a cercare le carcasse. La stima che fanno gli esperti è di dieci ungulati morti ogni animale deceduto a causa della peste suina. «Abbiamo quattro casi accertati, in teoria dovremmo trovare quaranta carcasse. Ma non è facile per la particolarità del nostro territorio. In Germania è stato più semplice circoscrivere il focolaio».
Caccia agli indennizzi
Certo il blocco dei boschi per sei mesi in una regione che vive di turismo, avrà un peso. Che si aggiunge al piombo di due anni di pandemia da Covid. Allarme e preoccupazione si leggono nelle parole degli operatori e dei politici. Con una lettera firmata dal presidente Giovanni Toti e dal vicepresidente e assessore all’Agricoltura, Alessandro Piana inviata al governo, la Regione Liguria chiede un tavolo permanente di monitoraggio con le altre Regioni interessate per capire quanto costerà il lockdown dei boschi.
«Ho parlato con Patuanelli e il sottosegretario Costa e nei prossimi giorni con il sistema di Federparchi, Anci e Camere di Commercio cercheremo di quantificare gli eventuali danni per chiedere adeguati ristori. È un fenomeno preoccupante, che potrebbe incidere sulla nostra economia nei prossimi mesi, ma occorre grande responsabilità da parte di tutti», osserva Toti che, ieri, dopo le reazioni in ordine sparso del centrodestra ligure è intervenuto con durezza sui suoi: «Noi governiamo e non strumentalizziamo le situazioni, ma ci facciamo carico anche delle scelte dolorose». E a chiedere un commissario straordinario è il parlamentare Federico Fornaro, capogruppo di Leu alla Camera: «Bisogna coordinare i vari enti e trovare risorse per ristorare le perdite di chi vive nell’entroterra».
Gli operatori preoccupati
Il divieto di trekking e mbk è una doccia fredda per Roberto Manfredi presidente Cai Liguria: «Il governo si è mosso in maniera forse eccessivamente prudente. Tutto può ancora cambiare, sia in peggio sia in meglio, ma dobbiamo lavorare per fare in modo che il lockdown sia sostenibile per chi vive di turismo naturalistico». Roberto Costa, presidente regionale di Federparchi e a lungo presidente del Parco Antola chiede «che i provvedimenti restrittivi alla mobilità pedonale e ciclabile siano quanto più possibile temporanei e provvisori. L’ordinanza ministeriale sembra contemplare la possibilità di deroghe specifiche e in tal senso chiediamo anche alla Regione Liguria di farsi parte attiva alla ricerca di soluzioni meno penalizzanti». Preoccupati anche il Presidente di Legacoop Liguria, Mattia Rossi , e il Presidente di Culturmedia Legacoop Liguria, Roberto La Marca. «Le Cooperative turistiche e culturali si sono risollevate già due volte ma una terza sarebbe letale». Per il presidente Coop Arcimedia dei Rifugi della Deiva, Giovanni Durante, «servono deroghe: i sentieri tracciati e puliti sono anche uno strumento di vigilanza».
L’area interessata dall’ordinanza
«Ma questa epidemia per noi guide trekking sarà peggio del Covid»
Per noi guide il lockdown da peste suina rischia di essere peggio di quello del Covid; con le restrizioni pandemiche abbiamo potuto lavorare, anche se con distanziamenti, mascherine e misurazioni di temperature. Invece qui rischiamo di essere cancellati. Anzi, già oggi ho annullato la prima escursione guidata a un paese fantasma della Val Borbera, piena zona rossa». Enrico Bottino, guida tra le più conosciute in Liguria, lancia l’allarme da parte di chi troppo spesso viene dimenticato. «A volte il nostro non è neppure considerato un lavoro, ma un hobby. Invece le guide naturalistiche studiano, fanno ricerche sul terreno, sanno le lingue e conoscono il territorio con la fauna e la flora. E affrontano continue emergenze. Come quella della peste suina, che rischia di essere devastante -prosegue – sei mesi di lockdown nei boschi di 114 comuni in Liguria e Basso Piemonte sono praticamente l’annullamento della mia attività. Quello che temevo si è verificato. Mi domando se valga ancora la pena dedicare anima e corpo per ideare, strutturare, promuovere e realizzare le escursioni che noi tutti amiamo. Spero solo che le istituzioni si rendano conto delle nostre condizioni». Nell’ultimo periodo chi fa trekking in maniera professionale ha inanellato una serie di rinvii veramente originali: dal vento forte, al divieto di barbecue in un’area pic-nic del parco dell’Aveto, passando per i continui cambi di colore Covid, arrivando agli scioperi delle Fs che di volta in volta hanno costretto ad annullare visite a presepi e rifugi: «A questo punto non resta che mettere a calendario l’escursione al Santuario di Nostra Signora della Guardia» – chiude sconsolato.
https://www.ilsecoloxix.it/ (15/01/2022)
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