Il monte Penice allunga la sua mano, lo fa nell’obiettivo fotografico Canon di un prete di montagna, e tocca con lo sguardo la Lombardia, il Duomo di Milano, la Torre Velasca, il grattacielo Pirelli, la pista di Linate, le torri Telecom di Rozzano, quelle di Mediaset ad Agrate Brianza, le ciminiere delle centrali elettriche di Tavazzano e Cassano D’Adda. Ottanta chilometri in linea d’aria tra l’antico santuario in vetta – 1.460 metri – e la piazza cuore della metropoli che fa affari con un colpo di telefono, eppure nello scatto vicinissimi da lassù, dopo dieci anni di tentativi notturni e zoom avanti e indietro di don Ezio Molinari. Questa volta ce l’ha fatta: ha preso tutte le sue foto, ci ha lavorato su, ed ecco, sono riconoscibili tutti i simboli della Lombardia, le sue cattedrali del business, dell’energia, della sacralità.
Don Ezio, parroco di San Pietro, San Francesco, Santa Maria in Gariverto in centro a Piacenza, ma per ventuno anni, prima, parroco di Metteglia, Curletti, Brugneto e Castelcanafurone. «Ventuno anni sono tanti, qui ho imparato cosa fossero i panorami della montagna, il loro valore. E ho iniziato per caso a fotografarli», spiega don Ezio. «Al Penice sono tornato anche di recente, c’era la neve, tanto freddo. In dieci anni ho fatto lì una serie di scatti notturni, è curioso salire al monte, trovi sempre storie inaspettate ad attenderti, in tanti vanno su a guardare quelle luci. In quegli scatti, chissà, forse qualcuno riconosce il suo palazzo a Milano… Ho utilizzato la mia macchina fotografica, una buona Canon, con un obiettivo da 400 millimetri. Quella sera, pensi, non era neppure così limpido il cielo. Eppure in quella macchia luminosa ho iniziato a vedere Milano. Sono abituato ad allenare lo sguardo, perché Metteglia mi ha insegnato a contare gli anelli della ciminiera in pianura». La difficoltà? «Riguarda le luci delle antenne, che con il loro alone rosso rischiano di guastare gli scatti e oscurare le stelle. Per il resto è andata bene».
(Articolo tratto dal N° 4 del 04/02/2021 del settimanale “La Trebbia”)
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