Storia di una valle e dintorni Quelli che…la Storia non la riscrivono
Inizia con questo articolo la narrazione della lotta partigiana in Val Trebbia e nelle valli limitrofe dall’8 settembre 1943 al 28 aprile1945, scritta nel suo memoriale dall’alpino bobbiese Italo Londei, comandante della 7a Brigata Alpina, uno dei protagonisti della lotta di Liberazione.
Albori della guerra partigiana
“Già alla sera del giorno 9 settembre 1943, dopo lo sbandamento subito dall’Esercito italiano, truppe tedesche, risalendo la statale N. 45 da Piacenza e calando da Voghera, avevano raggiunto la città di Bobbio, presidiandola con forze cospicue. Nei giorni successivi i reparti tedeschi, legandosi con altri provenienti da Genova, completarono l’occupazione di tutta la valle. Nelle altre due vallate parallele i tedeschi compariranno solo in un tempo successivo, data anche la scarsa disponibilità di truppe. Fu appunto in questo periodo, precisamente nella notte del 10 settembre, che l’autore di queste memorie capitò a Bobbio. Proveniva da Alessandria, dove prestava servizio militare in qualità di sottotenente di Artiglieria presso la Caserma Giuffrè. Anche in questa città l’armistizio aveva sorpreso i Comandi dei reparti italiani colà dislocati e nonostante gli eroici tentativi di difesa fatti dall’11° Regg. Artigl. Divisionale, accantonato nella Caserma Giuffrè, e dalle truppe del Forte della Cittadella, la città dovette capitolare. Ne seguì la cattura di molti reparti e lo sbandamento di altri. In compagnia di tre artiglieri riuscimmo ad evitare di essere fatti prigionieri e quindi accorremmo in aiuto di un piccolo reparto che, in piazza Rattazzi, ancora resisteva, rinchiuso nel palazzo in cui aveva sede il Comando di Zona. Agli assediati, che erano comandati dal gen. Giuseppe Bellocchio, furono portati viveri ed indumenti civili, onde evitare che cadessero prigionieri dei tedeschi. Il gen. Bellocchio, potè così riparare in quel di Valenza, dove subito cercò di organizzare un Comando clandestino, insieme con alcuni ufficiali a lui rimasti fedeli; io, invece, presi la via verso il paese d’origine, in compagnia dei miei tre artiglieri.
Giunti a Bobbio nella notte del 10 settembre
Come si è detto, giungemmo a Bobbio nella notte tra il 10 e l’11 settembre e trovammo la città già occupata dal nemico. Trovammo conforto in casa mia, ma nel corso della notte stessa fummo costretti ad abbandonarla. Dopo aver occultato le armi, ai tre artiglieri venne lasciata facoltà di raggiungere la propria famiglia; io, invece, preferii rifugiarmi in un casolare dei dintorni di Bobbio (Bosco del Comune), dove sempre armato ed in compagnia di un cane avevo deciso di darmi alla macchia, in attesa degli eventi. Mia madre e mia sorella mi recavano, insieme col mezzadro, vettovaglie e notizie sulla situazione.
Gli eventi non si fecero attendere, perché un giorno una delle staffette mi recapitò un ordine: questo proveniva dal gen. Bellocchio che m’invitava a raggiungere Valenza. Qui giunto, diedi notizie sulla situazione che regnava nella val Trebbia e fui messo al corrente della necessità di sciogliere subito il Comando clandestino, perché i tedeschi già ne avevano avuto sentore e cercavano di catturarne i componenti. Fu quindi deciso che il gen. Bellocchio riparasse nella provincia di Piacenza (in quel di Carpaneto), per incontrarsi con l’avv. Francesco Daveri, nobile figura di cospiratore e di patriota, mentre l’autore di queste note farà ritorno ai monti di Bobbio, dove si metterà a vagare ed a scegliersi diversi rifugi di emergenza. Prenderà poi contatto con la popolazione contadina ed inizierà una attiva propaganda antitedesca ed antifascista, invitando a sabotare in tutti i modi i movimenti ed i rifornimenti del nemico, convincendo i giovani a non presentarsi, ma a raccogliere armi e ad organizzarsi, onde riprendere la lotta per il trionfo della libertà. Quel militare che si aggirava armato, mentre tutto sembrava perduto, incitava gli altri a seguirlo e spronava alla ribellione.
Il Comune di Bobbio è amministrato dal dott. Passanitello, in qualità di Commissario Prefettizio che sarà un interprete fedele e scrupoloso degli ordini dei nazifascisti. Il presidio militare è costituito da un reparto tedesco, da un reparto dell’antiaerea, comandato da un capitano italiano e da un gruppo di carabinieri. Vi è poi un numero imprecisato di gerarchi fascisti e di simpatizzanti, i quali si adoperano per aiutare in mille modi le truppe del presidio. Nella prima metà del mese di dicembre ebbi l’ordine di recarmi a Piacenza per abboccarmi con l’avv. Daveri, il quale però già viveva nascosto perchè condannato in contumacia dal tribunale fascista per atti ostili al Regime. In questa città entrai pure in contatto con Emilio Canzi, con padre Firmino Biffi, con Paolo Bellizzi, con l’avv. Bersani, che poi cadrà nella lotta, e con altri cospiratori.
I primi contatti con gli Alleati
Dall’avv. Daveri ebbi l’incarico di svolgere un’importante missione: si trattava di passare le linee del fronte meridionale e di mettermi in contatto con gli Alleati, al fine di preparare l’espatrio dello stesso avvocato e del gen. Bellocchio.
Un sommergibile avrebbe dovuto prelevarli dalla costa ligure (Savona) e portarli al Sud. Il giorno prima della partenza pervenne però l’ordine di desistere dall’impresa e questa non ebbe più luogo: le due persone interessate avevano deciso di restare al Nord, dove potevano svolgere un’attività più proficua, anche se più rischiosa.
Nel territorio della provincia, la cospirazione andava organizzandosi e proprio sui monti sorgevano le prime bande partigiane.
Erano questi dei piccoli nuclei, costituiti da militari sbandati, da ex prigionieri di guerra appartenenti a diverse nazionalità, e da vecchi antifascisti. Nella val Trebbia ne esistevano due: una a Peli e l’altra nei dintorni di Marsaglia.
La prima era comandata da un tenente montenegrino e l’altra da uno slavo di nome Gaspare, entrambi ex prigionieri di guerra, fuggiti dai campi di concentramento, in seguito ai fatti dell’8 settembre. Erano però un pugno di uomini male armati ed ancor meno equipaggiati ed organizzati.
Da Piacenza il col. Canzi e l’avv. Bersani provvidero ad inviare armi, munizioni e viveri. Questo materiale arrivava a Bobbio e veniva concentrato in casa mia, di dove poi mia madre e mia sorella provvedevano a farlo pervenire a Peli. (continua)
Italo Londei
(Articolo tratto dal N° 35 del 28/10/2021 del settimanale “La Trebbia”)
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