Tempo fa dovendosi celebrare l’anniversario della Liberazione, un giornale genovese pubblicò la foto di un gruppo di alpini che rappresentava la “resa” ai partigiani di una battaglione della divisione Monterosa. Si intendeva così ricordare un episodio ormai passato nel dimenticatoio, anche perché in tanti libri sulla Resistenza nessuno ebbe mai a parlarne.
Eppure si tratta di uno degli episodi più significativi, coronava lunghi mesi di tenace ardimento e di continui rischi affrontati dai partigiani per avvicinare i loro avversari così da poterli convincere.
Fu appunto in uno di questi tentativi che il Comandante di una pattuglia, mi pare che si chiamasse Dentice, e un suo compagno di cui mi sfugge il nome, furono fatti prigionieri e da qui ebbe inizio l’azione che condusse il Comando della Cichero a intavolare trattative, accettando di incontrare il maggiore Paroldo che comandava il battaglione Vestone della Monterosa.
Ho deciso quindi di inserire in questo libro la versione esatta dell’episodio, e mi pare che ne valga la pena.
Innanzi tutto debbo precisare che non si trattò di «resa» ma del «passaggio» di un battaglione degli alpini nelle file dei partigiani: alpini che poi e fino alla Liberazione combatteranno al nostro fianco, seminando coi corpi dei loro caduti il cammino che ci portò alla Liberazione.
Abbiamo visto nelle pagine precedenti che dopo il grande rastrellamento di agosto, il Comando tedesco aveva affidato agli alpini della Monterosa il compito di presidiare la statale del Trebbia; e dunque due battaglioni s’erano insediati a Torriglia e a Bobbio, all’inizio cioè e al termine della strada che segue il corso del fiume; mentre il terzo, il Vestone, si stabiliva al centro della valle, e precisamente a Gorreto, nel castello dei principi Centurione, già sede del comando della Cichero.
Intanto le formazioni garibaldine, rapidamente ricostituitesi, s’erano attestate nell’alta val Polcevera, in valle Scrivia e in val Trebbia e, con continue incursioni, le rendevano insicure. In uno di questi colpi di mano venne catturato l’attendente del comandante del Vestone, Paroldo, un ufficiale questi di carriera che godeva di grande prestigio e che, dopo la disastrosa ritirata in Russia era stato internato coi suoi uomini in un «lager» tedesco.
La gente di Gorreto, dapprima diffidente e ostile, aveva finito con l’intrattenersi volentieri con lui, e parlare dei partigiani che avevano presidiato il paese, e dei loro comandanti. Fu così che quando il suo attendente, di nome Cattani, cadde nelle nostre mani, non gli fu difficile farci sapere che era disposto a trattare il suo rilascio in cambio dei due partigiani caduti nelle sue mani.
La proposta era naturale che sollevasse discussioni e dissensi perché fino ad allora mai avevamo avuto contatti di quel genere con le forze della repressione; lo stesso Comando Regionale, interpellato, espresse parere contrario a quell’incontro. Qui però era in gioco la vita di due partigiani che, da un momento all’altro, potevano essere tradotti a Genova e fucilati, sicché i Comandanti non tennero conto delle obiezioni e senz’altro fissarono l’incontro.
Intanto il Cattani, affidato a un distaccamento, non aveva tardato ad ambientarsi: il nuovo sistema di vita basato su una disciplina che i partigiani s’erano liberamente imposta, l’aveva profondamente colpito e già chiedeva di far parte delle nostre formazioni. Così venne deciso che avrebbe seguito il Commissario e si sarebbe tenuto un pò discosto, pronto ad accorrere se l’avesse chiamato.
Il maggiore si presentò sul posto convenuto in compagnia di un subalterno e del parroco di Gorreto; e subito tenne a precisare che si era deciso a quell’incontro unicamente per trattare la liberazione del suo attendente: in cambio era disposto a liberare i due prigionieri.
« D’accordo sul cambio — fece il commissario – ma nel caso che il suo attendente intendesse rimanere con noi… ». « Impossibile! — l’interruppe il maggiore — Fatemelo dunque vedere, e che me lo dica lui… ».
A questo punto il Cattani balzò fuori dall’anfratto in cui si teneva nascosto e corse a gettarsi tra le sue braccia; ma quando sentì ch’era venuto a liberarlo senza esitazione dichiarò di sentirsi già libero e che ormai aveva scelto il suo posto sui monti, con il movimento di Liberazione.
Il maggiore lo fissava sbalordito, incapace di trovare parola; ma poi, improvvisamente reagì e, afferratolo per le braccia proruppe: «Che t’hanno fatto, disgraziato, t’hanno «stregato?».
E il Cattani, senza scomporsi, sommessamente, ma con fermezza: «M’hanno aperto gli occhi, signor Maggiore, mi hanno aperto gli occhi», e intanto a piccoli passi s’andava scostando. Il maggiore pareva che non riuscisse a capacitarsi di quanto era successo, e quando il commissario gli si fece accanto e prese a parlargli della lotta che ormai era decisa, e che dunque combattere i partigiani significava prolungare una guerra assurda, manco pareva ascoltarlo e continuava a scuotere la testa, in silenzio.
Insisteva, il Commissario: perché ostinarsi a servire i tedeschi, farsi loro complici? Non si rendeva conto che la vera Italia era al fianco di quei «ribelli» ch’egli stava combattendo?
Sì, forse ora se ne rendeva conto, ma era talmente sconvolto da non poter ribattere, e così pose termine in fretta all’ incontro. Prima però di separarsi fu convenuto che i due partigiani sarebbero stati scambiati con prigionieri tedeschi.
Fu in seguito a questo colloquio che il Comando della Cichero dispose che l’attività militare venisse allentata e così sia da una parte che dall’altra si conduceva una strana guerriglia: con gli alpini che pareva si facessero sorprendere a bella posta lontano dal loro distaccamento per farsi prelevare, quando non cercavano loro stessi di raggiungere le nostre formazioni, chiedendo di farne parte. Finché il Comando tedesco si vide costretto a ritirare i due battaglioni da Bobbio e Gorreto smistandoli a Torriglia, e rinunciando così a presidiare la vallata del Trebbia.
Tale decisione non mancò di sollevare nel Comando di zona il dubbio che la tattica perseguita dalla Cichero, e cioè di allentare l’attività militare per favorire la crisi della truppa e degli stessi comandanti del Vestone e indurli alla resa, fosse sbagliata e lo fece presente nella riunione che indisse a Fontanachiusa; ma il Comandante e il Commissario della divisione, convinti com’erano che la crisi degli alpini era provocata dalla convinzione ormai acquisita che l’ Italia per cui valeva la pena di combattere e di sacrificarsi era quella dei partigiani, dichiararono di non potere rinunciare a un estremo tentativo. Si trattava di un’azione spericolata di cui si volle incaricare Bisagno, che sceso a Torriglia, s’aggirò per tre notti in mezzo alla confusione provocata dall’afflusso dei tre battaglioni alpini, tentando di stabilire a ogni costo un ultimo contatto col maggiore Paroldo.
Al Comando di divisione non si avevano più notizie, si sapeva soltanto che prima di partire aveva indossato la divisa di un alpino e il Commissario, che gli era profondamente legato, viveva ore di angoscia, tra la pressione del Comando di zona che insisteva perché prendesse un’iniziativa, e il timore che qualsiasi cosa si facesse rischiava di precipitare la situazione e compromettere l’esito della missione.
Finalmente giunse la comunicazione tanto attesa: un messaggio di Bisagno che convocava il Commissario a Costamaglio, una località nelle vicinanze di Montebruno, in una piccola osteria a picco sul Trebbia: là col maggiore Paroldo e il suo aiutante Ebner si discussero le modalità dell’operazione e ci si accordò perché quella notte stessa il battaglione al completo, con armi e carriaggi, raggiungesse Gorreto unendosi alle formazioni partigiane.
L’indomani, IV novembre 1944, il Comando Zona poteva diramare il seguente comunicato:
«Stamane, nell’anniversario dell’armistizio che nella grande guerra, l’Italia ha imposto all’esercito austro-ungarico e tedesco, il battaglione alpino Vestone è passato al completo nelle file della Divisione Garibaldina Cichero.
Gli alpini hanno cosi ritrovato la vera Italia, quella Italia nostra e onesta che combatte sui monti per la sua libertà. Il Comando della divisione saluta gli alpini del Vestone e plaude al loro gesto e alla ritrovata fraternità nel nome dell’Italia».
(Brano tratto da “La Repubblica di Torriglia” di Marzo – Di Stefano editore)
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