La vicenda, risalente al 4 giugno 1944 (come risulta dal documento n. 28 della Curia Vescovile di Bobbio), è raccontata dal partigiano Andrea Mozzi in un suo manoscritto a firma Leo (nome di battaglia), conservata dalla nipote Anna Castelli; documento che rievoca la sua esperienza di partigiano, dall’entrata in primavera, nella banda “Gaspare”, fino all’incontro a Torriglia con le truppe alleate anglo-americane che portavano la notizia della liberazione di Genova.
Scrive Andrea: “Il Fascismo non ci era mai andato a genio… Nelle magistrali io ero considerato un sovversivo. I fascistelli di Bobbio avevano informato il preside che Mozzi non è mai presente alle adunate del regime, ecc, quindi se avessi continuato in quel modo avrei rischiato l’espulsione dall’istituto.
Nella primavera del ’44, comunque siamo stati chiamati ad arruolarsi nella Repubblichetta di Salò. Quindi dovevamo scegliere se stare con o contro il fascismo. Insieme con Pertusi ed Elba si decise di cercare i partigiani e schierarci con loro.
Ci rechiamo a Marsaglia, dove si diceva che c’erano i partigiani, ma, arrivati sul posto, nessuno ci voleva indicare come poterli trovare. Poi, a furia di insistere, siamo stati condotti prima a Sanguineto, poi a Cerignale, dove c’era la banda Gaspare, lo Slavo.
L’incontro non è stato dei più cordiali, per il sospetto che noi fossimo delle spie fasciste. La banda era composta da tredici uomini, fra cui uno di Marsaglia, detto Pino della Zanlunga, il quale sosteneva che noi eravamo spie. Della banda, faceva parte anche Romeo di Bobbio, ma i primi giorni non furono tranquilli perché Pino continuava a sospettarci.
Anche Gaspare, influenzato da Pino, ci guardava con sospetto. Si arrivò persino ad una sfida tra noi tre e il Pino. Cioè, se noi eravamo spie, lui ci avrebbe fucilati, in caso contrario stava a noi fucilarlo. La prova non tardò a venire, già da tempo Gaspare progettava di assalire il presidio di Bobbio per ricavarne armi e munizioni utili al prosieguo della lotta partigiana. Gaspare, sapendoci di Bobbio, sì fece spiegare da noi tutto ciò che riguardava il presidio militare di Bobbio, compresa la consistenza delle forze, che comprendeva un maresciallo tedesco con tre soldati tedeschi e un venti-venticinque uomini fascisti.
Era il nostro banco di prova. Si decise di attaccare il mattino presto, una corriera ci portò nei pressi del ponte di S. Martino. Da lì, a piedi, in fila indiana, raggiungemmo Valgrana e proseguimmo fino in Piazza Fringuella. Penetrammo nella casa del massaro del Marchese Mala-spina e ci trovammo davanti alla caserma dei militi fascisti. La sentinella era d’accordo con noi, quindi salimmo le scale che portavano nel salone dove tutti dormivano. Io ero in testa, armato di moschetto e pugnale; ho spalancato la porta urlando mani in alto. Nessuno ha opposto resistenza, quindi li abbiamo ammanettati vicino agli attaccapanni e abbiamo preso tutte le armi e munizioni: una trentina di fucili, munizioni, bombe a mano ed una mitragliatrice antiaerea.
Riempita la corriera che ci aveva seguito, cerchiamo di uscire da Bobbio. In Piazza Duomo ci aspetta il maresciallo tedesco che dal seminario ci spara addosso con una machine-pistol tedesca, centrando in pieno la corriera. Gaspare, con la mitraglia antiaerea appena acquisita, si apposta dietro il pilastro di “Spaolonzi” e tira una breve raffica in direzione del maresciallo, che nel frattempo cercava di fuggire nel Borgo. Una seconda raffica non impedirà al maresciallo di porsi in salvo nel Borgo.
Con la fuga del maresciallo nel Borgo, la via era libera per Piazza S. Francesco, da dove con la corriera puntammo su Cerignale.
A Cerignale, Gaspare ha chiamato me, Pertusi ed Elba, congratulandosi, dicendo che ormai era sicuro di noi e che, se volevamo, potevamo fucilare il Pino. Non l’abbiamo fatto. Il colpo, ben riuscito, ha avuto grande risonanza in tutta la Val Trebbia e altrove. E stato citato anche da radio Londra”.
Fortunatamente, questa volta, la sparatoria in Piazza Duomo non ha causato vittime né militari né civili.
(Articolo tratto dal N° 12 del 30/03/2017 del settimanale “La Trebbia”)
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