“Fausto Cossu, ex ufficiale dei R.R.C.C., era già da tempo pervenuto nella val Trebbia insieme con un gruppo di carabinieri, precisamente in località Alzanese sulla riva sinistra tra la val Trebbia e la val Tidone, proprio alla sorgente del torrente Luretta, col fermo proposito di diventare partigiani.
Egli aveva già fatto parlare molto di se e si era creato una certa popolarità nella zona per le brillanti azioni compiute e per la serietà dei suoi propositi. Solo un fatto era commentato sfavorevolmente da una parte della popolazione: il disarmo dei partigiani della banda «Piccoli», che operava nell’alta valle di Mezzano Scotti e l’uccisione del loro comandante. Fausto e molti altri giustificarono il fatto come dovuto alla necessità di eliminare un individuo che era diventato pericoloso per la sua prepotenza e per le sue grassazioni esercitate contro la popolazione civile della zona. Si dovevano impedire i soprusi, si doveva pur salvare il buon nome dei Partigiani.
La formazione di Fausto aveva il proprio Comando alla Alzanese, nella casa di un contadino di nome Remigio, anch’egli diventato partigiano, come del resto tutti i suoi familiari. Era articolata in diversi distaccamenti, tutti dislocati, al tempo della liberazione di Bobbio, sulla riva sinistra del Trebbia e del Tidone. Aveva già compiuto audaci azioni nelle due vallate ed aveva anche attaccato, in località Cassolo sulla statale N. 45, i militi fascisti che nella notte del 6 luglio avevano abbandonato la città di Bobbio per far ritorno a Piacenza. L’azione aveva avuto buon esito.
Dopo aver accettato il nuovo incarico che mi veniva offerto, mi recai alla Alzanese, dove, come si è detto, aveva sede il Comando della formazione. Anche il comandante Guerci coi suoi partigiani venne incorporato nella formazione di Fausto e costituì la IV Brigata, col compito di presidiare il Comune di Coli, quello di Bobbio ed il Passo del Monte Penice, verso Varzi. A quest’epoca la formazione partigiana di Fausto si era ormai ingrossata anche per l’apporto di nuovi arruolati e formava una Divisione, che prendeva la denominazione di « Divisione Giustizia e Libertà ».
La formavano cinque brigate, fra le quali operavano più precisamente nella val Trebbia la III comandata da «Paolo», per la zona di Scarniago-Travo-Monte Pillerone-Rivalta-Rivergaro-Montechiaro presidiando la bassa val Trebbia; la brigata del comandante «Tredici» che operava nella zona di Travo ed aveva il Comando a S. Giorgio nella valle di Bobbiano e la predetta IV Brigata del comandante Guerci nella parte media della valle. Oltre Bobbio, nell’alta val Trebbia, operavano la Brigata dell’Istriano e la Divisione Garibaldina di Bisagno.
Rivalità ideologiche e gelosie cominciarono a sorgere tra le formazioni partigiane. E’ strano constatare che, proprio quando la situazione si era fatta più tranquillizzante, i partigiani, alleviati dalle preoccupazioni di ordine militare, trovavano modo di pensare alla politica ed a farsi dei dispetti. La qualificazione politica che cominciava a manifestarsi presso alcune formazioni, l’infiltrazione di elementi politici e della loro propaganda, il contegno di molti degli stessi partigiani, determinavano frizioni ed urti, per nulla graditi, con grave pregiudizio per l’unità del movimento. A questo stato di cose si cercherà di porre rimedio in seguito, con la creazione dei Comandi Unici, con accordi e con la dichiarata tregua tra i vari partiti, ma il serpe della gelosia, la gara a chi arriva prima, l’ansia di prepararsi condizioni più favorevoli per un domani, insieme con quella di accaparrarsi tutto il merito e la gloria del movimento, continueranno ad albergare nell’animo di molti ed i fatti smentiranno le buone parole, le buone intenzioni e le dichiarazioni rese.
La divisione « Giustizia e Libertà », come già si è detto, aveva il suo comando all’Alzanese, nella casa di Remigio, e quindi in posizione centrale rispetto alla schieramento dei suoi vari distaccamenti, i quali operavano nella val Trebbia, nella val Tidone e, a nord, verso la pianura Padana. Questi distaccamenti assumeranno, dopo la liberazione della città di Bobbio, il nome e l’importanza di brigate e comandanti di brigate si chiameranno i loro ufficiali.
La formazione del comandante « Pippo » essendo attestata nella valle di Mezzano Scotti con comando a Rocchè, e quindi chiusa in una zona ormai libera e tranquilla, avrà compiti di rincalzo alla III brigata di «Paolo», il cui comando si trovava a Scarniago.
La IV brigata dovrà invece custodire il Passo del Monte Penice e salvaguardare la divisione «G.L.» dalla parte di Varzi, insieme con la brigata del capitano Giovanni, che operava un po’ più esposta verso nordovest, in quel di Romagnese.
Le altre formazioni si trovavano a Pecorara, a Rocca d’Olgisio ed a Pianello.
Vi erano poi, staccati verso la pianura, il distaccamento del Ballonaio, quello del Valoroso e quello autonomo di Muro. Le varie formazioni venivano quindi a costituire un anello, chiuso attorno al comando dell’Alzanese. All’atto della loro costituzione, la forza numerica delle varie brigate si aggirava sui cento uomini, destinati ad aumentare considerevolmente in seguito. Ogni brigata risultava suddivisa in distaccamenti, i quali per lo più prendevano il nome della località o del paese in cui erano attestati. La denominazione in onore dei Caduti verrà adottata soltanto in seguito, dopo il grande rastrellamento invernale. I partigiani si trovavano alloggiati in qualche modo nelle case e in molti posti non mancavano le comodità del letto, delle brande e delle tavole imbandite, col ristoro di una buona tazza di caffè e di una autentica sigaretta. I viveri a quell’epoca non mancavano: provenivano da offerte spontanee da parte dei civili, dagli ammassi, da prelevamenti più o meno regolari e arbitrari, da sottrazioni fatte al nemico nella cosiddetta «terra di nessuno» verso la pianura Padana e sulla via Emilia. Meno fortunati erano invece i partigiani delle formazioni dislocate sui monti, verso Bobbio, e più ancora di quelle dell’alta val Trebbia, perché quella zona è assai povera di prodotti agricoli.
L’armamento era buono ed ormai sufficiente per condurre la guerriglia. Per lo più esso era stato sottratto al nemico nel corso dei combattimenti; proveniva da fortunati e temerari prelevamenti nelle polveriere e nei depositi nemici; verso la pianura alle porte di Piacenza, proveniva dagli aviolanci che gli Alleati avevano cominciato ad effettuare.
Le azioni di guerra condotte in questo torno di tempo, dalla liberazione di Bobbio sino alla battaglia del Penice, furono numerose anche nella val Trebbia. Infatti, passato un primo momento di panico e di sorpresa, il nemico ritornò ad attaccare, con puntate insidiose e fatte con forze di una certa importanza, sia come numero che come armamento. Specificatamente nella val Trebbia si ebbe il bombardamento delle installazioni dei pozzi petroliferi di Montechiaro da parte di aerei nemici, scontri a Rivergaro contro militi fascisti asserragliati nelle case. Il peso di questi combattimenti era sostenuto dai partigiani della III brigata di « Paolo », la sola dislocata nella zona. La situazione nella bassa val Trebbia era però molto fluida. Diverse località vennero perdute e successivamente riprese: era un alternarsi continuo di possesso da parte dei due contendenti, che procurò ansie e paure alla popolazione, perdite al nemico, ma anche alcune ai partigiani. Squadre volanti della III brigata costituivano posti di blocco sulle strade in cui, verso la pianura, si dirama la statale N. 45 e sulla statale stessa distruggevano convogli nemici, catturavano prigionieri, anche tedeschi, e, penetrando nei depositi e nello stesso arsenale di Piacenza, asportavano materiale bellico preziosissimo.
Il comandante Paolo che non solo studiava, ma guidava personalmente queste azioni, si fece molto onore per la sua audacia e per la sua perizia, creando intorno a se una specie di mito. Era Paolo un ex brigadiere dei R.R.C.C., dai gesti nervosi, dai lineamenti muscolosi e marcati, che denotavano subito una volontà che sa imporsi ed una decisione non comune; ma sotto la rude scorza albergava un cuore generoso e nobile, un cuore che sapeva comprendere ed anche perdonare. Perdonerà anche ai suoi carnefici quando lo fucileranno nel cimitero di Piacenza, La perdita di Paolo sarà molto grave non solo per i partigiani della III brigata, ma per tutta la divisione «G.L.».
Nella «terra di nessuno» della bassa val Trebbia il nemico impiegava autoblinde e carri armati, per cui nonostante la strenua resistenza opposta dalla III brigata, un battaglione di alpini nemici riuscì a raggiungere, come si è detto, l’abitato di Travo e successivamente quello di Perino. Anche in queste località si avranno scontri armati, sostenuti dalle pattuglie della III brigata, da quella di Pippo e dalla IV in località Barberino.
In questo periodo di tempo si provvide a far saltare il ponte attraverso il quale la statale N. 45 passa dalla riva destra a quella sinistra del Trebbia, per poi sboccare a Bobbio. Abbarbicati alle rocce che sovrastano le rovine del ponte crollato, reparti della brigata di Pippo e della IV^ stazionarono per molto tempo e crearono appostamenti difensivi.”
Italo Londei
(Articolo tratto dal N° 39 del 02/12/2021 del settimanale “La Trebbia”)
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