Bisagno non si dava pace.
I tedeschi sono stranieri: nemici. Le brigate nere: degenerati, venduti, nel migliore dei casi illusi, fuori della realtà. Ma gli alpini?
Gli alpini, no. Gli alpini non devono, non possono confondersi con le brigate nere. Non devono, non possono servire i nazisti.
Non era alpino Bisagno. Era, il fatidico 8 settembre, sottotenente del genio, come Scrivia, in servizio alla caserma di Chiavari.
Però tutti lo credevano alpino, perché dell’alpino aveva la tempra, il passo di montagna e l’ostinato rigore, i sentimenti rudi e schietti, la semplicità e la caparbia ritrosia. Non gli dispiaceva che lo ritenessero alpino, anzi ne accreditava la voce, perché era la maniera più spiccia d’impedire che i fascisti identificassero i genitori residenti a Genova.
Non era alpino, ma non si dava pace.
E un giorno prese la gran decisione.
Indossò la divisa d’ufficiale degli alpini e scese a valle.
Che cosa esattamente abbia fatto con gli uomini della Monterosa è difficile riferire. Fra i partigiani e i cospiratori l’episodio assunse subito la fisionomia della leggenda, sicché non riesce possibile distinguere il fantastico dal reale.
Si dice che si sia collocato con la divisa di tenente, accompagnato da Scalabrino, nei pressi di Loco, mentre alcune squadre si trasferivano a gruppi di tre o quattro, per non offrire consistenti bersagli, da Gorreto a Torriglia. Così era riuscito a indirizzarne una quindicina per la via di Cassingheno.
Si dice che sia penetrato nella camerata di Gorreto; che abbia mangiato e bevuto all’osteria con gli alpini che lo scambiarono per uno dei loro ufficiali.
Certo è che chiacchierò con questo e con quello; insinuò parole di persuasione adatte al credente e al miscredente, a chi sentiva la patria e a chi, scettico, pensava soltanto a se stesso.
– Ti rendi conto di quali nefandezze sei complice? Non l’avrai voluto, ma è pur sempre una debolezza esserne complice. Che cosa ti dice la coscienza? Che cosa ne dici a Dio?
– Ti rendi conto che cosa penseranno di te i tuoi figli? Un giorno avrai dei figli: dirai loro che hai servito il nemico? Che hai lasciato uccidere, seviziare, torturare gli italiani; che hai bruciato i villaggi indifesi, che hai mangiato il pane dei traditori?
– Ti rendi conto che la guerra è ormai vinta dagli alleati? Se l’Italia segue Hitler fino all’ultimo nella sua pazzia, non ci sarà più domani. Sarà divisa in quattro tronconi fra inglesi, jugoslavi, americani e francesi.
– Ti rendi conto che domani – a guerra finita – sarai guardato da tutti come un cane rognoso? Se pur riuscirai a scampare la condanna a morte o la galera. Non farti illusioni con le balle dell’arma segreta. La guerra ormai l’han vinta gli americani.
– Ti rendi conto che se c’è una guerra giusta è proprio quella che stanno combattendo i partigiani? È vero che, di solito, in una guerra è difficile dividere in modo perfetto la ragione e il torto. Ma questa volta no. Lo sai che fanno i nazisti degli ebrei? Lo sai che fanno nei campi di sterminio? Li gassano a decine, li bruciano e spargono le ceneri per concime nei campi. Lo sai che fanno alla Casa dello Studente? Torture, porcate, sevizie, sadismo. Lo sai che fanno all’Ansaldo e nelle fabbriche del Polcevera? Circondano lo stabilimento, prendono gli operai in buona salute, li carica no sui carri piombati e li portano in Germania. Ti pare d’essere dalla parte del giusto?
La conclusione:
– Vieni con noi. Siamo disposti a dimenticare tutto. Sarai dei nostri, come quelli che ci son venuti il 9 settembre. Entrerai a Genova da liberatore, da trionfatore, garibaldino come gli altri.
Il successo fu superiore al previsto. Anche perché Marzo, dal canto suo, stava conducendo un’abile azione diplomatica. Iniziò, ai primi d’ottobre. Si concluse nell’osteria di Costamaglio il 3 novembre. Da una parte Marzo, Bisagno, il Biondo; dall’altra un maggiore e due tenenti degli alpini.
Tratto in disparte il maggiore, Bisagno gli parlò veemente: – Lei è stato valoroso in guerra, ma lei tradisce l’Italia servendo i nazisti. Siamo noi dalla parte giusta. Ha dimenticato, signor maggiore, in quali condizioni Mussolini ha mandato lei e i suoi uomini in Albania? Ha dimenticato, signor maggiore, gli assiderati per scarso equipaggiamento, le gambe, i piedi amputati? Bandiera nera sul ponte di Perati, signor maggiore. Venga con noi, dalla parte giusta. Dalla parte del popolo italiano, dell’Italia.
Il maggiore tacque. Accettò di sedersi al tavolo dell’osteria, e qui ci volle l’abilità di Marzo per risolvere i problemi e definire i dettagli del singolare trasferimento. L’intero battaglione salì sui monti della partigianeria. Furono accolti fraternamente, come gli alpini degli altri reparti, quelli giunti alla spicciolata. Garibaldini senza discriminazioni.
(Brano tratto da “Pittaluga racconta – Romanzo di fatti veri 1943-45” di Paolo Emilio Taviani – Edizioni il Mulino)
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