«L’apparenza la fa sembrare un mondo passato. Invece ho sempre avuto l’impressione che la montagna sia un’officina di futuro. È un mondo che ha dentro una grande ricchezza che rischia di inabissarsi e scomparire». Don Ezio Molinari, da sei anni parroco in centro storico a Piacenza (san Francesco, Santa Maria in Gariverto e San Pietro Apostolo) ma anche di Ciregna (Ferriere) e Metteglia (Corte Brugnatella), è da sempre interessato alle politiche sociali che riguardano l’Appennino.
«Basta vedere – spiega – in ambito ecclesiastico: ormai più di 20 anni fa dicevamo: qui si intuisce cosa ci sarà in città tra un po’ di tempo, e in molti ridevano. E adesso in città si stanno affrontando quelle problematiche già viste a quei tempi lassù. Allora a Piacenza ogni parroco aveva una sola parrocchia, ed era impensabile un solo prete per più parrocchie, mentre noi in montagna facevamo già la collezione… Beh, adesso in città io ho tre parrocchie, quasi come 20 anni fa nel ferrierese. La montagna è uno dei mondi maggiormente in crisi, ed è quindi una delle condizioni in cui si può essere più spinti a cercare il futuro e lo sviluppo».
La percezione media di tanti è che la montagna sia solo una grande perdita di tempo, ormai irrecuperabile. «Invece in un momento di grandi cambiamenti – incalza don Ezio – quando quello che si è sempre fatto non basta più e non si riesce a far fronte al presente, bisogna allargare gli orizzonti, cercare il futuro studiando vie nuove, ascoltando chi ha più esperienza. Questo è l’unico modo per guardare avanti e farsi trovare pronti dalle occasioni che si presentano. È un’evidenza un po’ in tutti i campi: i momenti di crisi vengono superati meglio là dove c’è ricerca e innovazione, e queste sono cose possibili anche in montagna».
Ad esempio? «Il 5G di cui si parla tanto – aggiunge il sacerdote – potrebbe aprire orizzonti impensati se si saprà declinarlo in un contesto così particolare. Il Next Generation Ee, volgarmente detto Recovery Plan, nasce proprio guardando al futuro, con l’idea di far ripartire dopo la crisi, e significa molte possibilità di finanziamento. Potrebbe offrire grandi opportunità, ma solo chi si sarà costruito una competenza, magari con fatica, riuscirà a vedere e a prendere al volo le occasioni».
Don Ezio pensa anche a startup che sviluppino idee per chi vuole vivere in Appennino. «Prima dovremmo tutti cercare di cambiare l’orizzonte della nostra mente, e vedere oltre la nostra piccola prospettiva, quella dell’“abbiamo sempre fatto così”, del “tanto non si può fare niente”, del “se a guadagnarci è solo il mio vicino di casa allora no”… La montagna è tutta sulla stessa barca e quello che di buono si fa da una parte, alla fine si rifletterà anche sulle altre».
Il 2020 è stato un anno sconvolgente per la vita di tanti. «La pandemia ha messo in luce il valore e l’importanza del piccolo borgo – osserva don Ezio – di relazioni calorose, di una natura e paesaggi che sono perfettamente spendibili sul mercato del turismo. Lo smartworking fa dei borghi di montagna non solo i luoghi del contadino, ma anche del docente, dell’ingegnere, del creativo, e perché no, forse anche del ragioniere e dell’impiegato. Un libero professionista potrebbe venire a lavorare qui».
Le difficoltà le hanno anche gli studenti delle superiori, chiamati a fare anche quattro ore al giorno di pullman. «Proviamo a ragionare su questo 2020 di cambiamenti: perché non permettere a uno studente di Ottone, di Ferriere o di Morfasso di seguire due-tre giorni alla settimana le lezioni in streaming? Organizziamo la frequenza a scuola in maniera differente per loro, così le famiglie non si troveranno costrette a trasferirsi».
Mancano molte infrastrutture. «A volte anche perché non le si è sapute sviluppare quando era ora: internet bisognava portarlo vent’anni fa, subito. Ma non si era realmente interessati, d’altronde la digitalizzazione del Paese è arrivata in forte ritardo». La rete ora c’è in molti posti (non tutti), ma intanto il mondo corre ancora più veloce. «Occorre pensare a progetti che siano effettivamente utili per il territorio, e trovare i finanziamenti, studiando le regole e le opportunità offerte a più livelli. Nel prossimo futuro probabilmente il Recovery Plan offrirà possibilità in questa direzione, ma dovremo essere pronti e consapevoli. Non è semplice, ho visto professori di università in difficoltà davanti al complicato linguaggio dei bandi, ma se la si cerca, si può individuare anche tutta l’esperienza e la capacità necessaria».
Di detassazione per le attività e per il commercio se ne parla da decenni, ma non si è fatto nulla. «Chi si è impegnato per questa battaglia? – chiede don Ezio -. Questa poteva essere una battaglia da fare tutti insieme».
Le fragilità dell’Appennino – demografiche, lavorative, sanitarie, scolastiche – sono sotto agli occhi di tutti. «Ma ci sono anche opportunità che varrebbe la pena di provare a sfruttare. Si sta parlando molto di “transizione ecologica”. Beh, in un certo senso la montagna qui è già arrivata, nel senso che fin dall’inizio è sempre stata già sul traguardo, è sempre stata, ed è già, “bio” ed “eco”. Deve solo organizzarsi, ed è necessario avere persone che siano sul pezzo, in grado di capire cosa significhi, cosa richieda e come si debba declinare la transizione ecologica».
La demografia è impietosa. «Sono arrivato a Brugneto nel 1994, il comune di Ferriere contava all’epoca 2500 abitanti. Oggi sono meno di 1200: si è dimezzata la popolazione in 25 anni. In alcune frazioni la scomparsa di molti anziani ha creato dei buchi, dei vuoti. Sono scomparsi i paesi stessi. Siamo vicini al collasso demografico e qualcosa bisogna fare». Per il sacerdote l’ipotesi delle cooperative di comunità è valida, ma sono ancora troppo poche. «Sono poche mosche bianche, bisognerebbe fare sistema. Anche perché tra i giovani emerge la voglia di restare o tornare a vivere qui. Spero proprio che siano loro, con un’altra mentalità capace di sbloccare certe situazioni, a cambiare il trend».
A Metteglia e Castelvetto don Ezio nel 2009 ha dato via al Consorzio “Rio Corderezza” – dal nome di un canale delle vicinanze – arrivato fino a 50 soci. Con escavatore, trincia forestale, ruspa e trattore, hanno sistemato 110 ettari di pascolo e 11 di pineta. Qua sono tornati a pascolare gli animali e d’estate vengono ospitati i campi scout. I soci del consorzio hanno ristrutturato e ripulito beni della comunità, come fontane e acquedotti. Il Consorzio ha dato una scossa a una comunità sopita. Ha coltivato amicizie e relazioni in un posto dove nessuno risiede d’inverno. Ora prosegue il pascolo su questi terreni una allevatrice di Corte Brugnatella, che ha deciso di ingrandire la sua azienda agricola. «Abbiamo aperto una strada, poi l’età media dei soci superava i 70 anni e questa azienda voleva proseguire il nostro lavoro. Da un’attività amatoriale è diventata professionale e siamo contenti di ciò».
L’esperienza di Metteglia insegna che ognuno si deve mettere in gioco e fare la sua parte. «Non si può pensare di rimanere spettatori. Ogni cosa costa, magari anche tanto, e bisogna farla insieme. Se ci si divide, addio». Spesso, purtroppo, scattano incomprensioni e divisioni che impediscono di collaborare. Esattamente come può succedere alla politica. «Purtroppo questo mi sembra uno dei rischi più evidenti in montagna – conclude don Ezio -, perché può capitare ovunque, ma qui si evidenzia di più, perché nei paesi si è in pochissimi. La flessibilità, la difficoltà a fare squadra, la capacità di accettare le differenze degli altri, a volte sembrano proprio insormontabili. Sembra che ci debba urtare per forza. Secondo troppi la montagna non conta niente: se si presenta anche divisa, non conta davvero nulla. E nelle crepe crescono le tensioni e le radici cattive…».
Filippo Mulazzi
https://www.ilpiacenza.it/(21/02/2021)
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