Martedì 24 aprile 1945, gli abitanti della frazione Isola del comune di Rovegno si accingevano ad affrontare una nuova giornata lavorativa nei campi. Nella serata precedente, il Comitato di Liberazione Ligure aveva diramato a tutte le formazioni partigiane della montagna ed alle squadre d’azione patriottica di Genova, l’ordine di insurrezione generale che sarebbe culminata con la liberazione della città il giorno 25. Fin dalla mattina del 24, i cieli dell’alta Val Trebbia furono solcati da pattuglie di aerei da caccia anglo-americani. Verso le ore 10.30 transitava da Isola di Rovegno una colonna mista di partigiani, appartenenti alla brigata “Jori” e alla S.A.R (Squadra d’azione patriottica) di montagna “Bedin” con il suo comandante: Renato Florio, detto “Napoli”.
La brigata “Bedin” operava tra le valli Fontanabuona e Bisagno, ma Florio con alcuni suoi uomini aveva raggiunto il comando della divisione “Cichero” per segnalare una colonna Italo-Germanica in ritirata dallo spezzino e diretta probabilmente a Recco. Il comandante della “Cichero”, Aldo Gastaldi detto “Bisagno”, aveva ordinato alle sue brigate di scendere verso la riviera per tagliare la ritirata alle truppe germaniche, intenzionate ad attraversare l’appennino ligure e quindi raggiungere la pianura padana. Dopo aver passato la frazione di Isola fra due ali di persone festanti, i partigiani stavano per guadagnare il ponte che porta a Rovegno. Due aerei da caccia, che i testimoni ricordano nitidamente con doppia fusoliera, muniti di due motori (presumibilmente P-38 Lightning), e con dipinta l’inconfondibile stella americana racchiusa in un cerchio, scesero improvvisamente a bassa quota facendo un passaggio radente sulla colonna dei patrioti, che agitarono le mani in segno di saluto.
Dopo aver ripreso quota, virarono e picchiarono ancora sulla colonna aprendo il fuoco con le mitragliere di bordo. In pochi secondi cinque partigiani caddero al suolo morti o morenti, altri cinque riportarono gravissime ferite. Alcune raffiche di mitragliatrice lambirono anche le case all’estremità della piccola frazione di Isola. La popolazione accorse immediatamente e si prodigò nel prestare soccorso agli uomini colpiti.
Il Dott. Giuseppe Isola ricorda che la madre Giulia Giolfo, come altre donne del paese, sezionò delle lenzuola onde ricavarne rudimentali bende per tamponare le ferite delle vittime. Uno dei feriti più gravi fu trasportato a spalla da alcuni uomini in una casa del paese dove spirò poco dopo. In totale furono cinque i partigiani che persero la vita: Butacavoli Salvatore-Brigata Jori. Florio Renato-Brigata S.A.P Bedin. Golfetti Luciano-Brigata Jori. Viganelli Vittorio-Brigata Jori. De Martino Pasquale- Reparto partigiano non identificato. Altri cinque, come abbiamo detto, furono gravemente feriti e trasportati presso l’ex Colonia fascista Levillà, in quel periodo base ed ospedale della VI zona partigiana ligure.
Il giorno seguente, il comandante “Bisagno” discese ad Isola di Rovegno per visitare il luogo della tragedia in cui avevano perso la vita i suoi uomini. Reso edotto della generosa opera di soccorso offerta dagli abitanti della frazione, passò di casa in casa per ringraziarli personalmente. In quei giorni di insurrezione, le formazioni di montagna contribuirono a disturbare la ritirata dei reparti militari tedeschi e della Repubblica sociale italiana, ma non poterono scendere in Genova e partecipare ai combattimenti in città sostenuti dai loro compagni delle S.A.P. cittadine.
Le formazioni partigiane, dal Febbraio 1944 dipendevano dal C.L.N.A.I (Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia), che nel dicembre ’44 verrà riconosciuto ufficialmente quale come organismo subordinato al governo italiano di Roma e al comando supremo anglo-americano del teatro Mediterraneo. Il C.L.N.A.I riceverà altresì delega ufficiale per il coordinamento dei Comitati di Liberazione Regionali del nord Italia.
Il 7 dicembre 1944 a Roma si riunì una delegazione congiunta del C.L.N.A.I, del governo Italiano Bonomi ed il comandante alleato del fronte mediterraneo Gen. H. Maitland Wilson. In questa riunione vennero sottoscritti una serie di impegni che furono definiti i “protocolli di Roma”. Uno dei punti dell’accordo prevedeva che all’atto della prossima e definitiva offensiva militare alleata , le forze partigiane avrebbero avuto dei compiti ben precisi: sabotare e disturbare il ripiegamento delle truppe tedesche, preservare dalla distruzione gli impianti produttivi del nord-Italia, quali fabbriche, porti etc, garantire l’ordine pubblico, ma avrebbero dovuto astenersi da operazioni militari in grande stile come ad esempio la liberazione delle città, missione rigorosamente riservata alle truppe alleate. Tali disposizioni non furono ben accolte dai comandi partigiani locali. Nella zona di Rovegno, il comando della VI zona ligure sollevò legittime rimostranze.
Quegli uomini che avevano condotto una lotta estenuante per mesi, sopportando sacrifici e gravi perdite, si vedevano negare la partecipazione all’ultimo atto della guerra di liberazione. Inevitabilmente si verificarono degli attriti tra i comandanti delle formazioni partigiane della montagna e gli agenti anglo-americani delle missioni militari alleate di collegamento, inviate presso i Comitati di Liberazione locali. Alcuni comandanti delle brigate operanti in Val Trebbia decisero di disattendere tali ingiuste imposizioni e diedero ordine ai loro uomini di avvicinarsi a Genova. Il Maggiore statunitense dell’O.S.S. (Office of Strategie Services) Albert R. Materazzi che sovrintendeva, dal quartier generale alleato di Caserta, le missioni militari anglo-americane ” Walla Walla”, “Roanoke” e “Peedee” accreditate presso le formazioni patriottiche della VI zona partigiana ligure, impose perentoriamente ai comandi partigiani di attenersi agli ordini indicati, senza creare complicazioni. Il tragico mitragliamento dei cinque patrioti ad Isola di Rovegno non fu un caso isolato. Lo storico locale Bruno Garaventa, nel suo libro “Memorie e Cronache durante la lotta di Liberazione” dichiara nel comune di Santo Stefano d’Aveto ed al passo del Bocco, aerei anglo-americani mitragliarono per errore due gruppi di partigiani, causando alcuni feriti.
La storica Elisabetta Tonizzi ricorda nel suo volume: “Genova aprile 1945, Insurrezione e liberazione” che il giorno 24 aprile la missione militare britannica “Clover” aveva chiesto al proprio comando di limitare al massimo i mitragliamenti e bombardamenti in Genova e nel suo entroterra, in quanto proprio quel giorno due incursioni alleate su Genova Prato avevano causato la morte di alcuni partigiani. Lo stesso Antonio Testa nel suo “Partigiani in Val Trebbia”, a pag. 129, afferma che il 24 aprile tra Torriglia, Montebruno e Rovegno, aerei anglo-americani sorvolarono a bassa quota i centri abitati, lasciando partire raffiche di mitragliatrice a casaccio. Purtroppo è doveroso rilevare che ad Isola di Rovegno non vi è nessuna targa che commemori il sacrificio supremo dei cinque partigiani mitragliati ed uccisi, per errore, dagli aerei dell’aeronautica statunitense.
Alessandro Brignole
(Articolo tratto dal N° 22 del 22/06/2017 del settimanale “La Trebbia”)
(Fotografia: Isola di Rovegno di Luca Cianelli)
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