La guerriglia intorno a Bobbio (alcuni episodi) – Nascita della VII brigata alpina “Aosta”
“Dopo la ritirata dal Penice i garibaldini dell’«Americano» erano ripiegati sulla linea del Brallo; la VI brigata aveva fatto ritorno a Romagnese, sua zona abituale, la IV brigata si era ritirata sulla riva destra del Trebbia, nella zona di Coli-Arelli-Gavi. Le rimanenti brigate della divisione «G. L.», le quali non avevano preso parte alla battaglia e quindi non si erano logorate, erano rimaste sulle loro posizioni.
La vasta zona che dal Penice scende verso il fiume Trebbia ed è compresa tra il torrente Carlone a sud di Bobbio ed il torrente Dorbida a nord di Mezzano Scotti, era però stata evacuata dai partigiani; da questo lato la divisione di Fausto presentava il suo fianco scoperto.
Fu appunto in questa zona che decisi di operare, mentre ancora nelle file partigiane regnava la confusione della disfatta, gli animi erano depressi ed il morale molto scosso. Infatti, già nel corso della notte del 23 agosto, provvidi con i miei uomini a far saltare il ponte della Rocchetta, sul quale corre la statale N. 45, a soli 900 metri a nord della città di Bobbio. Il giorno 30 agosto Barba 1° ed io, rimasti a scopo di osservazione nei dintorni del ponte distrutto, riuscimmo a sorprendere e a catturare una pattuglia di due alpini armati di mitra. Saranno queste le prime armi automatiche della VII^ brigata. Nella stessa notte gli alpini catturati vennero condotti a Cicogni; là, come farò sempre in seguito, prospettai loro la scelta tra la libertà di raggiungere la propria famiglia e la decisione di farsi partigiani. Nel secondo caso avrebbero riavute le armi e sarebbero stati trattati a parità di diritti rispetto agli altri. Nessuno ebbe incertezze e tutti optarono per la soluzione che parve migliore, in quanto era sintomo di ravvedimento, ed anche la più onorevole perché offriva loro la possibilità d’impugnare le armi contro gli invasori e contro i veri nemici della Patria.
Dopo i tristi giorni della ritirata del Penice, i fatti recenti parvero dare finalmente il segnale della riscossa ed ebbero larga eco fra i partigiani delle altre formazioni.
Al comando di divisione l’accoglienza fu delle migliori: Fausto ebbe parole di elogio per i partigiani che avevano preso parte all’azione e parole di comprensione per gli alpini, ai quali non solo diede il benvenuto, ma anche difese con accanimento, contro un comandante di brigata ed alcuni partigiani lì presenti, che ad un certo punto, manifestarono il desiderio di impadronirsi delle armi catturate e dei buoni scarponi che gli alpini calzavano.
Da questo incontro nacque la VII^ brigata alpina « Aosta », che per assoluto desiderio mio e con l’approvazione di Fausto fu lasciata libera di operare nella zona di Bobbio, con autonomia pressoché assoluta. In effetti si trattava di un distaccamento più che una vera e propria brigata, in quanto contava soltanto 31 unità, oltre il comandante.
Nella notte del 3 settembre (1944) i partigiani della VII^ brigata ritornarono all’azione attaccando il caposaldo di «quota 432», a nord-ovest di Bobbio, difeso da due squadre di mitraglieri e da una squadra di fucilieri. Data la distanza relativamente breve dal castello Malaspina, in cui come si è detto aveva sede il comando nemico, questa quota era stata con cura sistemata a difesa, onde bloccare un eventuale attacco partigiano al castello.
L’attacco ebbe luogo dopo la mezzanotte, dopo aver atteso nelle vicinanze che la luna si celasse dietro una coltre di nubi. Procedevo rapido e senza incertezze, data la perfetta conoscenza della zona ed ero seguito a breve distanza dal solo Barba 1°. I rimanenti, invece, avevano l’ordine di seguire più distanziati, in fila, e tutti avanzavano strisciando con cautela. La violenta reazione avversaria non riuscì, tuttavia, ad impedire di portar via gli alpini catturati e le loro armi.
Fra i numerosi moschetti e bombe a mano figuravano pure un fucile mitragliatore M. G. 42 ed alcune cassette di munizioni.
Da parte partigiana non fu sparato un solo colpo e non si ebbero perdite. Solo Tom e Gianni, trovandosi in difficoltà, stentarono a sganciarsi, ma alla fine raggiunsero indenni il luogo di raccolta prestabilito. I sei alpini partigiani portati all’azione si comportarono egregiamente e fra tutti si distinse il sergente Nino Castelli, anch’egli uno dei prelevati al ponte Dorbida. Tutte queste azioni, per la loro sempre crescente frequenza e temerarietà valsero a risollevare il morale dei partigiani e dei civili, nonché a scuotere quello dell’avversario, al quale ormai non veniva più lasciata alcuna tregua, nè di giorno, nè di notte, a logorarne i nervi e la resistenza fisica, a farlo vivere in una atmosfera di incubo, di allarme continuo, di continua paura.
Nella notte dell’ 11 settembre condussi l’intera squadra distaccata alla Colletta ad attaccare il posto di blocco che il nemico aveva stabilito in località Maiolo, sulla rotabile Bobbio-Penice. L’attacco ebbe perciò la direttrice Bobbio-Maiolo e fu coronato dal pieno successo, anche se le difficoltà non furono poche.
Il 12 settembre la squadra fu spostata dalla Colletta a Buffalora, perché l’osservazione aveva avvertito “movimento di automezzi tedeschi sulla vicina statale N . 45. Nel frattempo la squadra, appostata a Buffalora, apriva il fuoco contro un automezzo tedesco che non si era fermato all’intimazione di resa: centrato dalle raffiche dei due Barba e da quelle del mitragliere Sbarbaro, veniva messo fuori uso. Fu ucciso un capitano tedesco e ferito un maresciallo (Muller) pure tedesco. Fu in questo preciso momento che uscendo dalla parte di Valgrana con il prigioniero alpino, io mi imbattei in essi e li catturai, provvedendo nello stesso tempo ad inviare un civile in città dal dottor Silva con l’invito di recarsi a Moglia per prestare al ferito le cure mediche necessarie. Quindi con i tre prigionieri raggiunsi la squadra di Buffalora, mi recai nel luogo dello scontro e diedi ordine di occultare l’automezzo e la salma del caduto.”
(Articolo tratto dal N° 41 del 16/12/2021 del settimanale “La Trebbia”)
Related Posts