Gabriele Pedullà
Racconti della Resistenza
2005, Supercoralli
pp. XLIV – 346
ISBN 9788806172411
Contributi di Romano Bilenchi, Italo Calvino, Giorgio Caproni, Beppe Fenoglio, Franco Fortini, Ada Gobetti Marchesini Prospero, Primo Levi, Alberto Moravia, Cesare Pavese, Vasco Pratolini, Mario Rigoni Stern, Marcello Venturi, Renata Viganò, Elio Vittorini, Andrea Zanzotto
Ora, a sessant’anni di distanza, quell’auspicata antologia ce l’abbiamo, e abbiamo anche la visione prospettica per poter rileggere e ricontestualizzare i più importanti testi nati da quella fondamentale esperienza.
«Sembra arrivato il momento di liberarci dell’automatismo che ci porta ad associare spontaneamente alla Resistenza una letteratura scialba e fortemente ideologizzata, tutta pugni al vento e bandiere rosse, scarpe rotte eppur si deve andar: una letteratura cioè pericolosamente vicina alla propaganda politica, interamente asservita alla battaglia ideologica e comunque disposta a sacrificare tutto (ricchezza del vocabolario, sfumature psicologiche e stilistiche, necessità espressive) all’esigenza primaria di comunicare un messaggio chiaro in modo che fosse comprensibile a tutti. (…)
Forse la fiaba di Calvino e l’epica di Fenoglio, l’esistenzialismo di Zanzotto e l’internazionalismo di Vittorini, la paratassi di Bilenchi e la prosa avvolgente di Pavese hanno soltanto un elemento in comune. Per tutti e quindici gli autori di questa antologia la libertà di raccontare nelle forme che ciascuno riteneva più opportune la guerra civile è stata strettamente intrecciata con l’impossibilità di sottrarsi alla scrittura. In tutti e due i momenti, durante il conflitto e a guerra terminata, la Resistenza rappresenta una scelta che non si sceglie: proprio come non si decide dove e quando nascere, il proprio padre e la propria madre, la lingua in cui pronunciamo le nostre prime parole. Si tratta di un’idea molto esistenzialistica, certo – che ha a che fare con l’esperienza dell’essere gettati nel mondo, al tempo stesso fonte di costrizione e straordinaria opportunità. Qualche anno più tardi, facendosi interprete di un sentire comune, Sartre avrebbe parlato di “condanna alla libertà”, un concetto che nel nostro caso si adatta perfettamente alle due scelte degli scrittori partigiani: ma appunto perché sarebbe stato lui a fornire l’esatta trascrizione filosofica dei sentimenti di alcuni milioni di giovani europei e non loro a farsi contagiare da una moda culturale. Non è affatto strano che Sartre e Heidegger siano stati i filosofi di una generazione che aveva già sperimentato sulla propria pelle, prima di trovarli nei libri, stati d’animo come l’indecisione tra la possibilità-che-non e la possibilità-che-sì, l’angoscia e la fede quale capovolgimento paradossale dell’esistenza».
Dall’Introduzione di Gabriele Pedullà
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