Oggi vi racconto una bella storia che mi è successa a Montebruno, in val Trebbia. Un gruppo di cittadini mi ha invitata perché parlassi del loro paese e sono stata lì quattro giorni. Ho fatto tanti viaggi organizzati per la stampa, ma mai mi era capitato che fossero gli abitanti di un luogo a organizzarsi in prima persona.
Questa è una grande notizia, perché se tutti amassero così il proprio paese, l’Italia farebbe un gran balzo in avanti. L’idea è partita da Nicoletta Barbieri, la tabaccaia di Montebruno (gestisce anche una pagina facebook sul paese) e da Monica Melissano, grande esperta di rock, amante dell’Islanda, che affitta stanze ai turisti.
Mi hanno organizzato un programma ricco di passeggiate e incontri e ho conosciuto delle persone veramente in gamba. Una gran bella comunità.
Cominciamo con le escursioni nei dintorni
- La Via Crucis, sentiero in salita poco fuori dal centro, ma poco impegnativo. Si fa in dieci minuti. Mentre si sale, il paese si allontana e si rimpicciolisce. Arrivata in cima, mi siedo su una panca, mentre Montebruno se ne sta laggiù rannicchiato nella valle tra il rumore delle seghe e il canto del gallo.
- Attraversando Montebruno si raggiunge il sentiero per Caprili, un piccolo villaggio. Per un breve tratto ci accompagna una signora quasi novantenne che ci semina a Monica e a me.
- Salendo da Montebruno a Barbagelata anche un auto si può raggiungere l’Alta via dei Monti Liguri e fare l’anello del Caucaso, una delle più belle passeggiate dell’entroterra ligure, costellata da faggete. Si arriva al rifugio che domina tutto il golfo del Tigullio.
- Non lontani: il sentiero intorno al lago del Brugneto e la cima del Monte Antola.
- Un po’ più lontano: Pian della Cavalla, dove ogni maggio c’è la stupenda fioritura dei narcisi. Così lo descrive il bravo Enrico Bottino.
Dove mangiare a Montebruno
- Bar degli angeli. Alla guida Giulia e Barbara Garbarino. Ottimo per un apericena, buona la pizza al carbone. Ogni giorno preparano piatti fatti in casa, che cambiano sempre. Giulia e Barbara, prima che vada via, si raccomandano che parli della giovane Ilaria, loro nipote, afflitta da una malattia rara, l’atassia di Friedreich. Tutto il paese organizza eventi per tirar su fondi. Se volete aiutarla anche voi, qui c’è la sua storia e l’iban.
- Rifugio dei cacciatore. Mi sono rimpinzata con diversi assaggi: torta di cipolle, zuppa di porri e carote, pappardelle al pesto di rucola e noci, gnocchetti alla crema di parmigiano.
Dietro i fornelli il cuoco Marco. Da provare.
Antico Forno a legna da Carlo
Mi accoglie Ida a braccia aperte, elegante e sorridente. «Il nostro forno è stato sempre acceso dal 1886. È stato il bisnonno Davide a inventare il filone di Montebruno, poi la gestione è passata a Nonna Romilda, e infine a Zio Rino».
Ora al timone da 18 anni Carlo e Ida, che hanno recuperato tutte le ricette della nonna. Tra i prodotti più gettonati, oltre al pane tradizionale, i canestrelli, i baci e i panettoni, sfornati tutto l’anno, anche salati con acciughe e capperi per l’aperitivo.
I biscotti Sophie Blanchard
Hanno inventato una linea di biscotti, dedicata a Sophie Blanchard, la prima donna aeronauta che nei primi dell’Ottocento fu costretta a fare un atterraggio di fortuna a Montebruno, con la sua mongolfiera.
Nel1811 mentre sorvola Milano per un’esibizione, il vento le fa perdere la rotta e la spinge verso l’Appennino Ligure. Per paura di arrivare al mare che già intravede riesce ad atterrare a Montebruno. I contadini la scambiano per la Madonna, che era già apparsa nel Quattrocento e gridano al miracolo.
Poi viene soccorsa, ospitata dal sindaco e riparte il giorno dopo. Nell’edificio del Comune unamostra racconta tutta la storia. Per visitarla, così come per vedere il Santuario, telefonate dalle 9 alle 12 in Comune allo 010 95181.
Grande successo del Forno negli ultimi dieci anni
Per tornare al forno di Carlo, oggi è rinomato tanto da richiamare anche stampa e televisioni nazionali. Un po’ il merito, oltre che alla qualità dei prodotti, è di Ida, brava nelle pubbliche relazioni.
«Prima a Montebruno si veniva solo per il Santuario, ora anche per far spese al forno. Siamo maestri fornai – mi racconta ancora Ida – tra i 30 pasticceri italiani che lavorano con il lievito madre vivo, senza i conservanti e i coloranti della grande industria».
Carlo si sveglia tutte le mattine alle 5. I tre figli maschi sembrano interessati a proseguire nella professione di papà e mamma. Almeno Daniele che ha 21 anni e si dedica ai lievitati e ai prodotti senza glutine.
Ida infine mi conduce nel loro scrigno sotto al negozio, il forno, e mi mostra gli attrezzi che usano. Sono ancora quelli di nonna Romilda. Esco dal negozio sazia per una settimana.
Don Pietro, il Santuario e il Museo della Cultura Contadina
Montebruno è soprattutto famoso per il suo ponte medievale e per il Santuario. Don Pietro, di nome e di fatto, mi apre il portone. Con la fiaschetta di vino e la pipa in bocca, cappelli lunghi e jeans. Mi prende un colpo, mi sembra Don Gallo. Quanto mi manca. «Il parroco del santuario che mi ha preceduto era un grande lavoratore, ma non aveva nessuna cultura artistica – mi confida il Don – Quindi le opere, gli affreschi, i quadri, nonché i muri erano in cattivo stato. Si è dovuto fare un gran lavoro per rimetterlo in buono stato».
Don Pietro quel lavoro l’ha fatto e non contento ha dato vita anche a uno straordinario museo di cultura materiale, facendosi portare oggetti usati un tempo dai contadini della Val Trebbia e ora inutilizzati. Scopro che è anche l’ideatore del Presepe di Pentema. Saliamo al secondo piano, sede del Museo di Cultura Contadina Alta Val Trebbia e troviamo un numero infinito di oggetti antichi, per coltivare la terra, per lavorare il legno, per ferrare i cavalli. Strumenti usati un tempo dal sarto, una macchina fotografica che ha più di cent’anni, una foto dei Balilla di Torriglia.
Così e diviso il museo:
- artigianato del passato
- cicli lavorativi in campagna
- stalla tipica della zona
- cucina arredata in stile contadino
- attrezzi e mezzi di trasporto agricoli
- antico mulino
- mostra fotografica del Sacro in Val Trebbia
- esposizione di arredo sacro
Una stanza dietro l’altra, adesso stiamo osservando i vestiti che usavano un tempo le donne, il velo bianco che indossavano a Propata dopo il matrimonio. Ora mi mostra una scarpa chiodata: «Si usavano fino agli anni cinquanta. Io sono nato a Castelletto d’Orba, camminavo anche scalzo tra le stoppie del grano senza farmi male».
Dopo il monastero e il museo della cultura contadina, mi porta in chiesa. Apre una porta e mi mostra degli azulejos del 1300, una delle cose di cui va più fiero.
Ora siamo alla fine, sono passate quasi due ore, deve scappare perché lo aspetta la messa a Torriglia. Non è stato facile prendere appuntamento con lui, faceva un po’ il difficile con Nicoletta: «Ho poco tempo, non più di un quarto d’ora», le aveva detto. E invece il suo prezioso tempo me lo sta donando. Anche in questo mi ricorda Don Gallo, prima le persone le deve un po’ annusare. Infatti sembra non mi voglia lasciare e si ferma a raccontarmi altri aneddoti e proverbi sull’avarizia dei valligiani.
È un personaggio don Pietro.Per lui ci vorrebbe un libro, non un breve spazio in un articolo. Da oltre 50 anni sta dietro a più di una decina di parrocchie dell’alta Val Trebbia, oltre a Montebruno, anche Cassingheno, Carpeneto, Fascia, Propata, Rondanina, Caffarena, Pentema, Bavastri, Bavastrelli, Caprile. Corre sempre sue giù per le vallate con la neve o il sole a picco. Qualche anno fa a Torriglia lo avevano criticato perché non indossa l’abito talare, ma lui ben sa che l’abito non fa il monaco. Insomma è più importante il contenuto o la forma? Non ne ha fatte e non ne fa tante di cose da meritarsi il paradiso Don Pietro?
Se ne va via a bordo della sua Fiat, e sparisce dietro alla curva. Ma ce l’ho ancora ben stampato in mente.
Laboratorio di artigianato Yggdrasill
Entro convinta e vengo inondata da un forte odore di sandalo e di cedro. Il locale, ben ristrutturato, un tempo era la stalla degli asini. È zeppo di oggetti: «Siamo gli unici artigiani del legno in tutta l’Alta Val Trebbia», mi racconta il loquace Sergio Piergallini, padre del giovane proprietario. Michelangelo, cresciuto a Chiavari.
Michy, 12 anni fa è voluto tornare a Montebruno, terra dei suoi avi, per aprire questa attività e un bed&breakfast. È anche un musicista, suona la batteria, in una band doom/sludge, i Sator. È appena rientrato da un tour in Slovenia e Ungheria.
«Lavorare al tornio è rilassante – mi racconta – Non tornerei mai più a vivere in Riviera. Amo questo silenzio, e qui non uso mai l’auto. E poi anche la mia ragazza, Sara, ora vive qui e ci aiuta nel lavoro»
Sergio mi racconta tanti di quegli aneddoti del paese e della sua famiglia, erano dei mugnai, mentre Michelangelo è più silenzioso. Lavora attento al tornio e sa il fatto suo.
Ora Sergio mi mostra ilgufo di legno con il fischietto incorporato, di cui va molto fiero. E poi un bastone per le escursioni con bussola e fischietto. Infine un trapano e un’incudine di inizio Novecento, appartenuti a uno zio immigrato che faceva il fabbro a Brooklyn. Già è una zona di emigrazione questa. Come tutto l’entroterra ligure.
Così si presentano su facebook.
Riccardo ed Elisa, una coppia di pastori
Amo gli animali, e inmezzo alle pecore e alle capre mi sento a casa mia. Ho passato una bella mattinata in loro compagnia a Pianazzo, una frazione di Montebruno. Erano più di una trentina.
La storia che vi sto per raccontare è un bell’esempio di perseveranza nel perseguire le proprie passioni.
Riccardo ed Elisa vivono a Genova. Lei lavora in un supermercato. Lui è operaio dell’Ilva. Quando decidono di mettere al mondo dei figli scelgono questo paradiso in mezzo al verde e incominciano ad allevare pecore e capre. Lei si licenzia.
Un paradiso fino a un certo punto, non tutti gli abitanti del villaggio li accolgono a braccia aperte, soprattutto gli anziani. Una storia che mi ricorda un po’ il bellissimo film Il vento fa il suo giro di Giorgio Diritti. Ma loro non demordono e ora producono un formaggio squisito, metà di pecora e metà di capra, che ancora mi lecco i baffi. Nel frattempo lui viene messo in cassa integrazione, però per fortuna lo prendono a lavorare come operaio per il Comune di Montebruno (lavoro di pubblica utilità).
Ora hanno due bambini che sono felici di scorrazzare per i prati. Lorenzo è innamorato degli animali e del lavoro dei genitori, la piccola Sofia fa un po’ più l’aristocratica, ma è un’incantevole birbante. «A me piace molto pascolare con papà!», mi racconta Lorenzo, mentre Sofia corre via che è arrivata un’amica di Genova.
«Abbiamo ripulito tutto il prato che circonda il paese – mi raccontano Elisa e Riccardo – prima era abbandonato, una vera selva. Non riusciamo a guadagnare ancora del nostro lavoro agricolo e con gli animali, però andiamo in pari. Ci muove la passione e la qualità del cibo che mangiamo. Purtroppo le leggi europee sono fatte su misura per la grande distribuzione». Due caprette e una cucciola di pecora ci seguono, senza mollarci un attimo: «Le loro mamme, primipare, le hanno abbandonate e le stiamo crescendo noi – mi spiega Elisa – Le teniamo in casa con i cani». Sono troppo belle, tutte e tre. Ne prendo una in braccio, è profumatissima. E mi faccio fare un sacco di foto. Me ne vado via a cuor leggero e con la pancia piena.
Vespe e vecchie Balilla, una collezione privata da urlo
Mi sono accorta quanto piacciono le vespe del dopoguerra per il successo di un post che ho fatto su facebook.
«È mio papà Umberto che ha iniziato a rimettere in sesto vecchie auto e moto. Tutte provengono dall’Alta Val Trebbia», mi racconta Alessandro Gardella. Lavora all’Ikea in Val Polcevera, ma è a Montebruno che batte il suo cuore. Vorrebbe tanto trascorrere le sue giornate qui. Non si sa mai, partisse veramente il turismo.
I pezzi forti della collezione sono le vespe. Ne ha quasi una ventina, la più vecchia è del 1948. Una è saldamente legata al suo sidecar, come avete visto nella foto. Non solo vespe, ma anche Api, che servivano per raccogliere i rifiuti o per trasportare merci varie.
Dall’altra parte della strada custodisce antiche auto, tra cui una Balilla, senza né frecce né stop, e un trattore del 1954.
Alessandro partecipa spesso ai raduni di moto e auto d’epoca, tra cui ovviamente a quello di Montebruno. Per vedere la collezione, chiedere di Alessandro, telefonando alla Trattoria dei Cacciatori (01095080).
Le api oggi sono nervose, sentono il temporale in arrivo
Mi chiama Claudio. Sa che in paese c’è una giornalista che sta ficcando il naso dappertutto. Lavora come impiegato all’Ansaldo, ma il suo sogno sarebbe fare l’apicultore a tempo pieno.
Ci diamo appuntamento, ma dalle api non mi vuole portare. Che vengo a fare?, domando io. Le cose le devo vedere per scriverne. Mi dice che sono nervose, perché il cielo si sta oscurando e temono la pioggia.Io testarda gli dico che voglio andare lo stesso.
Arriva all’appuntamento con il figlio Andrea di 9 anni. Facciamo a piedi due curve d’asfalto in mezzo al verde dei prati e spuntano gli alveari. Claudio mi ordina di mettere la maschera protettiva velocemente. Lo faccio e subito dopo una decina di api ci ronza intorno. Non riesco a fotografare nulla. Mi arrendo, torniamo indietro. Le cose di cui scrivo le devo vedere, ma fino a un certo punto.
«Mio nonno era contadino – mi racconta Claudio – barattava il miele con l’olio. La campagna ce l’ho nel sangue. Trascorro le mie giornate in ufficio davanti al computer e venire fin quassù è una liberazione. Le api sono solo una scusa. Poi apre il magazzino e mi fa assaggiareun cucchiaino squisito di miele millefiori primaverile e uno di miele di acacia. Ha esaurito tutte le scorte.
Per saperne di più: qui la pagina facebook.
Il boscaiolo e la fornaia
Incontro per caso un ragazzo che fa il taglialegna e mi racconta che mai e poi mai vivrebbe in città. Per lui sarebbe una prigione. Alleva qualche pecora e qualche capra per passione e le lascia scorrazzare libere per i prati. Ha anche dei cavalli. La sua ragazza lavora nel forno di Carlo e Ida e neanche lei vuole scendere dalle montagne. Insomma in tanti scelgono di restare a Montebruno o di tornarci. Che sia il ritorno alla campagna una soluzione alla crisi?
Denise, la parrucchiera
Non conosci un paese se non metti il naso dalla parrucchiera. Quindi vado a farmi la piega da Denise. È molto soddisfatta del suo lavoro: «Ce l’ho fatta da sola, pensa che viene gente anche da Genova per farsi i capelli da me». Parliamo delle persone che ho incontrato e mi faccio un ripasso.
La figlia, poco più che adolescente, mi racconta dei ragazzi del paese. Ma ha una fissa.Vuole il campo di beach volley, come quello che c’è a Loco, un paesino vicino dove d’estate vanno tutti. «Insomma, lo avessimo anche noi, non ci dovremmo muovere tutte le sere», si lamenta. Sindaco Mirko, lo so che è difficile gestire un piccolo comune di questi tempi, ma glielo allestiamo ‘sto campetto?
Giorgio Caproni, il maestro di Fontanigorda
Vorrei ricordare ancora una cosa, il grande Caproni ha fatto il maestro a Fontanigorda, qui vicino, e amava molto la val Trebbia. La statale 45 che porta a Montebruno è mitica. Bisogna farla almeno una volta nella vita da Genova a Piacenza: è spettacolare. E io che l’ho percorsa tutta, dopo questa lunga cavalcata di parole – oddio quanto è lungo questo mio articolo – vi lascio con quest’immagine di Caproni, della val Trebbia e della Statale 45.
È una strada tortuosa.
Erta
Tipica di queste nostre
zone montane. Dovunque,
segnali d’allerta.
Fondo dissestato.
Frane.
Caduta massi.
Il motore
s’inceppa.
La ruota
slitta sull’erba che vena
l’asfalto.
La mente è tesa.
Non basta
La guida più accorta
A ogni svolta
la sorpresa sovrasta
l’attesa…
Laura Guglielmi
(E’ una giornalista militante e una viaggiatrice instancabile. Appena può, indossa le scarpe da trekking e, in città, si muove in bicicletta. Ama scoprire storie e raccontarle).
www.lauraguglielmi.it (Fotografie di Laura Guglielmi)
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