Il paese della nonna di Papa Francesco. La vigna del cantante degli Ex-Otago. L’aria fresca dei mille metri. I formaggi, i campi di verdure. E poi i castagneti, il torrente, le cascine. Le strade tortuose e i boschi che segnano i confini tra Liguria, Piemonte, Lombardia ed Emilia. Insomma, la Val Borbera. Un Appennino poco battuto in provincia di Alessandria, selvaggio, remoto: per questo, da sempre, terra di ribelli. Erano ribelli i partigiani che qui riuscirono a creare una zona libera dal regime nazifascista. Ed erano ribelli i banditi e le comunità di montagna, che contrastarono le imposizioni feudali e monarchiche. Ben prima di loro era ribelli le tribù di Liguri, che si opposero all’invasione dei Romani. Oggi a essere ribelli sono contadini e pastori che scommettono su questa terra scomoda lontana da città e autostrade, che però sta scoprendo il turismo lungo un cammino che non poteva chiamarsi altrimenti: «Il cammino dei ribelli».
Sette le tappe, sette giorni, 130 i chilometri ad anello lungo sentieri e mulattiere che ancora pochi conoscono, per un semplice motivo: il Cammino dei Ribelli è appena nato. A immaginarlo l’esperto di cammini e progetti sociali Giacomo D’Alessandro, 31 anni, che per la sua tesi di laurea in comunicazione all’Università di Torino si è ispirato «a una visione socio-politica del cammino, come strumento per rilanciare territori minori», racconta. La sua famiglia ha casa a Persi, in bassa Val Borbera, la scelta è venuta quindi naturale: nel 2017 Giacomo ha cominciato a viaggiare su e giù per la valle, alla ricerca di abitanti desiderosi di lanciarsi in un progetto che all’inizio non vedeva tutti d’accordo. «I timori erano tanti, a partire dal solo pensiero che dei “foresti” potessero scoprire una valle tranquilla», continua. «Ma con un lavoro di dialogo e partecipazioni molte resistenze sono state vinte. E il progetto del Cammino è partito».
Nel 2019 sono nati i profili social di Facebook e Instagram “Il cammino dei ribelii”, che da allora raccontano le avventure dei pionieri del Cammino che si immortalano tra boschi e guadi, ruscelli, borghi medievali, campi coltivati, casolari abbandonati. Il sito www.ilcamminodeiribelli.it spiega nel dettaglio un itinerario con la segnaletica che non copre ancora tutto il percorso, ma si fa forte di unaguida online con tracce gps per ogni tappa: dalla stazione di Arquata Scrivia (248 metri sul livello del mare) a Persi e quindi ad Albera ligure, Cosola, Fontanachiusa, Dova Superiore, Borassi e ancora Arquata Scrivia.
Piemonte. Le sorprese del cammino dei ribelli
Nel 2019 sono arrivati i primi camminatori, tra cui Giorgia Less, insegnante genovese rimasta affascinata da una valle florida, verdeggiante, grazie a quella ricchezza che sfama la natura ma anche il viaggiatore: l’acqua. «Decisamente un’amica in questo cammino», racconta. «L’acqua pubblica delle fonti nelle piazze dei paesi, l’acqua che scende giù dal cielo tirando fuori gli odori del bosco, l’acqua dei torrenti dove cacciarsi dentro vestiti con tutto lo zaino». Non è un caso se i camminatori sono saliti a 300 nel 2020 e quest’estate il numero è già stato sorpassato grazie a famiglie, scout, gruppi di escursionisti e viandanti solitari che sposano uno stile di viaggio senza troppi confort, che però offre l’opportunità di incontrare e conoscere i testimoni di una ostinata rinascita contadina, sociale e spirituale.
Perché a far parte di questa esperienza non ci sono solo le (poche) attività ricettive della valle, ma anche gli abitanti che danno la possibilità a chi è in marcia di avere una stanza o piantare la tenda nel proprio giardino, o magari nel campo vicino casa. Accade nel Bocciodromo di Borghetto Borbera, a casa della signora Anna a Persi, e nell’Area Attrezzata Boscopiano, diecimila metri quadri di terreni con baita e servizio bar, al terzo anno di attività «proprio come Il Cammino dei ribelli. Siamo nati involontariamente in contemporanea, siamo complementari», racconta Giovanni Moro, 25 anni, proprietario dell’area che gestisce insieme a un gruppo di amici della zona. «Crediamo in una valle che deve mantenere la sua integrità paesaggistica, ma integrarla con la presenza umana. Può riuscirci puntando sul turismo lento, sull’agricoltura, sui prodotti locali».
E’ un discorso che ritorna spesso lungo il Cammino, nelle chiacchiere con gli agricoltori, i negozianti, gli altri camminatori che scelgono i colori delle stagioni per risalire la valle. Basti pensare che in alcuni tratti ci sono itinerari diversi in base alle condizioni del territorio: nella seconda tappa da Persi ad Albera, per esempio, da maggio a settembre si risale il torrente Borbera con i piedi in acqua, oltrepassando il canyon delle Strette sino al Ponte di Pertuso, teatro della celebre battaglia partigiana, mentre nelle altre stagioni si passa da Roncoli e Rivarossa. Da Albera si sale quindi a Teo, il paesino nel Comune di Cabella ligure dove nel 1887 nacque Maria Gogna, la nonna di Papa Francesco, e poi si cammina nel bosco sino a Cosola (928 metri sul mare) la località più turistica della Val Borbera, a ridosso del Monte Antola (1597 metri). Quassù c’è Aria di Fonta, B&B a conduzione familiare che ruba il nomignolo a Fontanachiusa, frazione di Carrega ligure abituata a sporadici camminatori «diretti all’Antola, perché le rotte degli escursionisti erano tutte in cresta», racconta Marco Marchetti, che porta avanti l’attività insieme alla moglie Celia. «Mentre ora abbiamo più ospiti, perché il Cammino dei Ribelli passa proprio in mezzo al paese. È un’occasione per tutti».
Si parla di opportunità da costruire passo dopo passo anche in località Figino ad Albera, a Cascina Barbàn, un progetto contadino di due famiglie che hanno recuperato una borgata abbandonata per coltivare in modo naturale l’uva, la verdura, il frumento, la frutta. Da loro è possibile sfamarsi e piantare la tenda, per passare la notte. «Perché il Cammino deve passare attraverso le persone che vivono il territorio», spiega Maurizio Carucci, agricoltore e cantautore, frontman degli Ex-Otago, da subito tra i primi entusiasti sostenitori del Cammino dei ribelli. Maurizio ha fondato nel 2011 Cascina Barbàn insieme alla sua compagna Martina, per dedicarsi all’agricoltura e la biodiversità, da intrecciare con la cultura e lo sviluppo territoriale della valle e dell’Appennino. «Perché la Val Borbera non deve essere solo promossa, ma valorizzata», dice sicuro. «E’ un luogo dove trovi cose che non si trovano altrove. I suoi prodotti tipici sono il silenzio e il buio: due patrimoni che ormai non si trovano così facilmente, e di cui gli esseri umani hanno bisogno».
di Massimiliano Salvo
(Articolo tratto da: https://www.repubblica.it/ del 24/08/2021)
(Fotografia di Paolo Fossen pubblicata su Facebook)
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