L’antica cappella che sorge al centro della frazione di Donetta possiede un campanile a vela con tre campane unico nel suo genere.
Ad oggi solo la campana centrale, ottocentesca, è al suo posto mentre all’interno della sacrestia se ne conserva una di antica foggia di piccole dimensioni (cm.25 alla base).
Dove sia finita la terza non si sa, una vecchia foto del 1903, mostra solo due campane. La fantasia popolare accomuna la campana mancante alla leggenda del tesoro scomparso e racconta di una campana piena di monete d’oro sepolta chissà dove.
Quel che si sa è che la cappella di juspatronato della famiglia Magioncalda è di antichissima fondazione e fu collegata alla fortezza del colle soprastante, la Turicula di pertinenza dei frati dell’abazia di Patrania e dei vescovi di Tortona, che controllò la strada dell’Antola o chaminus de Lombardia, molto frequentato da mercanti e pellegrini durante il periodo delle crociate.
La cappella possiede due appezzamenti di terreno il cui affitto concorreva a rimpinguare le poche elemosine, la Consorscia, una sorta di recinto fortificato sottostante la fortezza, e il Saiè con una preziosa sorgiva, a funtanna da gexia, in quota a servizio della medesima.
Tempo fa, in una nicchia cieca del campanile di Torriglia si è rintracciata una campana di circa 30 cm alla base.
Un accurato restauro ha messo alla luce particolari molto interessanti.
Attorno all’estremità superiore un cerchio delimita la scritta S.Vincenti Ora pro nobis – 1617.
Sappiamo che il santo titolare della confraternita della buona morte dell’oratorio era San Vincenzo, si pensa quindi che servisse per le funzioni dei confratelli.
Naturalmente si trattava del vecchio oratorietto, in antico titolato a San Rocco e Santo Stefano, alla fine del 700 sostituito dall’attuale.
Nella parte inferiore della campana appaiono due antiche icone che fanno pensare ad una fusione precedente, poi adattata ad uso dei confratelli.
Ricordo che a quel tempo la famiglia Magioncalda, titolare dell’altare di Santo Stefano nella parrocchiale a Torriglia, poi sostituito dal quadro della lapidazione ora sull’altare maggiore, era molto influente nel mondo ecclesiale di allora: Rettori a Carrega ma soprattutto a Rovegno, pieve maggiore che includeva Torriglia.
È verosimile l’ipotesi che la campana ritrovata, messa a disposizione da un sacerdote Magioncalda di Donetta, venisse modificata e utilizzata nell’Oratorietto.
Campana medievale quindi, l’esame delle icone lo confermerebbe, una crocifissione e una madonna fissano culti molto antichi: Christo e Nostra Dona, i frati del Tempio che vissero nella fortezza di Turicula (Donetta) a loro s’ispirarono, oltre a San Bernardo ancor oggi festeggiato lassù.
La crocifissione è simile ad affreschi bizantini presenti in chiese ortodosse greche. Sopra al Cristo sulla destra, il sole, sotto la Madonna, a sinistra la luna, sotto una Maddalena con sul petto due cubi, forse le pietre della lapidazione dell’adultera che Gesù ricordando: chi è senza peccato scagli la prima pietra, evitò.
Nell’altro lato un’immagine arcaica, la Madonna con bambino indossa una corona di tipo bizantino, sulla destra si intravvede una coppa da cui fuoriescono cinque raggi a evidenziare la sua natura sacra.
La raffigurazione di un Santo Graal?
È certo un’immagine inconsueta, mai abbinata all’immagine di Maria che ricorda il mito della sacra coppa.
La coppa di vino dell’ultima cena nella quale Giuseppe d’Arimatea raccolse gocce del sangue di Cristo in croce, il Graal, un mito che nel medioevo fu romanzato e raggiunse grande notorietà. I Genovesi durante la prima crociata espugnarono Cesarea, quale bottino scelsero il Santo catino che trasportarono a Genova affidandolo alla Cattedrale, che ancor oggi lo custodisce.
Un’antica leggenda racconta che la Maddalena in compagnia di Giuseppe d’Arimatea nel suo viaggio dalla Terra santa verso la Provenza passò per la Liguria e si fermò a Fascia, piccolo villaggio della Val di Trebbia. Giuseppe portava il Santo Graal mentre lei per penitenza un pesante sacco di pietre. Gli abitanti le diedero ristoro e da dormire, lei prima di proseguire il viaggio lasciò le pietre a protezione del borgo. Là ancora stanno….
Mauro Casale
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